venerdì, febbraio 03, 2012

Un caso di overfishing passato alla storia: i merluzzi di Newfoundland

Di Marco Affronte



Overfishing (eccesso di pesca), sfruttamento sostenibile delle risorse marine, son termini oggi molto diffusi dal momento che il mare, e in verità il pianeta in generale, sono continuamente saccheggiati e impoveriti di risorse che vengono concepite come infinite, ma che sono invece, ovviamente limitate. Più che tante spiegazioni, possono fare gli esempi di quanto si va dicendo. E una delle storie più emblematiche resta, e forse resterà sempre, quella dei merluzzi di Newfoundland.

Cinque anni dopo la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo, dunque nel 1497, un altro italiano, Giovanni Caboto, navigatore al soldo degli inglesi, raggiunse le coste americane. Sbarcò molto più a nord, probabilmente nell'attuale Newfoundland (Terranova), in territorio canadese. Al suo ritorno in Gran Bretagna raccontò, fra le altre cose, che "lassù il mare è coperto di pesci".
Qualche decina di anni dopo, chi sfruttò al meglio quello che Caboto aveva scoperto riguardo alla pescosità dell'Atlantico nord occidentale furono però i francesi. A metà del sedicesimo secolo, 150 imbarcazioni francesi attraversavano ogni anno l'Atlantico per raggiungere quel paradiso della pesca. Gli inglesi seguirono a ruota, espandendo quei territori di pesca più a sud, al largo di quelle che oggi sono le coste del Massachusetts. Pescavano moltissimo, e soprattutto merluzzi. Al punto che chiamarono una di quelle località, un promontorio, Cape Cod: cod è il nome inglese del merluzzo, appunto.

Il merluzzo è, secondo qualcuno, la quintessenza del pesce. Corpo grigio-argento senza colori appariscenti, carni bianche e praticamente senza spine. E lassù, di merluzzi, ce ne erano proprio tanti.
Nei successivi 3-400 anni la pesca continuava a prosperare, sebbene le tecniche di pesca, in qualche modo ancora artigianali, restassero più o meno immutate. Pescavano praticamente con la lenza; molte lenze per ogni barca, ma pur sempre lenza, cioè filo da pesca con in fondo un amo e un'esca. I pesci pescati venivano puliti e messi sotto sale. 
Nel diciannovesimo secolo si erano ormai uniti al banchetto anche americani e portoghesi, e fu in questo periodo che le semplici lenze lasciarono il passo alle longline (in italiano sono i palamiti). Lenze lunghe anche chilometri, ognuna delle quali attrezzata con migliaia di ami. Una tecnica molto efficace che permette bottini spaventosi. Nel solo New England, nel 1895 furono pescate 60.000 tonnellate di merluzzi. Che sembravano non finire mai. Addirittura un grande biologo e ricercatore come Huxley affermava: credo che la pesca dei merluzzi, così come le altre risorse del grande mare, siano inesauribili...

Nel 1905, una nave da pesca, guardata con sospetto, se non peggio, dagli altri pescatori, salpò dal porto di Boston. Era la prima nave americana equipaggiata con uno strumento che già si usava in Inghilterra, e che per la prima volta arrivava in quelle acque: una rete a strascico. I merluzzi sono pesci che amano mangiare sul fondale, e dunque la rete a strascico, che sul fondale corre e raccoglie tutto quello che trova, serviva benissimo a pescare merluzzi. Talmente bene che nel 1914 la Commissione della Pesca degli Stati Uniti formò un comitato per indagare quali danni potesse fare agli stock ittici. La risposta fu che, almeno nel Mare del Nord, le nuove tecnologie stavano già causando un declino del pescato, anche se ancora non dei prolifici merluzzi. Non furono prese contromisure.

In quegli anni, il principale obiettivo divenne un altro pesce, l'eglefino, parente stretto del merluzzo e dal sapore simile. Negli anni '20 poi furono introdotti sul mercato i filetti surgelati (come li mangiamo ancora oggi). Era un bel salto dal classico merluzzo sotto sale, e soprattutto i pescatori del New England corsero a riempire la nuova nicchia di mercato: nel 1929 si pescarono 120.000 tonnellate di eglefino, in quella zona. Cinque anni dopo le catture saranno già crollate a 28.000 tonnellate.
I merluzzi intanto continuavano a essere regolarmente pescati, a cifre attorno alle 8.000 tonnellate all'anno. Questo fino al 1954, l'anno in cui tutto accelerò verso il baratro. Fu quando arrivò in quelle acque la Fairtry. Era una nave enorme fatta costruire da un'industria baleniera scozzese, la quale vedendo diminuire sempre più le catture dei grandi cetacei, decise di buttarsi in altri mercati. La Fairtry era una nave industria che permetteva di pulire e congelare i merluzzi già a bordo, stoccandone in grandi quantità. E le sue reti erano enormi. Talmente ampie che, in un mare ancora così pescoso, a volte si rompevano sotto al peso delle tonnellate di pesce pescato. Quella nave, e quelle che seguirono poi, poteva pescare in un'ora quanto una tipica imbarcazione del sedicesimo secolo faceva in una stagione. La Fairtry venne presto raggiunta da altre navi industria, provenienti dalla Germania, dall'Unione Sovietica e da altri paesi stranieri. Nel 1968 i merluzzi pescati raggiunsero la cifra impressionante di 810.000 tonnellate! La fine era scritta, bastava sapere leggere i segnali.

A metà degli anni '70 gli eglefini erano ormai scomparsi, e la "produzione" di merluzzi era scesa a meno di 250.000 tonnellate. I pescatori locali, impotenti e in ginocchio, implorarono l'aiuto dei loro governi, canadese e statunitense. Questi risposero estendendo il limite delle acque territoriali a 200 miglia. In pratica, il dominio delle navi straniere sui grandi banchi dell'Atlantico nord-occidentale era finito. Adesso USA e Canada avevano l'occasione per salvaguardare le loro risorse ittiche, instaurando finalmente una pesca sostenibile. Ma non lo fecero.

L'euforia dell'allontanamento degli stranieri colpì soprattutto la gente del Newfoundland, che viveva solo e soltanto di pesca. Il futuro ora sembrava roseo e il DFO (Department of Fisheries and Oceans), cioè il Dipartimento della Pesca e degli Oceani canadese, in qualche modo cavalcò l'onda e sbagliò le previsioni, calcolando che le catture di merluzzi, scese a 139.000 tonnellate nel 1978, sarebbe risalite a 350.000 nel 1985. Ma adesso, a posteriori, sappiamo che nel 1977 il numero di merluzzi in fase riproduttiva, al largo di Newfoundland, era diminuito del 94% rispetto ai valori del 1962. La catastrofe era ormai pronta.

I pescatori canadesi, nei primi anni ottanta non riuscirono mai a raggiungere la quota di pescato permessa dal governo, ma stavano comunque pescando molto più di quanto la popolazione residua di merluzzi potesse sostenere. Con la cacciata degli stranieri, la pesca aveva ripreso vigore e gli strumenti migliorarono ancora, con l'introduzione dei sonar che permettono di localizzare i grossi banchi di pesce. A metà anni '80 la DFO continuò a sostenere che gli stock sarebbero cresciuti, e il 1986 fu un anno eccezionalmente produttivo, e quindi alimentò le certezze di alcuni e le speranze di altri. Che vennero però duramente colpite dalle previsioni per gli anni successivi: i ricercatori erano certi, ci sarebbe stato un crollo. Nel 1989 biologi e studiosi cercano di convincere la DFO a dimezzare la quota di merluzzi, abbattendola a 125.000 tonnellate. Ma l'industria delle pesca era all'apice dell'espansione e il Dipartimento canadese non se la sentì di infierire il colpo. La quota venne ridotta solo di un decimo.

Ma di merluzzi ne erano rimasti pochi, e per mantenere i loro guadagni i pescatori li cercavano molto più duramente, avventurandosi sempre più al largo e anche in condizioni di mare spaventose. Nel 1991 vennero pescati 180.000 tonnellate di merluzzi: erano, oggi lo sappiamo, più della metà di tutti quelli rimasti là fuori.
Il DFO stabilì questa quota anche per il 1992. Ma ogni quota era ormai inutile, la festa era finita. Non c'era più niente da pescare, e a luglio del 1992 il ministro fu costretto a chiudere completamente la pesca al merluzzo.
Dall'oggi al domani 30.000 persone persero il lavoro. Il disastro si era compiuto.
A tutt'oggi la pesca al merluzzo a Newfoundland non si è più ripresa, oggi l'economia di quel paese è basata sulla pesca alle aragoste e soprattutto sullo sfruttamento delle risorse boschive e minerarie. I merluzzi non sono più tornati. Pesci come i capelin, un tempo prede dei merluzzi, oggi sono divenuti molto comuni, e mangiano i merluzzi appena nati. Quell'ecosistema oggi è dominato da granchi e gamberi.

10 commenti:

Paolo ha detto...

Certo, la tecnologia ha causato il depauperamento dell'ambiente in generale, ma il problema di fondo è sempre l'ingombrante numero di esseri umani presenti sul pianeta. Una specie, la nostra, che ha superato numericamente i limiti della sostenibilità da decenni nei paesi più industrializzati (popolazioni non eccessive ma tecnologie all'avanguardia). Ergo, è inevitabile che la continua corsa verso lo stile di vita occidentale da parte delle sole mostruose popolazioni di Cindia porterà in breve tempo al collasso del paradigma della crescita, ben prima del 2020...

Anonimo ha detto...

@Paolo. Sono in parte d'accordo che l'aumento della popolazione incide negativamente, ma non è la tecnologia in se ad aver causato il disastro, ma la scarsa o nulla capacità dell'uomo ad usare in maniera adeguata la tecnologia stessa e a difendere i beni comuni. Stessa sorte è toccata allo storione del Volga, sterminato per sempre dalla smania del dio profitto, anche nel regime comunista dell'ex URRS.
La cosa peggiore è che dalla storia non si impara nulla o quasi.

Anonimo ha detto...

Va bene, ho capito, siamo destinati a estinguerci o nella migliore delle ipotesi, ad auto ridurci di molto. Il pianeta Terra continuerà senza di noi. Poco male.

Paolo ha detto...

@ arturo tauro

L'uomo non è capace di usare la tecnologia in modo sostenibile perché è e resterà sempre un animale che si riproduce in maniera incontrollata quando le risorse sono abbondanti. Quello che ha artificialmente causato l'uso del petrolio.
Come quella colonia di batteri in laboratorio che si estingue (o riduce) di fronte alla scarsità delle risorse, nulla potrà la nostra 'intelligenza'(???) di fronte a questo ineluttabile destino...

Gianni Comoretto ha detto...

La cosa che mi colpisce in queste storie è che le vedi in controluce quando ad es. i pescatori nostrali protestano perché la loro vita diventa sempre più difficile.

Ma anche quando i camionisti protestano perché il gasolio diventa sempre più caro, ed invocano interventi di sussidio. Quando gli agricoltori lamentano il calo dei raccolti, o gli astronomi come il sottoscritto il calo delle risorse per la ricerca.

Luca Pardi ha detto...

Gianni, è proprio così, nel post pubblicato pochi giorni fa su questo blog a proposito delle discariche abusive di materiali tossici nel Tirreno c'è il link all'intervista del pescatore che denuncia la situazione dicendo che già è difficile fare la giornata, figuriamoci se la procura di sequestra il peschereccio quando denunci di aver pescato un bidone maleodorante: lo ributti in mare e dimentichi.

Anonimo ha detto...

se codesto pescatore avrà dei figli o dei nipotini deformi, FORSE capirà che l'omertà non paga

Fra ha detto...

Paolo, perfettamente d'accordo con te; se puoi torna a visitare questo sito assiduamente; ricordo che nel 2011 nel mar adriatico si è pescato circa il 40 % in meno dell'anno prima, e che 1 settimana fà in Ancona gli scampi freschi locali stavano a 100 euri al chilo, e che da diverse settimane parecchie pescherie nella zona, complice non solo il pescato ridotto ma il caro gasolio, preferiscono stare chiuse per metà settimana...C'è un ma in tutta questa storia: i pescatori si sono comportati come i pesci, che quando possono proliferano per poi soccombere, ( senza voler estendere il paragone a la popolazione nel suo complesso=, ma la responsabilità più grande è delle istituzioni: questa responsabilità diventa doppia in Italia visto che il pubblico, pur essendo incapace a spostare risorse dai servizi e dagli stipendi dei colletti bianchi alla sostenibilità, drena al contempo una quantità immensa di risorse..O ci riformiamo draconianamente nell'arco di 1 o 2 anni, oppure sono auspicabili collassi su vasta scala del pubblico da insolvenza del debito, piuttosto che una lenta morte che nel contempo assorba le risorse residue da fossili.

Anonimo ha detto...

...perché non chiamarla Terranova, come in tutti gli atlanti geografici?
grazie e scusate il puntiglio
Marletto

Marco Affronte ha detto...

@ Vic58: hai ragione, ma per chi si occupa di mare, come me, e di overfishing, il "fatto" di Newfoundland è ormai un'icona, un simbolo. E su questo è rimasto impresso il nome di Newfoundland (che ho comunque tradotto in Terranova, almeno una volta, all'inizio).