giovedì, marzo 08, 2012

Come sarà il petrolio del domani

A cura di Lou Del Bello
anche su Sottobosco.info


Nella seguente intervista, Massimo Nicolazzi (autore del libro “Il prezzo del petrolio”) approfondisce il tema degli idrocarburi cosiddetti “unconventional”, descrivendone la situazione presente e ipotizzandone le prospettive future. Questo tipo di carburanti fossili sta acquistando un’importanza sempre maggiore all’interno del panorama energetico mondiale, man mano che i giacimenti superficiali, da cui si ottiene petrolio abbondante e a basso costo, vanno riducendosi in numero e portata. Molto presto e sempre più spesso sentiremo dunque parlare di unconventional, shale oil, shale gas.

Nicolazzi, di cosa si parla quando si dice “non convenzionale”?
Non sempre della stessa cosa. Se prende ad esempio la definizione restrittiva di Colin Campbell per la parola “convenzionale”, contenuta nel suo famoso testo “The coming Oil Crisis” il declino del convenzionale è già cominciato. Insomma siamo oltre il “picco”. Se adottiamo definizioni più lasche, il quadro cambia; e all’estremo opposto l’idea stessa di “picco” viene un po’ ammaccata.
Il problema, o meglio la confusione definitoria, sta nel fatto che molto di quello che già si produce non è “oil” secondo Campbell mentre lo è petrofisicamente (insomma chiamatelo unconventional ma è uguale al conventional). E’ petrolio come quello tradizionale, solo di più difficile produzione in punto di tecnica di estrazione.

Si può dire dunque che “unconventional” è quel petrolio che si raggiunge con difficoltà?
Non solo, visto che chiamiamo unconventional anche “petrolio” che richiede ulteriori manipolazioni per diventare tale. Ma per quel che si produce oggi in buona parte sì.
Nel caso estremo dell’offshore profondo, che Campbell definirebbe non convenzionale, l’unica differenza è che la perforazione costa di più e la sua tecnologia viene portata al limite (conosciuto…).
Il giacimento è convenzionalissimo. Ma per arrivarci bisogna posizionarsi coi mezzi sopra 5000 metri d’acqua e, come hanno fatto in Brasile, dal fondo dell’Oceano bucare la terra per altri 5000 metri. E’ la difficoltà ad essere unconventional, non il petrolio.

Quindi, molta parte dell’unconventional oil è in realtà petrolio “normale”?
L’offshore profondo e ultraprofondo sì; ed altrettanto vale per quel petrolio prodotto oggi essenzialmente negli Stati Uniti e che definiamo genericissimamente shale oil. Quando si legge di unconventional oil negli Stati Uniti, nella maggior parte dei casi si tratta di petrolio assolutamente identico a petroli analoghi , che però è intrappolato in rocce impermeabili che ne impediscono il movimento e quidi la fuoruscita “naturale” per solo gradiente di pressione.

Quali sono le tecniche estrattive in questo caso?
Il petrolio è essenzialmente il prodotto della trasformazione di sedimenti organici. Man mano che scendono giù per la terra con la roccia che li contiene (la “roccia madre”) calore e pressione ne inducono la trasformazione. Di regola ad un certo livello di pressione la roccia madre “espelle” il petrolio, che essendo leggero tenta di risalire in superficie. Quando trova un “tetto” di roccia impermeabile non riesce più a risalire, e si ferma addensandosi nei pori delle rocce sottostanti la copertura impermeabile. Più le rocce sottostanti (la “roccia serbatoio”) sono porose, e più petrolio possono trattenere.
Quando si fa “un buco” nel tetto la pressione di quanto si è accumulato nella roccia porosa è tale da consentire almeno inizialmente l’erogazione spontanea del petrolio. E’ un po’ come comprimere una spugna piena d’acqua dentro una superficie impermeabile, per esempio un sacchetto di cellophane, strizzando al massimo. Infilandoci dentro un ago una parte dell’acqua che vi è contenuta esce da sola.
Buona parte del petrolio di shale è finito in uno strato di rocce porose ma impermeabili, di regola argille. Anzi più che finirci di norma ci è nato. La roccia è abbastanza porosa da contenerlo, ma non abbastanza permeabile da lasciarlo muovere e perciò rilasciarlo. Lo shale oil spesso è oil rimasto dentro la roccia madre e che non ha mai iniziato il suo viaggio verso la superficie. Per il resto, in termini di cottura e di pressione, è stato accudito da mamma come un qualsiasi gemello conventional. Sono identici.
La tecnica estrattiva è poi spesso basata su una combinazione di perforazione orizzontale e di fracturing. Il pozzo arrivato alla profondità dell’obiettivo anzichè essere completato prosegue di lato in orizzontale, a volte anche per lunghezze considerevoli. La tecnica si è perfezionata in parallelo al progresso nella lavorazione degli acciai, che ne rende disponibili di sempre più “flessibili”; e consente con un’unica sezione verticale di aprire più comunicazioni nella sezione orizzontale tra pozzo e strato mineralizzato, con forte risparmio dei costi di perforazione.
In un giacimento tradizionale, quando il pozzo attraverso uno o più completamenti viene messo in contatto col giacimento, parte degli idrocarburi che vi sono contenuti vengono in superficie senza necessità di stimoli. In shale invece non risale nulla, perchè l’idrocarburo come detto è “imprigionato” da roccia impermeabile. Per estrarlo bisogna fare a pezzi la prigione, ed è quello che viene fatto ricorrendo alla cosidetta fratturazione idraulica (o FRAC). Il FRAC consiste in pratica nell’iniezione ad alta pressione di grandi volumi (milioni di litri) di acqua o di vapore, di regola misti a solventi che facilitino la fratturazione della roccia serbatoio. A roccia fratturata, l’idrocarburo è libero di muoversi e può essere così recuperato in superficie.

Questo sistema ha una buona efficienza?
Dato che la pratica è al momento essenzialmente americana, si possono usare come campione rappresentativo i dati relativi a questa zona: il 10% del petrolio proveniente dall’USA, circa mezzo milione di barili, è prodotto tramite fratturazione idraulica. Più della metà del gas naturale prodotto negli Stati Uniti è unconventional. Parliamo di una produzione che si aggira attorno ai 300 miliardi di metri cubi all’anno, più di tutto il gas che in un anno esporta la Russia. In Italia, per esempio, consumiamo circa ottanta miliardi di metri cubi all’anno.

Quello descritto finora è il panorama dell’unconventional che per qualità chimiche e fisiche è del tutto assimilabile al conventional. Esistono combustibili diversi anche dal punto di vista qualitativo?
Esistono tipi di petrolio che hanno bisogno di ulteriori trattamenti per essere commerciabili. Il petrolio “inizia” con la deposizione di massa organica in ambiente anaerobico.
Sprofondando, attraversa tre fasi. Il petrolio vero e proprio è “cotto” a dovere nella seconda fase di discesa, o “catagenesi”, a temperature tra 65 e 150 gradi (dopo di che va in metagenesi, e tra 150 e 200 gradi l’idrocarburo residuo prende forma solo di gas naturale) Nella prima fase di cottura, o diagenesi, il processo dà vita al genitore del petrolio (Kerogene) e in progresso essenzialmente a bitume. Gli idrocarburi rinvenuti a questo stadio di maturazione necessitano di trattamento di raffinazione per essere commerciabili e creano grandi problemi di trasporto e di produzione per la loro pesantezza e la loro scarsa viscosità. In alcuni casi (il Mahogany Project di Shell, per fare un esempio) si è arrivati a sperimentare la “cottura” in situ, insomma a riscaldarli artificialmente sottoterra per accelerarne la maturazione. Se vuole, un po’ l’idea di mettere il petrolio in incubatrice. In altri casi invece viscosità e grado di cottura del “bitume” consentono trattamenti (quasi) convenzionali.
Il Venezuela, per esempio, ha dichiarato di recente di disporre di riserve maggiori di quelle dell’Arabia Saudita. E’ quasi tutto petrolio molto pesante e bituminoso. Buona parte di esso va riscaldata in giacimento per fluidificarla abbastanza da poterla estrarre. Questo petrolio extra heavy nel giro di qualche anno avrà a sua volta bisogno di recupero assistito, sia nella produzione che nel trasporto; e comunque di trattamento prima della commercializzazione.
Le sabbie canadesi (tar sands) sono invece una faccenda diversa. Sono giacimenti degradati, contaminati da ossigeno. Anche in questo caso occorre un procedimento di raffinazione, dal quale si ottiene petrolio cosiddetto “sintetico”. Mentre per gli idrocarburi venezuelani parliamo di petrolio “non abbastanza cotto” qui possiamo parlare di petrolio “marcito”.

In che modo queste nuove frontiere estrattive potranno influenzare il panorama energetico del futuro? Se sono così costose e piene di ricadute problematiche, perché sono oggetto di investimenti così importanti?
L’enorme famiglia dell’unconventional in termini di risorse, cioè di idrocarburi fossili presenti nella terra, è sicuramente un multiplo delle risorse convenzionali. Quanta parte di questo diventa riserva, cioè estraibile e producibile dal punto di vista tecnico, economico ed ambientale, nessuno al momento può saperlo.
Al netto della politica, cioè dei limiti che ci vogliamo dare allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo, l’indicazione prevalente è che le risorse unconventional possano essere un multiplo di quelle convenzionali. A spanne, la ratio più citata è quella di un rapporto 3 a 1. Con il caveat che in ogni caso questi conti hanno una fortissima componente speculativa, e che alla fine contano le riserve, cioè i volumi producibili, e non le risorse, e cioè i volumi presenti nel sottosuolo.

Come si rapportano tra loro i temi politico ambientali, tecnologici ed economici in gioco?
Il limite di produzione dell’unconventional sta più sopra che sotto la terra; cioè sta più nei limiti politici e per via politica ambientali alla sua produzione che non in una mancanza di possibilità tecnologiche per farlo.
Siamo a un tipico tema di sostenibilità; che peraltro spesso prende la forma, anche e soprattutto a fini di consenso, di un conflitto tra sostenibilità economica (in termini di PIL e crescita di breve) e sostenibilità ambientale di medio-lungo periodo.
Ci toccherebbe trovare per entrambe un unico metro di misura.Se noi fossimo capaci di dare una valutazione economica condivisa alle esternalità vere o presunte e di renderla una componente di prezzo, forse non avremmo bisogno di tanta attività regolatoria per decidere quel che è bene e quel che è male.

10 commenti:

mirco ha detto...

Tecnicamente chiaro e didattico.
Peccato che risulti completamente assente il concetto di ERoEI, cioè il rapporto tra l'energia ottenuta e quella investita nel processo. E non è una mancanza da poco perchè per gran parte di quelle ipotetiche risorse risulta messa in discussione la possibilità di usarle.
E' pur vero che in un passaggio si scrive "contano le riserve, cioè i volumi producibili, e non le risorse" ma l'atenzione di un lettore non particolarmente preparato resta centrata sulla frase precedente, del tutto fuorvianate "le risorse unconventional possano essere un multiplo di quelle convenzionali. A spanne, la ratio più citata è quella di un rapporto 3 a 1".
Tutto questo senza considerare che l'impatto ambientale di questo tipo di estrazioni è nettamente più grave e pesante delle normali perforazioni.
Mirco

Paolo ha detto...

Insomma, a prendere in buona fede l'articolo, non si estraggono maggiori quantitativi di idrocarburi non convenzionali o simili per ostacoli soprattutto politico-ambientali.
Ma l'autore tralascia completamente l'essenziale EROEI del non convenzionale ( e assimilato), alla fin fine ciò che determina la convenienza economica dello sfruttamento di un idrocarburo. Per quel che ne sappiamo il convenzionale di oggi non ha più l'EROEI di una volta, figurarsi quello dei vari shale oil e gas e delle sabbie canadesi, davvero ai limiti del ritorno economico.
Ma il problema vero e proprio è che l'economia petrolifera agonizzerà ancora per decenni, decenni di ulteriore depauperamento ambientale.
Una spada di Damocle per la sopravvivenza della nostra sciagurata specie...

Antonio ha detto...

domanda: quanto costerebbe 1 litro di benzina se fosse ricavato attualmente dal petrolio non-convenzionale?

rispondete, please

massimo nicolazzi ha detto...

Attenti a non considerare ERoEI un metro di economicita'. Spesso puo' coincidervi, ma non sempre. Il prezzo dell'energia non e' determinato solo dal potere calorifico, ma anche da altri fattori, tra cui la forma della somministrazione. Oggi in USA un btu di petrolio costa come 5-6 btu di gas. Insomma potresti guadagnarci facendo petrolio da gas anche con ERoEI inferiore a 1... Per Antonio. Il greggio WTI storicamente vendeva a premio sul Brent. Da qualche anno a sconto. La causa del deprezzamento sono essenzialmente i flussi di petrolio dal Canada. Petrolio prodotto da tar sands.

mirco ha detto...

Sono assolutamente d'accordo.
L'ERoEI non è affatto strettamente correlato con l'economicità. La misura "denaro" è una misura che risente di numerose varianti, che cambiano di luogo in luogo e di tempo in tempo. Si possono fare un sacco di soldi anche con l'etanolo che ha un ERoEI inferiore a 1. E con tanti altri fantasiosi modi che sfruttando le diverse condizioni di lavoro, di reddito e di non-garanzie individuali e sociali. Così alcuno possono accumulare grandi ricchezze senza ... produrre nulla ma sfruttando lo sfruttabile. Ho posto la questione dell'ERoEI perchè dal punto di vista energetico e termodinamico è l'unica misura (a volte non del tutto precisa) valida per capire se si sta facendo qualcosa di serio o no. In estrema sintesi, che senso ha produrre una unità di energia (per esempio da oilsands) consumandone quasi una tra gas, idrogeno, trasporto, pompaggi d'acqua, ecc.?
Il petrolio che ha permesso al mondo (una parte) di svilupparsi durante lo scorso secolo aveva un ERoEI di circa 100. Oggi il petrolio "buono" ha un ERoEI tra 10 e 15 e il syncrude sta ben sotto a 2. Per diversi economisti questa situazione è alla base delle crisi (cosiddette) economiche-finanziarie che attanagliano l'economia mondiale. Se il risultato utile vero, reale, è scarso o quasi nullo nessun paese può arricchirsi realmente. Non può relizzarsi ricchezza se non apparente, effmera. I risultati economici che si stanno perseguendo sono sostenuti dall'accumulo ineguale di moneta stampata. Ma se possiamo stampare quanti dollari vogliamo non possiamo certo stampare barili di petrolio. Ed è solo con questi che il mondo (inquinamento permettendo) può andare avanti.
Mirco

Anonimo ha detto...

i soldi si stampano e si investe nel petrolio, con una grande depressione economica ovviamente. Ma il petrolio verrà estratto anche con EROEI inferiori ad 1. E' troppo importante per l'alimentazione e l'apparato militare.

Luca Pardi ha detto...

Sono d'accordo con Mirco. Aggiungo che per quanto riguarda l'EROEI dei petrolio i dati sono abbastanza affidabili, il declino è stato ampiamente documentato e appare logico proprio a causa della complessità dell'impresa estrattiva di oggi rispetto a quelle del passato (si veda ad esempio Drilling down di Tainter e Patzek).

mirco ha detto...

Caro Mago,
si può estrarre syncrude, oilshale o produrre biocombustibili con ERoEI inferiore a 1, ma in tal caso non si ha a disposizione assolutamente niente più di prima. Si è solo consumata dell'energia per averne poi di meno a disposizione. Bell'affare.
Con ERoEI inferiore a 1 non si coltiva niente più di prima nè si fa marciare di un metro in più un carro armato.
Ma se si è convinti che la ricchezza la si può far crescere stampando denaro per buttare via energia o pagando per scavare una buca, chiuderla, riscavarla e richiuderla all'infinito, allora va tutto bene.

Fra ha detto...

...Per uso militare ,se ben riccordo, c'è il buon vecchio fiscer-topper che permette di produrre carburante dal carbone..Non ricordo il suo eroi, anche perchè dipendente da quello del carbone..certo non sarà 10 ma nemmeno inferiore ad 1...

Anonimo ha detto...

Per Mirco, oltre al fisher tropps hitleriano, ci sono molti sistemi per convertire energia da altre fonti in petrolio, anche se con EROEI FINALE<1.