giovedì, settembre 29, 2011

Aspoitalia e il dibattito italiano sul picco del petrolio

Pubblichiamo il documento inviato alla stampa dal Comitato Scientifico di Aspoitalia per controbattere ad alcune affermazioni pubbliche che negano la realtà del picco petrolifero.


Raccontando un incontro al Festival dell'Energia di Firenze, Lorenzo Pinna, uno dei giornalisti della rubrica televisiva SuperQuark, scrive un articolo dal titolo roboante “Balle energetiche: il Peak Oil e altri falsi miti“.
Nell'articolo si riprendono alcune delle opinioni sul Picco del Petrolio del Prof. Vaclav Smil da questi già espresse nel suo recente libro: “Energy Myths and Realities” e in un articolo reperibile in rete [1].
Il Picco del Petrolio sarebbe un falso mito. Nella sostanza l'articolo di Pinna e le pubblicazioni citate non aggiungono nulla di nuovo rispetto alla ricca letteratura meta-scientifica che si occupa di sfatare il mito del Picco del Petrolio.
Pinna, Smil e recentemente Yergin del Cambridge Energy Research Association adottano argomentazioni datate: non è vero che il petrolio è finito, anzi ne abbiamo sempre di più. Con questo essi intendono dire che ne abbiamo sempre di più da annoverare fra le risorse conosciute.
L'affermazione è tanto discutibile quanto inutile e non risolve il problema dell'offerta di combustibili liquidi.
E' infatti essenziale estrarlo quel petrolio, cioè produrlo.
L'impegno delle compagnie petrolifere, tutte le tecnologie dispiegate e il prezzo del barile (che nel decennio 1998-2008 è aumentato di un fattore 10 e oggi oscilla su valori non lontani dai 100 USD/barile) hanno permesso di impedire il declino della produzione di liquidi combustibili, ma lo hanno fatto attingendo a risorse assai più costose energeticamente ed economicamente, bilanciando il calo di produzione del petrolio convenzionale che, come previsto dagli stessi geologi citati nell'articolo di Pinna, ha avuto il suo picco attorno al 2005.
I fatti sono quantitativamente descritti nel seguente grafico tratto da The Oil Drum [2].
Qui è visibile il “plateau” (l’altopiano disegnato dalla stasi produttiva) nel quale ci troviamo dal 2004 e che viene faticosamente mantenuto a causa delle crescenti difficoltà di individuazione e di estrazione, nonché legate alla inferiore qualità del greggio.
Dalla prima metà del secolo scorso ad oggi il costo energetico di estrazione (determinato dal rapporto tra la quantità di energia investita e quella che se ne ricava, definito ERoEI), su cui pesano anche le sempre più onerose azioni di ripulitura ambientale (come quelle del Golfo del Messico), è aumentato in media di 10-15 volte. Un processo negativo che riduce di fatto la risorsa netta estraibile e quindi realmente disponibile.
Le nuove tecnologie introdotte possono in realtà solo allungare di qualche anno questo stato di stallo produttivo, dopodiché l'inizio della discesa della disponibilità di greggio sarà inevitabile.
Considerazioni analoghe sono contenute in recenti documenti del JOE (The Joint Operating Environment) del Comando delle Forze Armate USA, del Dipartimento dell’Energia del governo USA (DoE) e del Zentrum für Transformation der Bundeswehr, un Centro di Ricerca dell’esercito tedesco.
Anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia nel suo ultimo rapporto colloca nel 2008 il picco della produzione di greggio convenzionale dei giacimenti già in produzione e nel 2015 quello deigiacimenti che si stanno ora sviluppando.
Successivamente il mantenimento del livello di produzione risulterebbe garantito solo da improbabili nuove scoperte che si potessero estrarre tempestivamente.
Le altre energie fossili (gas e carbone) seguono trend ed evoluzioni peggiorative dell’ERoEI analoghe, anche se non temporalmente coincidenti. Possibili processi di sostituzione di una fonte energetica primaria con un’altra non sarebbero comunque in grado di soddisfare una domanda di energia globale tendenzialmente in costante crescita.
Il problema non è la quantità di energia fossile che possiamo contemplare attraverso i sofisticati mezzi della prospezione geologica, ma la quantità di petrolio (o di gas o carbone) che possiamo estrarre a costi che il sistema economico globalizzato (largamente dipendente da un flusso ininterrotto di energia a buon mercato) può permettersi senza andare in tilt come nell'estate del 2008.
Allora, in concomitanza con il picco assoluto del prezzo del barile, il sistema finanziario inciampò nella realtà fisica che è alla base della ricchezza monetaria, piombando in un crisi da cui ancora nessuno sa quando e se si potrà uscire.


[1] Vaclav Smil - Peak oil: A Catastrophist Cult and Complex Realities - http://www.vaclavsmil.com/wpcontent/
uploads/docs/smil-article-2006-worldwatch.pdf
[2] http://www.theoildrum.com/node/8391

Comitato Scientifico ASPO-Italia.

martedì, settembre 27, 2011

Dati energetici planetari

Dal Rapporto annuale di British Petroleum pubblicato qualche mese fa, contenente le statistiche energetiche mondiali per il 2010, estraggo e vi propongo due grafici di sintesi tanto colorati quanto significativi. Il primo riguarda l'andamento storico, dal 1985 ad oggi, dei consumi energetici mondiali, espressi in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Osserviamo che, dopo il calo epocale dei consumi verificatosi nel 2009 durante il dispiegarsi della crisi economica, nel 2010 tali effetti sono terminati e i consumi hanno ripreso a crescere superando il valore pre - crisi. Tutto torna come prima? Staremo a vedere, però le crisi dei debiti sovrani e le nuove tendenze recessive di questi mesi sembrerebbero indicare il contrario.

Il secondo grafico, mostra l'evoluzione della produzione mondiale di petrolio, scomposta anche per regione, nello stesso periodo considerato per i consumi energetici, misurata in milioni di barili al giorno. Notiamo il cosiddetto plateau produttivo, definito così nell'ambito degli addetti ai lavori, cioè la sostanziale stasi della produzione petrolifera dal 2004 ad oggi, con un calo netto nel 2009 e una ripresa nel 2010. Preludio alla riduzione graduale e irreversibile preconizzata da ASPO? Ai posteri l'ardua sentenza.

Infine, inserisco anche un grafico a torta che ho ricavato personalmente dagli stessi dati BP. Rappresenta la ripartizione percentuale dei consumi totali di energia del 2010 per fonte. Il mondo continua drammaticamente ad essere fossile - dipendente. Infatti, petrolio, carbone e gas naturale coprono circa l'87% della domanda energetica mondiale, lasciando poche briciole alle rinnovabili e ancora meno al nucleare. E qui sorge l'ultima e più drammatica domanda: riusciremo a liberarci della schiavitù energetica dei combustibili fossili, senza ritornare a un Medio Evo prossimo venturo?

Tutti i grafici si possono ingrandire cliccandoci sopra.








sabato, settembre 24, 2011

La fine della crescita

Richard Heinberg è un noto giornalista americano, senior fellow del Post Carbon Institute che ha scritto numerosi libri sul picco del petrolio e sui limiti della crescita economica. Di recente ha pubblicato il libro The end of growth, "La fine della crescita", che affronta in maniera non convenzionale il tema cruciale dell'attuale crisi economica e delle sue possibili conseguenze.

Tra le sue molte interviste che circolano sul web vi propongo questa, che mi pare la più interessante e che esprime bene il suo pensiero.
Egli sostiene che la crescita economica, almeno nelle forme che abbiamo conosciuto negli ultimi sessanta anni, sia terminata a causa di limiti intrinseci allo stesso meccanismo di espansione illimitata della produzione e consumi che la caratterizza. La parte della sua analisi che condivido particolarmente, che coincide abbastanza con quanto ho scritto di recente qui, è quella relativa ai motivi che hanno prodotto l'attuale crisi economica. Egli infatti considera che il picco del petrolio sia una delle cause della fine della crescita, ma non l'unica. Infatti, a un certo punto dell'intervista afferma: "Ebbene, il rialzo del prezzo del petrolio è stata l'unica causa della recessione? Assolutamente no. E sono d'accordo con Nicole Foss nel sostenere che l'economia finanziaria era destinata a crollare." e cita il superamento del limite del debito pubblico e privato su cui si basa il sistema finanziario, tra le cause della crisi economica.

Insomma, va oltre quell'approccio riduzionista alle questioni economiche che considera il picco del petrolio come "primum movens" di ogni trasformazione della società. Si tratta di una riflessione presente in tutte le discussioni di chi si occupa di limiti delle risorse, e anche in Aspoitalia. Le idee di Heinberg mi pare che facciano pendere la bilancia maggiormente a favore dei sostenitori della "complessità".

La parte dell'intervista di Heinberg che mi convince di meno, ma devo ancora leggere il libro e potrei sbagliarmi, è quella relative alle soluzioni per superare la crisi. Lo sviluppo delle economie locali è un fattore senz'altro importante, ma andrebbe inserito in un processo di riorganizzazione economica e sociale più ampio e articolato. Inoltre, mi pare che Heinberg sottovaluti un pò troppo il ruolo delle energie rinnovabili nel processo di trasformazione che ci attende.

giovedì, settembre 22, 2011

I limiti del paradosso di Jevons

Pubblichiamo questo interessante articolo di Eugenio Saraceno sui consumi di carburante in Italia, che si può considerare una prosecuzione e un'utile integrazione del mio precedente "Un picco al giorno ..." (la tabella richiede un piccolo sforzo interpretativo in quanto non sono riuscito a mettere in fila i dati).



Scritto da Eugenio Saraceno



Il paradosso di Jevons descrive una situazione ben nota a chi si occupa di efficienza e risorse. Quando un nuovo processo o una nuova tecnologia consentono di utilizzare una risorsa con più efficienza, tale guadagno di efficienza viene ben presto vanificato da un aumento del consumo della risorsa stessa.
L'esempio più lampante è quello dell'efficienza dei motori delle automobili. Nonostante un continuo miglioramento dei consumi specifici km/l dei motori delle autovetture più popolari disponibili sul mercato, il risparmio di ogni automobilista veniva mediamente reinvestito per percorrere molti più km.
Esaminiamo però la seguente tabella, relativa ai consumi di carburante per autotrazione in Italia (fonte UP).
Come si nota dalla prima riga il processo di miglioramento dell'efficienza dei motori è presente per tutto il periodo considerato.
Ciononostante il consumo totale di carburanti presenta un picco nel 2004 e poi scende sensibilmente negli anni successivi, in modo inversamente correlato all'aumento del costo medio dei carburanti riportato nell'ultima riga.

ANNO 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
consumo medio km/l 14 14,1 14,3 14,6 15 15,5 15,9 16,2 16,3 16,4 16,5
consumo annuo kton 19764 20010 20087 20128 19652 19057 18734 18286 17885 17293 16910
consumo medio annuo l 912 902 886 870 834 801 778 753 735 709 691
prezzo medio euro/l 1 1 1 1,1 1,15 1,25 1,2 1,3 1,15 1,3 1,35

Da questo andamento potremmo dedurre che il paradosso di Jeavons vale nei periodi di crescita economica per le risorse che sono commodity, cioè il cui prezzo sui mercati è determinato dall'offerta, ovvero per ogni delta di domanda aggiuntiva il mercato è in grado di fornire istantaneamente la corrispondente offerta.
In uno scenario dominato dalla domanda, come il mercato dei prodotti petroliferi nei paesi importatori nell'ultimo decennio il paradosso di Jeavons si è attenuato e poi si è invertito come mostrano questi dati.
Si fanno meno km per risparmiare sul carburante, e se si acquista una nuova auto più efficiente, non si utilizzano i risparmi per percorrere più km, ma per ridurre l'impatto dei maggiori costi, visto che non c'è una crescita economica che permette di assorbire questi aggravi.

lunedì, settembre 19, 2011

Berlinguer e i limiti dello sviluppo

Qualche giorno fa ero per lavoro a Roma. La sera, bighellonando per la città, ho letto un manifesto che presentava una festa della CGIL alle Terme di Caracalla, articolata in diversi giorni di convegni e iniziative, per ricordare le figure di Luciano Lama ed Enrico Berlinguer. Quella sera c'era proprio un dibattito sullo scomparso segretario del PCI, con la partecipazione di noti politici. Non potevo perdere una simile occasione, essendo un profondo estimatore del lungimirante pensiero politico di Berlinguer.

Lo spazio dibattiti era gremito come sempre meno accade agli incontri politici italiani, di una folla attenta e partecipe. Tutti i relatori hanno messo in evidenza le straordinarie doti del politico sardo che tanto lo distinguevano dai politici di oggi: la riservatezza, il rifiuto della personalizzazione della politica, il rigore morale, la serietà. Io avrei aggiunto il rifiuto della demagogia, ed è stupefacente ricordare il misterioso carisma di questo personaggio nei confronti di un popolo come quello italiano storicamente incantato da politici populisti, retorici e, appunto, demagogici.

Ma soprattutto è stata ricordata la straordinaria attualità delle sue tesi, come il primato della democrazia anche in una società socialista, la "questione morale" annunciata in una celebre intervista ad Eugenio Scalfari nel 1981, per finire con la visione profetica, ma all'epoca poco compresa e vilipesa, dell'"austerità", il tentativo politico forse più avanzato nell'occidente consumistico di porre la società di fronte ai problemi e alle contraddizioni dei "limiti dello sviluppo".

Ci voleva una nuova e forse più devastante crisi per rivalutarne le intuizioni, ho pensato con un pò di soddisfazione personale, avendo pubblicato su questo blog, ormai più di tre anni fa, l'articolo "Berlinguer ti voglio bene" citando alcuni passi dei suoi discorsi pubblici sull'argomento. Invito a rileggerli con attenzione, sono di una stupefacente attualità.

Sono i grandi uomini che influenzano i fatti della storia o sono le condizioni storiche che fanno emergere i grandi uomini? E' un pò come rispondere al quesito se è nato prima l'uovo o la gallina. Però, pensando alla drammatica situazione che stiamo vivendo e alla pochezza dei politici italiani, ottusamente fermi in attesa di "tempi migliori" che non arriveranno più, sto cominciando a convincermi cha la risposta possa essere la prima.

venerdì, settembre 16, 2011

Irisbus, Legambiente e il trasporto pubblico

Dopo qualche articolo sui trasporti in Italia, allo scopo di non annoiare l'uditorio, stavo per cambiare argomento, ma in questi giorni sono successi altri fatti rilevanti che meritano un commento. Spero che i lettori comprendano i motivi dell'insistenza, tutti legati al fatto che crisi del petrolio e crisi economica hanno conseguenze immediate e più evidenti proprio nel settore dei trasporti.

La prima notizia è l'annuncio ufficiale di Fiat riguardante la chiusura della Irisbus di Valle Ufita, unico stabilimento italiano di produzione degli autobus urbani. Il motivo, spiegato dall'azienda, è che le amministrazioni locali sempre più prive di risorse economiche, non comprano più autobus. Ieri sera, mentre assistevo a un dibattito sulla figura di Enrico Berlinguer (che, pensandoci, potrebbe essere l'oggetto di una prossima riflessione sui limiti dello sviluppo), ho ascoltato Nichi Vendola apostrofare pesantemente Marchionne proprio per la chiusura di Irisbus, interpretata come un ennesimo attentato contro i servizi pubblici.

La seconda notizia, è la proposta di Legambiente di finanziare con un aumento di 3 centesimi dell'accisa sui carburanti, il salvataggio dei servizi (e delle aziende) di trasporto pubblico locale.

A mio parere, sia Vendola che Legambiente, non comprendendo la natura profonda della crisi in atto e le profonde conseguenze sul meccanismo della spesa pubblica, propongono soluzioni superate e inefficaci a giuste esigenze.

In condizioni strutturali di stagnazione economica (che Berlinguer definì profeticamente "austerità), non è più possibile espandere la spesa pubblica all'infinito, tanto più nella direzione di servizi estremamente inefficienti sul piano economico e gestionale, come quello del trasporto pubblico su gomma (il rapporto ricavi costi raggiunge a malapena il 30%). Si pone pertanto come condizione essenziale per il mantenimento e la crescita del trasporto pubblico, il miglioramento della produttività del servizio, attraverso una profonda riconversione verso i moderni sistemi ferro - tranviari che garantiscono costi specifici (vedere qui) nettamente inferiori, introiti maggiori e un minore impatto sulla casse dello Stato.

A Vendola consiglio di battersi per la riconversione della fabbrica italiana dalla produzione di autobus a sistemi di trasporto più moderni ed efficienti. A Legambiente consiglio di proporre l'aumento delle accise, come faccio io da anni, per la realizzazione di un grande piano di riconversione del trasporto pubblico italiano (ne ho accennato qui). Ad entrambi, consiglio di essere meno provinciali, visitando e studiando gli innumerevoli esempi di successso europei nel campo dei trasporti pubblici.

lunedì, settembre 12, 2011

Ciao Ciao Messina

Si possono parafrasare le parole di una celeberrima canzone di Domenico Modugno, per commentare la notizia apparsa ieri sul Sole 24 Ore della probabile bocciatura da parte della Commissione Europea del Ponte sullo Stretto di Messina.
Infatti, la Commissione ha presentato una prima proposta di “core network” (è la rete delle infrastrutture europee prioritarie) che esclude la parte finale del corridoio 1 fra Napoli e Palermo, cancellando così anche il Ponte. A sorpresa, nel “core network” che sarà approvato a fine settembre, è stata invece inserita la Ferrovia ad Alta Velocità Napoli – Bari. Il governo, per bocca del Sottosegretario Castelli, ha vivacemente protestato per l’esclusione del Ponte sullo Stretto, sembra riuscendo a lasciare aperta la trattativa con la Commissione.

Noi invece saremo contentissimi se l’Unione Europea escluderà quest’opera stradale tanto mastodontica quanto inutile a favore di una infrastruttura ferroviaria effettivamente utile per il Sud, che proietta il sistema dell’alta velocità ferroviaria in un’area economicamente importante finora malamente collegata al resto del paese.
Ma non basta. Bisogna accantonare altri progetti stradali e autostradali inutili in epoca post picco petrolifero, per concentrare gli investimenti nell'estensione dell'alta velocità ferroviaria anche in altre aree del sud, nella riqualificazione delle ferrovie locali esistenti e nel potenziamento del trasporto collettivo su ferro nelle aree urbane in tutto il paese.

Quest'ultimo obiettivo può essere perseguito attraverso un grande progetto nazionale di costruzione di linee ferro – tranviarie moderne in grado di fornire un servizio qualitativamente elevato ed economicamente efficiente. Un progetto che ho definito “Mille chilometri di nuove linee tranviarie in cento città d’Italia”, che prenda spunto da quanto si sta realizzando da decenni nei paesi europei più evoluti in materia di trasporto pubblico: linee tranviarie moderne, spesso integrate totalmente con la rete ferroviaria locale attraverso la tecnologia del tram treno in grado di percorrere indifferentemente tracciati urbani e binari ferroviari. Ne ho scritto di recente qui.
Ho stimato il costo di realizzazione del progetto in circa 20 miliardi di euro, da attuare attraverso un piano decennale finanziabile con fondi europei, nazionali, regionali e con procedure di gara che favoriscano un processo di liberalizzazione dei servizi, coinvolgendo privati ed enti terzi nel finanziamento delle opere.

Traendo lezione dal sostanziale fallimento dell’esperienza precedente di finanziamento dei trasporti rapidi di massa avviata con la Legge n. 211 del 1992, causata principalmente dall’arretratezza, inettitudine e incapacità amministrative di molti Sindaci italiani, è necessario a mio parere adottare un piano nazionale degli interventi necessari supportato da una struttura di controllo dotata di poteri sostitutivi, in grado di verificarne l’avanzamento.
E’ il momento, come in altri settori cruciali della nostra economia, delle scelte tempestive. Se vogliamo sostituire all'agonizzante trasporto pubblico su gomma un’alternativa efficace in termini energetici ed economici al progressivo ma inevitabile declino del trasporto privato motorizzato la strada obbligata non può essere che la trazione elettrica su ferro.

venerdì, settembre 09, 2011

Un picco al giorno...

Ad Aprile scrissi un articolo "I consumi dei carburanti in Italia", nel quale inserii e commentai due grafici che avevo elaborato a partire dai dati disponibili sul sito dell'Unione Petrolifera. Essi esprimevano in maniera evidente il raggiungimento di un picco, sia nei consumi totali di carburanti, sia nei consumi dei mezzi privati per il trasporto delle persone, in analogia con l'andamento di altre grandezze energetiche del nostro paese.

Vi propongo ora tre nuovi grafici, dedotti sempre dalla stessa fonte, che rappresentano rispettivamente i consumi totali dei carburanti venduti sulla rete di distribuzione italiana, le vendite di carburanti in alcuni paesi europei, la domanda procapite di carburanti nell'Unione Europea. Nel primo, anche se la base temporale è più stretta, osserviamo anche in questo caso un bel picco, frutto di un discesa costante dei consumi di benzina e una saturazione dei consumi di gasolio.

Nel secondo, vediamo che nel confronto con altri paesi europei la tendenza al calo dei consumi in Italia è più accentuata, con la Germania in evidente controtendenza (grazie a una migliore situazione economica). Nel terzo, che illustra meglio, attraverso il consumo specifico, la domanda di carburanti nei paesi europei, notiamo invece che la Germania ha una domanda procapite addirittura inferiore a quella italiana, probabilmente anche a causa di un minore uso nelle aree urbane dell'automobile.

Tornando all'Italia, gli automobilisti e i consumatori continuano a strepitare contro un presunto cartello dei petrolieri per tenere alti i prezzi dei carburanti, ma abbiamo spiegato in varie occasioni che si tratta di un falso obiettivo. La vera causa, come abbiamo spiegato ad esempio qui e qui, è la dinamica dei prezzi petroliferi mondiali e, conseguentemente, del prezzo dei prodotti raffinati. Se poi guardiamo quest'ultimo grafico tratto da uno studio di Nomisma Energia, ci accorgiamo che i prezzi al consumo dei carburanti sono bassi in confronto ai prezzi degli altri beni acquistati dagli italiani. Quindi non si capiscono tutte queste proteste, se non con l'inveterata abitudine della politica italiana alla demagogia, di cui parleremo anche in prossimi articoli.

Nel frattempo, il governo ha tagliato altri soldi al trasporto pubblico locale e lo spettro del fallimento delle aziende di trasporto pubblico locale si fa sempre più concreto. Ma la responsabilità è di tutta la politica italiana che, a differenza degli altri paesi europei, ha colpevolmente evitato negli ultimi decenni di riconvertire l'inefficiente trasporto pubblico su gomma nelle aree urbane nei moderni sistemi ferro - tranviari.











mercoledì, settembre 07, 2011

La casa brucia

Oggi siamo purtroppo costretti a parlare della drammatica crisi dalle conseguenze imprevedibili, che si sta di nuovo abbattendo sullo Stato italiano a causa dell'incapacità dell'attuale governo di adottare una manovra economica efficace e credibile che tranquillizzi i mercati e tarpi sul nascere le nuove ondate speculative sui titoli di Stato.

La crisi dei debiti sovrani, diretta conseguenza della crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2008, ha colpito anche altri paesi europei e d'oltreoceano, ma l'Italia ha una peculiarità che la distingue dalle altre Nazioni: un debito pubblico elevatissimo (120% del PIL) abbinato a una ricchezza privata tra le più rilevanti al mondo (come ho scritto in dettaglio qui), accumulata anche grazie ad un'abnorme e anomala evasione fiscale (da me descritta qui).

Nella tabella allegata (per ingrandire cliccare sopra), tratta da uno studio effettuato per Manageritalia e Confedir-Mit dal Professor Nicola Quirino, docente di Finanza pubblica all’Accademia della Guardia di Finanza e alla Luiss (una sintesi è disponibile qui), possiamo leggere la paradossale e poco credibile condizione reddituale delle categorie economiche italiane. Di fatto, lavoro dipendente e pensionati forniscono nel nostro paese la stragrande maggioranza del gettito fiscale.
Nel grafico qui sotto vediamo anche la poco credibile curva dei redditi italiani, caratterizzata da una platea bassissima di contribuenti "ricchi".
Questa situazione di ingiustizia sociale è ancora più intollerabile in un momento di crisi profonda delle finanze dello Stato, dissestate anche grazie all'infedeltà fiscale di tanti soggetti economici.

Per tutti questi motivi, l'unica proposta seria per farci uscire dalla crisi drammatica che stiamo vivendo prima che la casa bruci è secondo me quella avanzata da alcuni economisti, in particolare dal Presidente di Nomisma, Pietro Modiano: una patrimoniale sulla ricchezza accumulata dal 20% degli italiani (2200 miliardi, pari al 25% della ricchezza totale deli italiani), grazie anche all'evasione fiscale. Avrebbe un gettito di circa 200 miliardi e porterebbe drasticamente il debito pubblico al 100% del PIL. Ma dubito che questo governo farà mai una cosa del genere in quanto diretta espressione politica degli interessi coinvolti, inoltre mi pare che la Lega punti decisamente allo sfascio del paese.
Spero che il Presidente Napolitano abbia il polso della situazione, e se la situazione si dovesse ulteriormente aggravare, assuma la difficile responsabilità di affidare un incarico a una personalità di indiscusso prestigio e provate capacità in campo economico, in grado di farsi carico delle decisioni indispensabili per la salvezza economica del paese.

venerdì, settembre 02, 2011

In ricordo di due combattenti per la libertà

Oggi, 5 Settembre, è il primo anniversario della vile uccisione di Angelo Vassallo, il Sindaco di Pollica nel Cilento, distintosi per il suo impegno a favore dell'ambiente e della legalità. Gli inquirenti non sono ancora riusciti a scoprire mandanti ed esecutori del delitto, ma ci auguriamo che le indagini ancora in corso riescano finalmente a fare luce sull'oscura vicenda e a restituire almeno un pò di giustizia ai familiari di Angelo e ai cittadini del paesino campano.

Qualche giorno fa è ricorso anche il ventennale dell'uccisione di Libero Grassi, l'imprenditore siciliano ucciso perchè si era ribellato alla mafia, rifiutandosi di pagare il "pizzo" e sottostare alle richieste di estorsione. Per il suo assassinio alcuni boss di Cosa Nostra sono stati condannati nel 2004.

Sono solo due esempi più avanzati e nobili della reazione che una società meridionale tutt'altro che assuefatta tenta di opporre alla piaga storica della criminalità organizzata e che ha visto tra i suoi esponenti personaggi del calibro di Falcone e Borsellino.

Come ho scritto proprio un anno fa in questo articolo, la mafia è un complesso fenomeno antropologico e sociale che secondo alcuni studiosi affonda le sue radici addirittura nell'età del bronzo. Quindi il percorso di emancipazione e civilizzazione sarà lungo e graduale. Molte volte, come nel caso delle barbare uccisioni di Vassallo e Grassi, ci sembrerà venir meno la speranza, ma è proprio il loro sacrificio che ci deve spronare a continuare la loro battaglia di libertà per l'Italia.