lunedì, febbraio 27, 2012

La lezione del ratto

A cura di Lou Del Bello

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Gambero della Louisiana, una delle specie alloctone più comuni in Italia
La biosfera è un organismo dinamico in continua evoluzione. Non solo le specie cambiano e interagiscono nel tempo, ma si spostano nello spazio, determinando incontri a volte traumatici.

Piccole grandi guerre tra specie, animali o vegetali, si combattono sotto gli occhi ignari degli umani, a volte proprio per causa loro. Abbiamo chiesto a Marco Zuffi, erpetologo, biologo evoluzionista e ricercatore dell’Università di Pisa di raccontarci il fenomeno delle specie aliene.

Dottor Zuffi, che cos’è una specie alloctona?
Si definisce alloctona una specie che non è tipica del paese a cui si fa riferimento. Può essere autoctona in un diverso territorio, nel suo paese d’origine, e se trasferita diventare alloctona. Un primo esempio può essere la Nutria, particolarmente diffusa in Emilia-Romagna ma presente in tutta Italia, che è in realtà una specie sudamericana. Fu importata negli anni ’37-’38 a Napoli e in Toscana per la sua pelliccia; alcuni esemplari scappati dagli allevamenti trovarono un habitat ideale in Italia e si riprodussero tanto che ormai la nutria è considerata specie italiana.
Solo in Italia, secondo quanto riporta l’IUCN riguardo alle alien species, ci sono 223 specie alloctone tra funghi, piante, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli e crostacei.

Qualche esempio di specie alloctona che vive nelle nostre zone e che magari non è comunemente riconosciuta come tale?
Il Daino, per esempio. Questo animale, il cui nome scientifico è Cervus Dama, è stato importato dai Romani per la sua bellezza. Anche se ormai è presente in Europa centrale da 2000 anni, il suo territorio d’origine è a sud-est rispetto a noi.
Oltre al Daino, nella storia ci saranno molte specie che per cause differenti si saranno spostate da una zona all’altra.
Il Pomodoro, ma anche alcune varietà di Patata, il Mais, la Canna da Zucchero. Tutte queste specie hanno inciso profondamente sulla nostra cultura alimentare, sulla nostra storia e sull’industria. Molti dei nostri piatti tipici, dalla pizza ad vari generi alcolici, sono prodotti con ingredienti alloctoni.

Se una specie attecchisce in una zona diversa da quella di origine e vi resta per molto tempo, come avviene ad esempio per il Pomodoro, si può ancora definire alloctona?
La specie resta alloctona a tutti gli effetti. Chiaramente ci sono varie scale geografiche. Una specie originaria delle nostre Alpi, che venga trasportata sugli Appennini, sarà autoctona per quanto riguarda l’Italia ma alloctona in quella zona specifica. Il fatto che poi si riproduca in quel sito non significa che la specie diventi autoctona, perché non si è evoluta lì.


Rana Toro, una specie alloctona tra le più diffuse in ItaliaLe specie alloctone hanno un impatto sull’ambiente in cui si inseriscono?
Hanno sempre un impatto, o neutro o negativo [nel caso questo venga considerato neutro la specie si definisce alien, in caso sia riconosciuto come negativo si definisce invasive, NdR]; ma nel caso in cui la loro influenza sia registrata come neutra spesso la ragione è che non è stata studiata in modo approfondito. Le testuggini palustri americane, le Trachemys, (quelle dalle guancette rosse) che fino a dieci anni fa si potevano commerciare senza problemi e tuttora sono diffuse in buona parte d’Italia, hanno nella cloaca una serie di salmonelle pericolose per la salute umana.
Questi animali vengono trasportati in Europa (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, dove attecchiscono meglio) e le loro salmonelle possono diventare parte della fauna di batteri interna alle cloache delle specie nostrane; ancora non si sa se possano causare danni agli individui ospiti. Di certo non fanno bene a noi umani se entriamo in contatto con le acque in cui dimorano.
Un caso che dimostra come l’introduzione di specie alloctone, animali o botaniche, sul lungo o medio periodo possa avere influenze su altri organismi; o perché trasmette malattie, o perché parassitizza o preda o intacca altri organismi.

La circolazione delle specie, pur con le ricadute traumatiche che abbiamo visto, non è in fondo un aspetto naturale dell’evoluzione degli organismi sul pianeta?
Naturalmente gli animali e le piante si spostano, passivamente o attivamente. Un conto però è una colonizzazione naturale, penso a spore di piante o a protozoi, un conto è trasferire fisicamente un animale o una pianta. Pensiamo alle Acacie: sono specie invasive trasferite dall’America alla fine dell’800 in Italia perché molto utili a consolidare le massicciate ferroviarie. È improbabile che la Robinia (una specie di Acacia, la più diffusa in Italia) avrebbe potuto traversare l’Atlantico in modo naturale. L’uomo accelera un processo che avrebbe altrimenti richiesto centinaia o migliaia di anni.
Il problema è quindi che mentre sul lungo periodo le specie si adattano (anche geneticamente) al nuovo ambiente, e viceversa, sul breve periodo questo non è possibile, e l’incontro genera traumi. Non ho mai sentito un caso di introduzione artificiale che abbia procurato benefici. Sono alterazioni di un equilibrio che si è costituito in milioni di anni.

Esiste una connessione tra la circolazione di alloctoni e il cambiamento climatico?
Alcune variazioni hanno un impatto molto favorevole per le specie adatte ai climi più caldi, che se trasferite nell’Europa odierna, più calda, hanno gioco facile. Altre come il visone, che è tipico di zone continentali fredde, avranno forse qualche problema. Sono comunque previsioni difficili da fare, bisogna lavorare con GIS e modelli matematici complessi.

Lo studio degli alloctoni può insegnarci qualcosa sulla resilienza?
Per esempio, il ratto è una specie dotata di una resilienza straordinaria. È estremamente flessibile e quindi reagisce con efficacia ad ogni cambiamento del proprio habitat. Si può dire che il ratto ‘fa il ratto indipendentemente da dove si trova’.
Una lezione di resilienza.

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