lunedì, gennaio 31, 2011

Fuoco amico




Morire in guerra è sempre un evento drammatico, ma lo è ancora di più quando capita di essere ammazzati dal cosiddetto fuoco amico, cioè per errore dall'esercito di cui si fa parte.

Nella guerra, per fortuna metaforica, in corso tra le fonti rinnovabili, i combustibili fossili e il nucleare, sta accadendo in Italia qualcosa di simile, cioè alcuni personaggi della stampa come Pirani o la Gabanelli, che ci aspetteremmo di trovare nel nostro campo di battaglia, cominciano a sparare inspiegabilmente contro le rinnovabili.

Ho affrontato questo tema, cercando di indicare agli autorevoli giornalisti quali fossero gli errori che li inducono a sbagliare la mira del bersaglio energetico, in questo articolo e in quest'altro.

Ma, con piacere, ho scoperto che un ambientalista molto più autorevole di me, l'ex Ministro dell'Ambiente, Edo Ronchi, ha replicato più o meno con le stesse mie argomentazioni a Gabanelli e Pirani. Per questo vi propongo di seguito integralmente l'ultima lettera di Ronchi al giornalista di Repubblica, che ha inopinatamente apprezzato i provvedimenti del governo che riducono i finanziamenti e pongono grossi vincoli all'eolico e al fotovoltaico.

Risposta di Edo Ronchi all'attacco di Mario Pirani al solare e all'eolico


Mario Pirani, in un recente articolo, plaude alla revisione degli incentivi sulle rinnovabili, proposta da Tremonti in un provvedimento all'esame del Parlamento.

Aggiungendo che non solo è sacrosanta questa revisione, ma che i referenti delle lobby delle rinnovabili, "mafiosi e no", stanno scatenando una corsa alle nuove installazioni e che contro questa"scorribanda" si sarebbero mobilitate le "principali associazioni ambientaliste".

In generale l'articolo è diretto contro " le truffe che, grazie agli incentivi eccessivi, si accompagnano al proliferare degli impianti eolici, sia contro le devastazioni del paesaggio agricolo in seguito alla messa in opera su troppe vaste estensioni di terreno di pannelli fotovoltaici".
In effetti se il citato provvedimento fosse approvato nel suo testo originale, tagliando di colpo del 30% gli incentivi per l'eolico e vietando gli impianti solari consistenti in qualunque area classificata agricola, comprese quelle molto estese dove ormai non si coltiva più nulla e di nessun particolare pregio naturalistico, e limitando fortemente anche quelli piccoli in tali aree, si otterrebbe il bel risultato di stroncare lo sviluppo, in atto anche in Italia come nei principali altri Paesi del mondo, delle nuove fonti rinnovabili.

Il WWF, Legambiente e Greenpeace che rappresentando in Italia oltre il 90% degli iscritti, sono "le principali associazioni ambientaliste", hanno tenuto il 14 maggio, in una sala del Senato, una conferenza stampa, dove ero presente, dove hanno presentato delle proposte di emendamenti proprio su quel provvedimento, chiedendo, in difesa dello sviluppo delle rinnovabili indispensabili per contrastare la crisi ambientale più grave della nostra epoca, di ridurre il taglio degli incentivi al 15% e di non vietare per legge gli impianti solari a terra in tutte le aree agricole, ma solo nelle aree agricole dove si realizzano produzioni strategiche, attuando le linee guida recentemente introdotte, nel rispetto delle valutazioni ambientali e di incidenza previste dalle normative ambientali e paesistiche vigenti, affidando l'attuazione di tale indirizzo alle Regioni.

Aggiungo che tale posizione, condivisa dal sottoscritto, è stata espressamente apprezzata anche da esponenti di associazioni dei produttori di rinnovabili presenti.

Chi si oppone in maniera così virulenta, addirittura in nome dell'ambiente, ad uno sviluppo consistente delle fonti energetiche più pulite e rinnovabili,come il solare e l'eolico, ha il dovere di indicare le alternative praticabili e disponibili a minore impatto. Altrimenti siamo alle solite: no anche all'impianto di compostaggio perché non mi piace,poi abbiamo i rifiuti per strada,no alla tranvia e alla metropolitana,poi il centro si intasa di auto.

Per mitigare la crisi climatica, tagliando le emissioni di gas di serra,in tutto il mondo si punta su una forte crescita della produzione di elettricità da fonti rinnovabili. Tale crescita è trainata da due fonti in maggiore crescita : il solare e l'eolico.

Chi afferma il contrario o è disinformato o racconta fesserie. Sono previsti in Europa obiettivi obbligatori, fissati da una Direttiva, di sviluppo delle rinnovabili al 2020 e le trattative internazionali in corso prevedono ulteriori e più drastici tagli di emissioni di gas di serra anche successivamente, al fine di contenere le variazioni di temperatura globale nei 2 gradi centigradi. In Italia con l'eolico nel 2010 sono stati prodotti 8,3 miliardi di chilowattora,con il solare 1,6 miliardi , con una consistente crescita rispetto all'anno precedente. Per attuare la direttiva europea dovremo produrre oltre 20 miliardi di chilowattora da eolico e circa 11 miliardi da solare,secondo il Piano presentato lo scorso anno: quindi moltiplicare per 2,4 gli impianti eolici e per 6,8 quelli solari.

Leggo che la mafia investe anche nei ristoranti. Mi aspetto quindi un prossimo articolo di Pirani che attacchi la lobby dei ristoratori e chieda la chiusura dei ristoranti.

Edo Ronchi
Roma, 26 gennaio 2011

sabato, gennaio 29, 2011

Composizione dei consumi di energia primaria italiani













In questo precedente articolo abbiamo analizzato il calo storico del Consumo Interno Lordo di energia primaria in Italia e stimato gli effetti nel 2009 di tale sensibile riduzione sulle emissioni di gas serra.
Completiamo l’analisi con i due grafici allegati, che sintetizzano la scomposizione di tali consumi nel 2009 per fonte e per usi. Si può notare, effettuando il confronto con il grafico del 2008, contenuto in quest'altro mio post, un calo percentuale dei combustibili fossili a favore delle rinnovabili e un incremento del peso complessivo dell’uso di energia elettrica rispetto agli altri usi.

giovedì, gennaio 27, 2011

Notizie tranviarie

Nell’arretrato sistema dei trasporti pubblici italiano, faticosamente cominciano ad emergere poche ma significative ed innovative esperienze nel solco degli ormai consolidati modelli di trasporto ferro-tranviari europei. Ne abbiamo riferito in passato e continuiamo con alcuni aggiornamenti.

In questo articolo troviamo interessanti riferimenti al notevole successo della tranvia delle valli bergamasche.

Dopo l’entrata in esercizio della nuova linea tranviaria fiorentina nel febbraio scorso, qui commentata, arrivano ottime notizie sull’apprezzamento e sull’utilizzo da parte degli utenti che segnalo in questi articoli:

Lascio l'auto, mi piace il tram

Ogni giorno 40000 passeggeri sulla tramvia fiorentina


Tranvia boom, tutti pazzi per Sirio 7 milioni e mezzo di passeggeri

I casi di Bergamo e Firenze non differiscono minimamente dagli altri enormemente più diffusi esempi europei e l'avevo previsto e preannunciato. Appena entra in funzione una nuova linea tranviaria, gli utenti aumentano di una certa percentuale rispetto al servizio su gomma preesistente grazie al trasferimento di quote di spostamento dal mezzo motorizzato privato alla tranvia, per i motivi che ho spiegato qui.

Ma, quando viene completata una rete di linee tranviarie urbane, meglio ancora se integrata con le ferrovie locali, il meccanismo di sottrazione di quote di trasporto motorizzato si moltiplica non proporzionalmente ma esponenzialmente. Quindi, quello che ora può apparire per Firenze un risultato importante ma limitato, va traguardato nella prospettiva del completamento dell'intero sistema di trasporto su ferro che la città, pur tra mille contraddizioni, sta portando avanti.

Come ho segnalato in questo mio precedente articolo, il nuovo Sindaco Renzi ha purtroppo aggiunto altri ritardi a tale completamento e probabilmente solo nel marzo-aprile di quest’anno inizieranno i lavori delle linee 2 e 3. Rimane tuttora ignota la soluzione del passaggio nel centro storico, che il Renzi ha rimesso in discussione, escludendo il passaggio dalla Piazza del Duomo e ipotizzando un assurdo quanto improbabile sottoattraversamento della città.

A tale proposito, traggo dal blog Rail for the valley, sito canadese di settore di estremo interesse, la notizia della prossima inaugurazione di altri tram in Francia, tra cui quello di Reims, molto interessante per le soluzioni tecnologiche ed anche estetiche adottate per il passaggio del mezzo nei pressi della famosa cattedrale. Insieme alle linee tranviarie aperte nel 2010, la Francia si conferma leader del settore con ben 37 sistemi tranviari moderni nell'intero paese.

martedì, gennaio 25, 2011

Roma: la fine del mondo!


Il modesto sottoscritto, Ugo Bardi, impegnato nella sua presentazione a Roma, per il convegno del Festival della Scienza che quest'anno aveva come titolo "La Fine del mondo: istruzioni per l'uso" . Sullo sfondo si vedono Kjell Aleklett, presidente di ASPO (a destra nella foto) , e il moderatore, Emanuele Perugini. (foto di Giovanni Marocchi)


Gli organizzatori del convegno di quest'anno della serie "Il festival della scienza" hanno avuto un certo coraggio a intitolarlo "La fine del mondo: istruzioni per l'uso". Il rischio era di farsi dare di catastrofisti, allarmisti, distruzionisti, disumanisti e chissà che altro. Però, se l'idea è di spettacolarizzare un po' la scienza per renderla interessante per il grande pubblico, allora bisogna un tantino calcare la mano. Il titolo serve per attirare l'attenzione, l'importante è che i contenuti siano corretti.


E così, a Roma in questi giorni si è visto un giro di conferenze su tutti quegli argomenti che fanno un po' rabbrividire - dai buchi neri alle collisioni asteroidali. Da quel che ho visto e che mi hanno riferito, mi sono parse tutte conferenze di ottimo livello.


Parlando di catastrofi e cose del genere, non poteva mancare un incontro sul picco del petrolio al quale abbiamo partecipato il sottoscritto, Ugo Bardi, e Kjell Aleklett, presidente di ASPO internazionale.

Aleklett ha fatto un intervento molto dettagliato e articolato. Le sue conclusioni sul picco, probabilmente le conoscete, ma comunque il risultato è che siamo più o meno sul picco, anche se è possibile traccheggiare ancora un po' sul "pianoro produttivo" che dura ormai dal 2004. Aleklett ha un suo blog, dove potete trovare molte delle sue conclusioni e dei suoi studi. Ecco Kjell in tutto il suo fulgore mentre parla al convegno.




Per quanto riguarda la mia presentazione, ho cercato di dare più spazio - come vogliono le norme della cortesia - al nostro ospite dall'estero e ho fatto una cosa più breve dove sono concentrato sull'interazione fra il picco del petrolio e il riscaldamento globale. Trovate una descrizione del mio intervento sul blog "Cassandra".


Con 500 persone ad ascoltare, credo che sia stato un notevole successo. Personalmente, non avevo mai parlato a tanta gente tutta insieme. Aleklett stesso mi ha detto che neanche lui aveva mai avuto un'udienza così numerosa. Molta gente mi è parsa parecchio interessata, abbiamo avuto molte domande e non riuscivamo più nemmeno a uscire dalla sala perché ce ne facevano ancora dopo che la conferenza era finita.


Questo vuol dire che il picco del petrolio è diventato "mainstream"? Difficile dire. In un convegno come questo, si rischia di far finire il picco nella stessa categoria di cose catastrofiche ma improbabili e remote, tipo vedere la Terra colpita da un mega-asteroide o risucchiata da un buco nero. Invece, il picco non è né improbabile né remoto: è una cosa certa e vicina nel tempo.

Bene, comunque è qualcosa anche questo.




domenica, gennaio 23, 2011

Tu chiamalo, se vuoi, unconventional.

Di Massimo Nicolazzi






Per chi non se fosse accorto, il maggior produttore di gas naturale al mondo (2009) non è la Russia; ma sono (ridiventati) gli Stati Uniti. Ha aiutato il calo della produzione russa. Però 624 miliardi di metri cubi anno sono in America record nazionale. Al lordo del Canada e della sua produzione significa autosufficienza superiore al 90% del consumo domestico. Ed una fungaia di rigassificatori utilizzabili per parte dell’anno per congressi, convegni e gite scolastiche. Ma la produzione americana non era in declino?

Dopo il picco e secondo la teoria del picco, la produzione di petrolio diminuisce seguendo l’andamento (discendente) di una curva a campana. Insomma cala di brutto. All’inizio degli anni settanta la produzione americana era arrivata dalle parti dei 10 milioni di barili/giorno. Nel 2008 era sotto i 5. Più che a campana, sembrava essere venuta giù a precipizio. Però attenzione. Nel 2009 rimbalza grosso modo dell’8% (410.000 barili/giorno, non bruscolini) tornando sopra i 5 milioni di b/g; e la stima 2010 è di un ulteriore (modesto) rimbalzo rispetto al 2009 (70.000 b/g). Anche le curve qualche volta si arricciano.

Il nome di moda è unconventional. L’aumento della produzione è colpa sua. Più del 50% del gas naturale prodotto negli Stati Uniti è unconventional. Una quota sempre più rilevante della produzione domestica di petrolio pure. Non convenzionale perché? Strani idrocarburi? Nuove scoperte? Nuovissime tecnologie?
Cominciamo dalla prima. Il gas è gas naturale ed il petrolio è petrolio, tali e quali quelli convenzionali (diversamente dal syncrude prodotto da sabbie o scisti bituminose in senso proprio). Se li abbiamo battezzati con un aggettivo in più è giusto perché sono in realtà figli inattesi. Così intrappolati nelle visceri della roccia da far disperare che ci potessero essere restituiti.

Il gas lo sentirete normalmente dividere in tre categorie. Tight Gas, Shale Gas, e Coal Bed Methane. L’ultimo di suo e’ metano “intrappolato” nel carbone. Come dire che una volta il gas era solo una minaccia per la sicurezza dell’estrazione; e invece adesso a volte si lascia giù il carbone e si tira su solo il metano. La distinzione tra gli altri due va sfumando nel linguaggio comune; e a sua volta il petrolio unconventional ha una componente sempre piu’ rilevante di shale oil.

Quel che li accomuna tutti è che si tratta di idrocarburi racchiusi (o mai usciti da) contenitori (rocce) impermeabili o comunque a bassissima permeabilità. Una roccia impermeabile è una roccia che non lascia passare il gas tra i suoi pori. L’idrocarburo che vi è racchiuso non è in comunicazione (idraulica) con gli altri. Una spugna e una roccia impermeabile possono in ipotesi trattenere lo stesso volume d’acqua. La spugna strizzandola la rilascia; la roccia impermeabile niente. Ogni poro della roccia è come fosse un giacimento indipendente. Per liberare l’ospite (che sia acqua, petrolio o gas) non basta strizzarla; bisogna distruggerla, o quantomeno farla a pezzi. Che è più o meno il modo in cui si produce una parte consistente dell’unconventional, ed in particolare quello da shale rock; e la caratteristica da cui nasce, appunto, la sua non convenzionalità.

Seconda domanda. Non sono una scoperta recente. Solo che prima non ce ne poteva importare di meno. Tirarli fuori era tecnicamente impegnativo; e pareva costare uno sproposito. Erano risorse, ma non riserve. L’idrocarburo c’era; ma dato che non era tecnicamente e/o economicamente producibile era come se non ci fosse. E dato che (economicamente) “non c’era” era inutile andarlo a cercare e perdere tempo a cercare di capire quanto ce ne fosse. Il che spiega perché, passati solo pochi anni da quando un po’ di unconventional è diventato riserva, le stime circa le risorse complessivamente disponibili si mantengano a dir poco fluttuanti. Per ora sappiamo che le risorse unconventional nel loro complesso potrebbero essere superiori a quelle convenzionali; ma quante di loro diventeranno riserve solo il futuro ci dira’. E’ troppo presto per dire se la Rivoluzione Americana sia una fiammata o possa e per quanto continuare a spingere in alto la produzione; ed e’ anche troppo presto per capire se e quanto sia estendibile alle risorse del nostro continente. Qualcuno annuncia rivoluzioni geopolitiche, e fine almeno temporanea della dipendenza dai produttori tradizionali (soprattutto di gas). Futuribile. La Polonia e’ indiziata di essere ricchissima di unconventional gas. Pero’ se volete predirla Oklahoma d’Europa ripassate non prima della fine del decennio.

Terza domanda. La tecnologia. Niente di nuovissimo. La combinazione tecnologica oggi piu’ usata - per le risorse, diciamo cosi’, “impermeabilizzate” - è semplice. Perforazione orizzontale più fratturazione idraulica. Perforazione orizzontale significa che arrivati alla profondità del deposito si riesce a scartare di lato, e a continuare orizzontalmente la perforazione “dentro” il giacimento. Fratturazione idraulica che attraverso il pozzo si aggredisce nei punti di contatto la roccia impermeabile con acqua (mista di regola a solventi od altri prodotti chimici) iniettata ad altra pressione, calcolata in modo da essere in grado di “fratturare” la roccia raggiunta. Insomma di fare a pezzi la prigione, consentendo così all’idrocarburo “ liberato” di venire in superficie.

I primi esempi di pratica di fratturazione idraulica sono del 1949. La capacità di andare orizzontali si è andata drammaticamente migliorando nel tempo; ma “deviare” un pozzo era processo già tecnicamente controllabile negli anni settanta dell’altro secolo. Lo shale, per citarne uno,che esista lo sappiamo da sempre; però abbiamo cominciato a produrlo massicciamente da adesso. L’”invenzione”, da sola e come (quasi) sempre, non spiega. Che qualcosa sia tecnicamente possibile non significa che sia economicamente fattibile. Tra il tecnico e l’economico spesso deve passare un lungo periodo di affinamento, che attraverso un continuo miglioramento di processo ti sviluppa e moltiplica la potenzialita’ industriale.

Da questo punto di vista la vicenda dell’unconventional non e’ altro che un pezzo della storia, sin qui di grande successo, del time to market della tecnologia degli idrocarburi. Drake fece fatica ad arrivare a 30 metri sottoterra, ed erano solo 150 anni fa. Oggi arriviamo a oltre 7000. Trivellare off-shore ti metteva a rischio di perderti in un bicchier d’acqua; ed oggi 3000 metri di profondita’ d’acqua sono a portata. Liberare l’idrocarburo dalla prigione impermeabile pareva (economicamente) mostruosita’ concettuale sino adun decennio fa; e da tre anni l’unconventional gas ha trasformato il mercato americano e segnato quello mondiale.

Madama tecnologia ha consentito sino ad oggi di trasformare risorse in riserve e riserve in produzione a volumi e prezzi compatibili con la domanda che cresceva e con la crescita della domanda. Avevamo definito unconventional alcune risorse fossili semplicemente perche’ per difficolta’, costo e rischio ci faceva strano di riuscire a produrne (e infatti qualcuno definisce unconventional anche la produzione in mare profondo). Il progresso tecnologico, gia’ oggi, ce ne assimila una parte consistente a risorse convenzionali. Madama, almeno per le rocce impermeabili, ha piallato la distinzione. Linearmente, se continua cosi’dovrebbe essere capace di farmi spremere tutto l’unconventional del mondo; e dunque poi tutte le sabbie;e le scisti bituminose; e quant’altro (magari compresi pure gli idrati e con tecniche che non ci facciano temere l’arrostimento del pianeta). Con tutte le risorse fossili che ancora stanno in giro, basta affidarsi a Madama e per picchi o scarsita’ si preoccupino quelli del secolo venturo.

Non e’ proprio cosi’. Anche a prescindere, per chi puo’, da qualunque problema di emissioni. Dal petrolio di Drake all’unconventional, Madama ci ha reso disponibile idrocarburi sempre piu’ “difficili”. Piu’ profondi, o piu’ restii a venire in superficie per semplice gradiente di pressione, o intrappolati in roccia a tenuta stagna, o altro. La difficolta’ ti apre due problemi. Uno e’ che l’evoluzione tecnologica per mantenere il suo record di time to market deve continuare a consentirti (in termini reali) di acquistare cio’ che e’ piu’ “difficile” a prezzi comparabili a quelli dell’antecedente piu’ “facile”. Senza petrolio non c’e’ mobilita’; ma se il costo di produzione di un barile schizza a 1000 Euro, o trovi altro che ti faccia muovere o alla mobilita’ ci rinunci. Madama sinora a farci muovere ce l’ha fatta, e benissimo. Ma i tempi di “affinamento” del nuovo concorrono a dirti che del domani , tanto per cambiare, non c’e’ certezza.

Il secondo e’ che piu’ “difficile” puo’ significare maggior potenziale di impatto ambientale e sociale. Soprattutto quando qualcosa va storto. L’eruzione di Macondo e’ troppo recente per dover esemplificare. Strappare l’idrocarburo alla roccia impermeabile vuol dire tantissima acqua, che “sporchi” di additivi alla partenza, che ti trascina fuori quel che ha incontrato fratturando rocce, e che alla fine ti trovi a dover smaltire. E soprattutto, per l’appunto, l’acqua “frattura” la roccia; e magari vuoi essere sicuro che cosi’ facendo non si diverta a contaminarti qualche falda idrica, o altro. La difficolta’, in definitiva , ti pone il dovere di affrontare in termini espliciti un tema di sostenibilita’ del rischio (o, se preferisci, dell’”impatto”).

In questo senso(e parlando di sostenibilita’ al lordo del tema emissioni)non e’ difficile predire che i limiti alla produzione di fossili in generale e di unconventional in particolare non saranno in futuro solamente e neanche principalmente limiti di risorse del sottosuolo o di capacita’ tecnico/economica di estrarne. I paletti alla produzione li porra’ molto piu’ pesantemente la regolazione (e non e’ detto che sia, o sia sempre un bene); ed il costo di produzione delle produzioni tecnologicamente di frontiera si dovrebbe progressivamente portare appresso (e qui dico sperabilmente) una sempre maggiore componente sicurezza.

Insomma non sara’, o non sara’ solo Madama tecnologia a farsi padrona dei nostri destini. Scienza e tecnologia spiegano ed aiutano, ma non e’ mestiere loro decidere. Il decidere (ed in particolare il decidere della sostenibilita’) dovrebbe essere della Politica; ma questo, come finale, e’ forse troppo unconventional.


Massimo Nicolazzi è Ceo di Centrex e autore de Il prezzo del petrolio (Milano, Boroli, 2009)

venerdì, gennaio 21, 2011

Kjell Aleklett - Presidente di ASPO - a Roma Sabato 22 gennaio


Domani, Sabato 22 Gennaio, il presidente di ASPO-internazionale, Kjell
Aleklett, parlerà a Roma alle 18 all'auditorium del parco della musica.
Sarà presente anche Ugo Bardi, presidente di ASPO-Italia. Il dibattito
si preannuncia molto interessante, anche visto il titolo della
manifestazione "La Fine del Mondo, istruzioni per l'uso.".

Ulteriori informazioni a:

http://www.auditorium.com/eventi/4987343

Ingresso gratuito.
Radio tre ogni mattina alle 11 fa un servizio di un'ora sulla manifestazione, con una sintesi degli interventi e interviste ad alcuni relatori.

mercoledì, gennaio 19, 2011

Clamoroso, i prezzi della benzina dipendono da quelli del petrolio

Insieme all’aumento del prezzo del petrolio, i prezzi della benzina hanno ripreso a crescere e, con essi, sono riapparse le immancabili proteste dei consumatori e degli automobilisti contro una presunta speculazione delle aziende petrolifere.
Ho già spiegato in un precedente articolo che tali proteste sono in gran parte destituite di fondamento. In effetti, come si può vedere nel primo grafico, contenuto in un’analisi disponibile sul sito di “Banche, Risparmio Investimenti e Trading” a questo indirizzo, sussiste una correlazione quasi perfetta tra andamento dei prezzi del barile (espressi in euro) e prezzi dei carburanti. Questo stretto legame si è allentato solo nel periodo della prima crescita tumultuosa delle quotazioni petroliferi nel 2008, quando all’aumento del prezzo del barile non corrispose un aumento proporzionale del prezzo alla pompa dei carburanti. Il fenomeno si legge meglio nel secondo grafico estratto dalla stessa fonte del primo a questo indirizzo, in cui è rappresentato il rapporto tra prezzi di benzina e WTI in euro. Si nota una fase di valori più bassi nel 2008 dovuti alla maggiore crescita relativa dei prezzi petroliferi rispetto a quelli della benzina e una fase di “compensazione” successiva in cui si rileva il fenomeno inverso. Poi, dalla fine del 2009, si verifica una quasi totale corrispondenza tra gli aumenti dei prezzi dei due prodotti. Questo smonterebbe la tesi complottista che nega la correlazione tra i prezzi con l’argomento che l’attuale dinamica dei prezzi della benzina sarebbe diversa da quella del primo periodo di crescita dei prezzi del greggio.
Il fatto singolare è che lo stesso meccanismo sembra essersi verificato anche per i prezzi di altri prodotti dipendenti da quelli del petrolio, come nel caso dei generi alimentari. Nell’ultimo grafico, estratto dal blog di Marco Pagani si può notare un andamento simile, con i prezzi dei prodotti alimentari che in una prima fase non seguono proporzionalmente l’impennata delle quotazioni petrolifere, per poi allinearsi quasi perfettamente alla dinamica del prezzo del barile.
Sembrerebbe quindi che in prima istanza sussista una specie di anelasticità dei prezzi delle merci rispetto agli improvvisi sbalzi di prezzo del petrolio, una specie di “effetto sorpresa” che poi lentamente si riassorbe in un riallineamento delle dinamiche evolutive dei prezzi.

lunedì, gennaio 17, 2011

Il picco è in ritardo? I limiti del modello di Hubbert



In un articolo che appare oggi su "The Oil Drum" Ugo Bardi discute la situazione della produzione petrolifera in base ai dati più recenti disponibili.

Il picco globale petrolifero (peak oil) era stato previsto da molti autori entro il primo decennio del ventunesimo secolo. In pratica, tuttavia, quello che stiamo vedendo è una stasi produttiva, non un vero e proprio picco.

Secondo l'autore, quello che stiamo vedendo è compatibile con il modello di Hubbert, che è comunque approssimato. Di fronte alla diminuzione della resa energetica di estrazione, l'economia reagisce investendo sempre maggiori risorse nella produzione di combustibili liquidi, a partire, per esempio, dalle sabbie bituminose o da biomassa.

E una forma di "furto del futuro" - stiamo utilizzando risorse preziose per mantenere una condizione produttiva che comunque non potrà essere mantenuta a lungo. La stasi produttiva potrà continuare ancora per qualche anno ma, a lungo andare, il declino deve iniziare.

Link al'articolo completo:

http://www.theoildrum.com/node/7241

sabato, gennaio 15, 2011

Non tutto è conseguenza del picco del petrolio o dei cambiamenti climatici

Nel1956, il poeta e nazionalista tunisino "Aboul-Qacem Echebbi" introduce, nell'inno nazionale della Tunisia (Himat al hima = Difensore della patria), i due versi finali che saranno gli slogan più famosi (di questi ultimi 50 anni) cantati, gridati e ripetuti dalle masse arabe, oppresse, impoverite e insultate dai propri governi. Durante le manifestazioni di questi ultimi giorni, i giovani tunisini appoggiati da tutta la società civile marciavano cantando questi versi:

"Quando il popolo decide per la vita, il destino ne risponderà sicuramente
ed il buio scomparirà, e le catene senz'altro si spezzeranno"

Nei giorni passati ho letto molte opinioni, blog e commenti sulla crisi che si era scatenata nel Nord Africa in particolare in Algeria e Tunisia. Quasi tutti hanno dato per certo che tale crisi sia stata una conseguenza dei Cambiamenti Climatici, del Picco del Petrolio, ecc.... Non sono stato d'accordo e non ho nemmeno espresso la mia opinione. Certo tutto fa, ma quello che sta succedendo nel Mondo Arabo in particolare è segnale di un cambiamento in corso, un cambiamento che non è iniziato oggi.

Si tratta di un processo molto lento originatosi dalla prima ingiustizia fatta agli Arabi già a partire del 1900 quando le superpotenze "Francia e Inghilterra" si erano spartite il controllo del Medio Oriente a seguito della cacciata delle forze turco-ottomane. L'Inghilterra promise al Sheriffo Al-Husayn ibn ‘Alī di creare un grande regno Arabo sotto la sua guida in cambio di una rivolta contro l'Impero Ottomano (in appoggio alle truppe Inglesi). Tale promessa fu disattesa grazie all'accordo "Sykes - Picot" (1916) che dichiarò la fine del regno e la marginalizzazione di Al-Husayn dandoli il Regno Hashimita di giordania (ovviamente questa è una mia semplificazione perché AL-Husayn non fu accettato come Sovrano in molti Paesi Arabi come ad esempio il Libano).

Alla fine della seconda guerra mondiale (1945) caratterizzata in particolare dall'eccidio e massacro di milioni di Ebrei, sotto la spinta del continuo arrivo di coloni (rifugiati, sopravvissuti ed altri) ebrei in Palestina e sotto l'effetto psicologico, religioso e secolare della promessa di Lord Belfor (il Sionismo) nasce lo Stato di Israele. Una nascita che ha portato ulteriori frustrazioni alle popolazioni Arabe, le quali (salvo eccezioni rare) vivevano, sotto l'oppressione dei loro governanti e re, una vita fatta di stenti, di sacrifici e di dolori.
Tunisia, Algeria, Egitto, Irak, Syria hanno conosciuto molti colpi di Stato, tutte con la scusa "deporre un despota" ma a tal despota seguiva un altro ancora più totalitario e opprimente. Il mondo "Democratico e Libero" ha accettato e convissuto con questi personaggi facendo finta di non vedere.

La rivolta del pane non è una novità, una decina di anni fà avvenne negli stessi Paesi, ma in quel periodo mancavano due parametri validi e necessari per rovesciare il personaggio al potere.
La Tunisia ha una popolazione giovanile molto elevata e ben formata, mentre è governata da vecchi. Il lavoro manca da troppo tempo e le prospettive sono quasi nulle. Lo Stato è opprimente, despota, corrotto e incapace. Ai Tunisini serviva lavoro, futuro, e libertà e la fine dell'oppressione politica. Ai Tunisini non manca da mangiare, e l'incremento di qualche centesimo del costo della baguette era soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso: Serviva soltanto il gesto estremo di un Tunisino che si era dato fuoco (come i monaci buddisti vietnamiti) per fare scoppiare una protesta che ha trovato una sua ragione di essere anche all'interno dello strumento più importante di uno Stato ossia "l'esercito" che ha abbandonato un vecchio in decadenza ed ha deciso l'inizio del cambiamento che mi auguro sia proficuo allaTunisia e a tutto il mondo arabo e Mediterraneo.

giovedì, gennaio 13, 2011

Ecosuv?


Foto presa qualche giorno fa dopo che questa mostruosità mi ha parcheggiato davanti.

Chissà che cosa vorrà mai dire "Ecosuv"? Forse se gli gridi "SUV!" quello ti risponde "SUV......SUV..... SUV...."

(Per la cronaca, la foto è presa dalla mia 500 del 1965, ancora non elettrificata come quella di Pietro Cambi, ma che, un giorno o l'altro......)

martedì, gennaio 11, 2011

Il discorso del Presidente

Questa volta ho passato la fine del 2010 fuori dell’Italia e non ho potuto ascoltare, come faccio quasi sempre, il discorso del Presidente della Repubblica di fine anno. Così, con un po’ di ritardo, ho rimediato leggendo il testo integrale del discorso di Giorgio Napolitano disponibile a questo indirizzo.

Complessivamente ho apprezzato le parole del Presidente che, mi pare, in questo frangente di generale impazzimento e mediocrità della politica e delle istituzioni, rappresenti ormai uno dei pochi argini al progressivo imbarbarimento e alla dissoluzione della società italiana.
Mi permetto di segnalare di seguito alcuni dei passaggi a mio parere più significativi del discorso, per poi concludere con un breve commento.

“Siamo stati anche nel corso di quest'anno 2010 dominati dalle condizioni di persistente crisi e incertezza dell'economia e del tessuto sociale, e ormai da qualche tempo si è diffusa l'ansia del non poterci più aspettare - nella parte del mondo in cui viviamo - un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato. Ma non possiamo farci paralizzare da quest'ansia : non potete farvene paralizzare voi giovani. Dobbiamo saper guardare in positivo al mondo com'è cambiato, e all'impegno, allo sforzo che ci richiede. Che esso richiede specificamente e in modo più pressante a noi italiani, ma non solo a noi: all'Europa, agli Stati Uniti. Se il sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del passato, è per noi occidentali non più perseguibile, ciò non significa che si debba rinunciare al desiderio e alla speranza di nuovi e più degni traguardi da raggiungere nel mondo segnato dalla globalizzazione.”

“Nelle condizioni dell'Europa e del mondo di oggi e di domani, non si danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, ho detto, si può aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del trascinarsi o dell'aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Trovare la via per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni ; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe essere l'oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori dall'abituale frastuono e da ogni calcolo tattico.”

“Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la competitività del sistema-paese, comporta per l'Italia il superamento di molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato la bassa crescita economica almeno nell'ultimo decennio. Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l'urto della crisi globale scoppiata nel 2008.”

“Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato. Ci serve, ci aiuta, ripercorrere nelle sue asprezze e contraddizioni il cammino che ci portò nel 1861 a diventare Stato nazionale unitario, ed egualmente il cammino che abbiamo successivamente battuto, anche fra tragedie sanguinose ed eventi altamente drammatici. Vogliamo e possiamo recuperare innanzitutto la generosità e la grandezza del moto unitario : e penso in particolare a una sua componente decisiva, quella dei volontari. Quanti furono i giovani e giovanissimi combattenti ed eroi che risposero, anche sacrificando la vita, a quegli appelli per la libertà e l'Unità dell'Italia! Dovremmo forse tacerne, e rinunciare a trarne ispirazione? Ma quello resta un patrimonio vivo, cui ben si può attingere per ricavarne fiducia nelle virtù degli italiani, nel loro senso del dovere comune e dell'unità, e nella forza degli ideali.”

Quale è, secondo me, il succo del discorso presidenziale? Cari concittadini, scordatevi per il futuro il Bengodi della crescita economica illimitata a cui ci eravamo abituati, non illudetevi che lo Stato possa più garantire come in passato l’assistenzialismo e gli sprechi che hanno determinato la voragine del debito pubblico, lavoriamo per ridurre le rendite di posizione e le diseguaglianze della società italiana, rinsaldiamo la coesione sociale facendo riferimento alla forza e agli ideali che ispirarono gli italiani che si batterono per l’Unità del paese.

Non è e non può essere, per l’età e la cultura del Presidente, completamente un approccio “picchista”, ma Giorgio Napolitano giunge per altre vie, con una lucidità assente in gran parte dei politici italiani, a conclusioni abbastanza convergenti con chi come me è cosciente del problema cruciale e ineludibile del limite delle risorse e dello sviluppo.

domenica, gennaio 09, 2011

Una previsione realizzata: si aggrava la crisi alimentare


Grafico da "Early Warning" di Stuart Staniford. I prezzi globali dei principali generi alimentari secondo la FAO


Nelle previsioni che avevo fatto per il 2010  avevo detto che "Nei prossimi anni, la crisi alimentare si farà sempre più grave".

Rivedendo poco tempo fa le mie previsioni, mi era parso di essere stato un po' troppo pessimista, dato che alcuni dati della FAO indicavano una lieve riduzione del numero di persone affamate.

In realtà, i dati recenti indicano che, dopo tutto, la situazione è grave come mi aspettavo che fosse: i prezzi dei generi alimentari stanno aumentando inesorabilmente, come ci fa vedere Stuart Staniford sul suo blog.

Evidentemente, la situazione sta peggiorando e i dati sui prezzi ne sono un'indicazione. Non che siamo a un passo dalle carestie bibliche, ma tutto quello che stiamo facendo sembra diretto a crearle, prima o poi: crescita della popolazione, distruzione del suolo fertile, desertificazione causata dal cambiamento climatico, eccetera.

Insomma, la situazione non è per niente buona. Nel mio post sul 2010 dicevo che mi aspettavo:

Nei prossimi anni, la crisi alimentare si farà sempre più grave e, a lungo andare,  porterà a un'inversione di tendenza demografica, ovvero a un picco della popolazione umana sul pianeta. Questo, però, non lo vedremo ancora nel 2010. Vedremo la crisi alimentare colpire molto duramente nei paesi del cosidetto "terzo mondo". Colpirà anche duramente le minoranze (per ora) economicamente svantaggiate dei paesi "ricchi". In paesi come l'Italia non vedremo rivolte alimentari di gente affamata, ma un peggioramento della dieta delle fasce sociali più deboli, questo si.   

Le rivolte alimentari le stiamo già vedendo in Algeria, quanto all'inversione della tendenza alla crescita della popolazione, non ci siamo ancora, ma credo che molto oltre i 7 miliardi non ci arriveremo.


Vedi anche questo post su "Effetto Cassandra"

venerdì, gennaio 07, 2011

Uova alla diossina


Questo post non è tanto a proposito di uova alla diossina, quanto sull'immane casino in cui ci siamo messi in generale. Allora, nel testo che segue trovate un commento di Eric Berger ("Sciguy") su un recente articolo che dimostra come le uova dei polli ruspanti ("free range") contengono oltre cinque volte più diossina dei polli in batteria ("caged"). Conclude Berger che per i polli è meglio vivere in un prato, ma per gli esseri umani sono meglio mangiare polli allevati in batteria.

Premesso che questi risultati sono validi per Taiwan, dove pare ci sia pieno di inceneritori, credo che la situazione laggiù non sia differente dalla nostra e se lo fosse ci stiamo comunque rimettendo in pari rapidamente facendo inceneritori anche da noi. Ma la sostanza del discorso è che ci siamo messi veramente in un immane casino se dei polli che stanno in un prato finiscono per fare uova alla diossina e ti tocca concludere che è meglio allevarli in una gabbia con dei mangimi artificiali, magari riempiendoli di antibiotici, ormoni, e chissà che altro.

Certe volte uno si sente totalmente impotente..... non resta che leggersi l'articolo di Berger e rabbrividire.


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From "Sciguy"

June 16, 2010

Free range chickens: Good for them, bad for you?

Free-range chickens are sometimes advertised as an exceptionally clean, healthy and delicious source of essential protein. Well, of course they're delicious. They taste like chicken. But are they really cleaner and healthier?
Just because everyone knows free-range chickens are better than caged chickens doesn't actually mean it's so.
Oh, don't get me wrong. It's vastly better for the chickens. But scientists are finding there may be a down-side to human health from free-range chickens.
A new study in the Journal of Agricultural and Food Chemistry (see full article) finds that the eggs of free-range chickens may contain five times the amount of some pollutants.
Being a free-range hen means the chickens have continuous daytime access to open-air runs, covered by vegetation, and during half of their lives have at least 1 square meter to themselves. However, as free range hens spend most of their lifetime in an outside environment, they have a better chance of being exposed to contaminants from the environment, scientists say.
Taiwanese scientists analyzed the eggs of free-range chickens at various sites in Taiwan and compared them to the eggs of caged birds. The found that the levels of dioxins (specifically PCDDs and PCDFs) was 5.7 times higher in the free-range chickens than in the caged animals.
There are important caveats to the study: Taiwan has a lot of municipal waste incinerators that produce dioxins. And the samples were relatively small. However, it's also worth noting that previous studies have found elevated levels of dioxins in free-range birds.
The study, therefore, provides another reminder than terms like "organic" and "free-range" that are commonly used to sell foods does not always mean the foods are better or safer for you. Caveat emptor.

mercoledì, gennaio 05, 2011

Un contributo ASPO-Italia a una borsa di studio su tematiche correlate a Risorse, Economia e Ambiente



ASPO-Italia ha deciso di contribuire con una modesta somma di Eur 5000 al finanziamento di una borsa di studio per un giovane ricercatore che lavori su tematiche come il consumo delle risorse, lo sviluppo di nuove tecnologie energetiche, gli effetti ambientali e climatici della combustione dei fossili e simili.

Quindi, invitiamo a inviarci un breve programma di ricerca e CV del proponente (o dei proponenti) sulla base del quale il comitato scientifico di ASPO-Italia deciderà l'assegnazione del contributo. La scadenza per la presentazione delle domande è fissata per il 15 Febbraio 2011.

La documentazione dovrà essere inviata per posta elettronica al prof. Ugo Bardi dell'Università di Firenze (ugo.bardi - chiocciola - unifi.it). La partecipazione è riservata a persone afferenti (anche in prospettiva) a istituti di ricerca pubblici o privati riconosciuti. E' titolo di preferenza essere soci pregressi di ASPO-Italia. La decisione sull'assegnazione sarà a cura del comitato scientifico di ASPO-Italia.

Ci dispiace di non potere offrire di più, ma le finanze dell'associazione ASPO-Italia sono quelle che sono. Speriamo tuttavia di poter dare un contributo utile a qualcuno che potrà fare in questo modo degli studi interessanti.


Nota aggiunta dopo la pubblicazione: ringraziamo sentitamente Pierino Chirulli che ci ha comunicato che la ditta SERVECO s.r.l. di cui lui è presidente contribuirà con un'ulteriore somma di Eur 2000 a questa borsa di studio.