martedì, novembre 30, 2010

La Gabanelli e il Watt

Anche questa volta non ho resistito a giocare con le parole e intitolo questo articolo parafrasando un famoso cartone animato per bambini. In effetti intendo parlare dell’ultima trasmissione di Report, il meritorio programma di Rai 3, che domenica scorsa ha affrontato il tema delle energie rinnovabili in Italia.

A mio parere, questa volta però, il programma della Gabanelli, è stato abbastanza deludente e molto al disotto dello standard medio di qualità dei servizi in genere offerto.

In Italia, persino il mio giovane nipote sa che è in atto da parte di settori industriali con il sostegno trasversale della politica, una precisa strategia per rilanciare l’uso dell’energia nucleare. Questa strategia, si avvale spesso di informazioni e dati tecnici sbagliati o imprecisi, per cercare di dimostrare la convenienza economica e industriale degli enormi investimenti richiesti per costruire nuove centrali nucleari e utilizza campagne denigratorie nei confronti delle possibili alternative strategiche al nucleare, cioè le energie rinnovabili.

Tra gli argomenti spesso usati c’è quello di una presunta marginalità del potenziale contributo al bilancio energetico nazionale, un discutibile impatto paesaggistico, una supposta spregiudicatezza degli investitori in rapporto alla reale produzione energetica delle rinnovabili.
Ho già confutato queste argomentazioni in diversi precedenti articoli, l’ultimo consultabile qui. Mi dispiace però che di questa strategia si faccia inconsapevole veicolo una trasmissione degnissima e insospettabile come Report.

I presunti illeciti amministrativi e i possibili interessi mafiosi al Sud nella costruzione degli impianti che producono energia rinnovabile, mostrati nel servizio di domenica scorsa, devono essere giustamente combattuti e denunciati, ma fanno parte dei rischi di illegalità che corrono tutti gli investimenti industriali in Italia e, in particolar modo, nel meridione. L’energia eolica, grazie anche al particolare regime incentivante è oggi particolarmente remunerativa e non ci si deve stupire se qualche imprenditore senza scrupoli cerchi di approfittarne.
Ma ciò non deve essere il pretesto per mettere in discussione la necessità per il nostro paese di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, piuttosto dovrebbe indurre ad aumentare e migliorare i controlli di legalità.

E, purtroppo, proprio questa dimensione informativa, legata al possibile ruolo delle energie rinnovabili nel panorama energetico nazionale, è stata carente o è mancata nella trasmissione. Con l’aggravante di marchiani errori tecnici, come quello della confusione tra potenza e produzione energetica (kW contro kWh) nel confrontare le energie rinnovabili con quelle convenzionali, o di messaggi confusi sull’utilità delle incentivazioni economiche alle rinnovabili.

Più volte nel servizio è stato detto che tutti gli impianti eolici e fotovoltaici istallati in Italia non hanno prodotto alcuna riduzione di potenza delle centrali termoelettriche. E' stato fatto cioè intendere agli spettatori che le fonti rinnovabili intermittenti in Italia siano del tutto equivalenti a quella delle centrali termoelettriche e quindi che la mancata riduzione di quest'ultime possa essere un danno per i contribuenti.

Né Report, né alcuno degli intervistati, ha provato a spiegare che le fonti rinnovabili intermittenti, senza accumulo, non sostituiscono la potenza convenzionale, ma sono indispensabili per risparmiare i combustibili fossili, cioè gas e petrolio e carbone. Una trasmissione come Report avrebbe dovuto invece dimostrare che l'immissione in rete dei kWh rinnovabili produce in effetti proprio un calo del consumo dei fossili.
Sia chiaro, ritengo che questo approccio un po’ superficiale e impreciso al problema energetico sia solo un errore di valutazione, dovuto probabilmente a carenza di competenze specifiche nel settore energetico. Per questo, come Aspoitalia, mettiamo a disposizione della trasmissione tutte le nostre conoscenze nella speranza di poter contribuire alla indispensabile pianificazione energetica strategica e per affrontare adeguatamente le conseguenze del picco petrolifero. Pianificazione che, come ha giustamente affermato la Gabanelli, non potrà che essere di livello nazionale, superando l’assurda e inopportuna delega operata dallo Stato alle Regioni.

lunedì, novembre 29, 2010

Un'università è come una cattedrale



L'ingresso dell'Università di Notre Dame, a Beirut, in Libano. E' proprio un bel campus in stile americano che non ha nulla dell'aspetto "post-olocausto nucleare" di molte università italiane negli ultimi tempi.



Con le ultime vicende della riforma Gelmini, mi è venuto in mente di confrontare con la situazione in Libano; un paese che comincio a conoscere abbastanza bene dopo ormai alcuni anni di collaborazione per il progetto RAMSES. Quest'anno, l'università di Notre Dame, a Beirut, mi ha dato un'ottima impressione. E' veramente un bel campus in stile americano - non da per niente quell'impressione di "post olocausto" che danno ultimamente le università italiane. 

Una caratteristica che ho notato all'Università di Notre Dame è la multiculturalità; anche questo la accomuna a quelle americane; molto meno a quelle italiane che si stanno sempre di più provincializzando.  A Notre Dame, per esempio, ci vedi studentesse che vengono paludate in nero col niqab dalla testa ai piedi. Insieme a loro, vedi studentesse vestite all'occidentale; pantaloncini corti e ombelico all'aria. Quelle tutte in nero arrivano probabilmente dall'Arabia Saudita o dai paesi del golfo, quelle assai meno paludate sono probabilmente Libanesi - supermoderne e occidentalizzate.  E' anche questo un fattore positivo di scambio culturale; ma anche, dal punto di vista dei Libanesi che sono persone pratiche, un modo di attirare nel paese un po' della ricchezza che i l'Arabia Saudita e i Paesi del Golfo fanno con il petrolio.

Fare un confronto fra l'università libanese e quella italiana sarebbe cosa lunga e complessa. Una cosa che credo si possa dire con certezza è che i Libanesi ci tengono molto alle loro università e al loro sistema di istruzione. E' un vanto per le varie comunità avere le università migliori e più prestigiose. E' la competizione che spinge. Lo vedi girando per il Libano: ci sono università un po' ovunque. Università piccole, certamente, magari non al livello di quelle Europee e Americane. Ma è chiaro che ce la mettono tutta a fare del loro meglio.

Che i ragazzi frequentino l'università è anche quello un vanto e una ragione di prestigio. Basti pensare che in Libano oltre il 38% dei ragazzi fra i 18 e i 24 anni frequentano l'università (da questo rapporto). Dai dati Istat sulla popolazione e sugli immatricolati risulta che in Italia sono all'incirca la stessa frazione, ovvero il 40%. Probabilmente, però, in Italia gli studenti sono sparpagliati su una fascia di età più ampia, quindi è possibile che siamo messi peggio del Libano in termini di frazione di popolazione che frequenta l'università. Questo confronto è abbastanza impressionante, considerando tutti i problemi che ha un paese relativamente povero come il Libano, incluso guerre, conflitti interni, eccetera.

In sostanza, mi sembra di poter dire che il sistema universitario Libanese è un sistema dinamico e in crescita, mentre il nostro è un sistema in contrazione e in declino. Un sistema di ricerca è un po'come una cattedrale gotica; ci vogliono molti decenni, se non qualche secolo, per costruirlo. Ma per distruggerlo basta pochissimo: così come basta una bomba per demolire una cattedrale. Da noi, sembra che l'università sia considerata qualcosa da sopportare, se come qualcosa da demolire.

Beh.... se è questo lo scopo, ci stiamo riuscendo benissimo.

venerdì, novembre 26, 2010

Ricordo di Ennio Flaiano


Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Ennio Flaiano (morto nel 1972), scrittore e intellettuale dotato di finissimo umorismo, capace di analizzare con spietato realismo e con visione precorritrice dei tempi le storture della società italiana. Egli è ricordato soprattutto per i suoi fulminanti e sagaci aforismi, di cui vi propongo una breve rassegna dei miei preferiti, i primi riguardano l’Italia e noi italiani, i secondi alcune riflessioni sociali molto attinenti al tema di questo blog. L’ultimo, quello che mi piace di più, riguarda però un’ironica riflessione sulla vita privata.

Fra trent’anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione.

La situazione politica in Italia è grave ma non è seria.

Per gli italiani l’inferno è quel posto ove si sta con le donne nude e con i diavoli ci si mette d’accordo.

Gli italiani sono i primi a correre in aiuto del vincitore.

In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti.

In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco.

Gli italiani sono un gruppo di uomini indecisi a tutto.

Gli italiani sono un popolo di santi, di poeti, di navigatori, di cognati, cugini e nipoti…

L’italiano è una lingua parlata dai doppiatori.

L’italiano ha un solo vero grande nemico: l’arbitro nelle partite di calcio, perché emette un giudizio.

Anche il progresso, diventato vecchio e saggio, votò contro.

Il traffico ha reso impossibile l’adulterio nelle ore di punta.

La pubblicità unisce sempre l’inutile al dilettevole.

Senta Agnelli, faccia pure quante automobili vuole, tanto io non ho la patente.

La civiltà del benessere porta con sé proprio l’infelicità.

Il dramma della vita moderna è questo: tutti cercano la pace e la solitudine. E per il fatto stesso di cercarle, le scacciano dai luoghi dove le trovano.

L’oppio ormai è la religione dei popoli

Una delle principali cause di divorzio è il matrimonio.

mercoledì, novembre 24, 2010

La scomparsa dell'esportazione



Filippo Zuliani è un giovane ingegnere che vive e lavora in Olanda - dopo un periodo da ricercatore universitario ad Amsterdam è passato in un'impresa privata e fa ricerca sui materiali. Ci ha proposto questa interessante riflessione sulle conseguenze del picco petrolifero nei trasporti e sulla necessità di investire nella propulsione elettrica individuale.
Come sapete, la mia opinione è in parte divergente con questa linea, in quanto ritengo prioritario l'intervento dello Stato nel sostegno della mobilità collettiva su ferro. Ma credo che Filippo, abitante di un paese che da questo punto di vista è un modello, concordi anche con questa esigenza.



Scritto da Filippo Zuliani



L'Italia e' un forte importatore di petrolio. Importiamo circa 2 milioni di barili al giorno, principalmente per mantenere un parco auto tra i più elevati al mondo (36 milioni di vetture in suolo nostrano, 600 auto ogni 1000 abitanti, causa ed effetto di una dipendenza pressocché totale dalla gomma per quanto concerne il trasporto di merci e persone.

Nulla di nuovo, ahimè. Ma ci attende un appuntamento importante. Stando al Pentagono e all'IEA, nel 2012 raggiungeremo il cosiddetto peak oil, il picco nella produzione del petrolio.
Già mesi fa il Pentagono prevedeva che nel 2015 sarà possibile soddisfare soltanto il 90% della domanda mondiale. E allora saremo ufficialmente in periodo post-picco.

Secondo l'Export Land Model, modello matematico inventato dal geologo Geoffry Brown, la conseguenza più importante del picco sarà la scomparsa dei paesi esportatori di petrolio nel 2030. Quando la produzione arriva al plateau, infatti, il consumo domestico aumenta mentre l’esportazione diminuisce. In altri termini, nel 2030 ci sarà ancora petrolio ma i paesi produttori lo terranno per sé.

Questo dilemma è l'attuale dilemma dei costruttori d'auto, che si trovano oggi di fronte al bivio di continuare ad investire sull'auto con motore a scoppio (benzina, diesel o biodiesel) o buttarsi sulla filosofia elettrica, che ad oggi annovera però molteplici incarnazioni (veicoli ibridi, plug-in ibridi o full electric cars).

Per quel che concerne l'Italia, la scomparsa dell'esportazione di petrolio nel 2030 significa che dobbiamo sostituire il parco auto in qualcosa che non va a benzina. E che abbiamo 20 anni per farlo. Se non cambieremo, il rischio è di trovarci in mezzo ad un guado profondo, dipendenti da un petrolio drammaticamente più sempre più raro e costoso. Finché ne esisterà sul mercato.

Secondo un recente rapporto McKinsey, per cambiare drasticamente faccia al settore dell'automobile, la produzione di auto elettriche necessita di una base installata del 10% del totale. Stimando tale base operativa per il 2020, vuol dire che ogni anno dobbiamo sostituire 360.000 auto e trattori con macchine che vanno a etanolo, biodiesel – parte del quale sarà però probabilmente riservato al settore aereo) – o, meglio, elettricità.

In questo scenario, il ruolo del governo dovrebbe essere lampante: incentivi per l'acquisto di veicoli elettrici e per la costruzione di punti ricarica. Ambedue colpevoli assenti di lunga data in Italia.

lunedì, novembre 22, 2010

I Comuni denominatori delle frazioni organiche

Chiedo scusa per il doppio senso del titolo, ma mi piace giocare con le parole. Oggi parlerò di raccolte differenziate dei rifiuti e compostaggio.
Gli oppositori, in buona o cattiva fede, della raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, usano spesso l’argomento abusato di una presunta mancata riutilizzazione delle frazioni raccolte.

Invito pertanto a leggere, cliccando qui, con estrema attenzione il documento “La situazione del recupero della frazione organica nel Veneto per l’anno 2009” redatto dall’Osservatorio regionale per il compostaggio presso l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale.
Il Veneto globalmente ha superato il 56% di raccolta differenziata, con intere Province abbondantemente sopra il 60%, grazie soprattutto alle raccolte differenziate domiciliari e alla raccolta separata dell’organico, che spero tutti sappiano rappresenta la frazione merceologica prevalente in peso (circa il 30%).
L’organico raccolto viene trattato tutto in 16 impianti regionali che producono e commercializzano (cioè vendono) annualmente circa 230.000 ton. (!!!) di compost che viene utilizzato come ammendante organico per il 97% in pieno campo nelle colture estensive dell’agricoltura veneta.

Le ragioni di questo successo dipendono da diversi fattori, tra cui:
1) Ottima organizzazione della raccolta differenziata domiciliare
2) Istituzione dell’Osservatorio regionale che verifica il corretto funzionamento degli impianti e la qualità del compost prodotto;
3) Istituzione di un marchio di qualità per il compost (circa 25.000 ton. prodotte);
4) Alta qualità del compost prodotto;
5) Campagne di marketing e sensibilizzazione degli agricoltori.
Il messaggio ai naviganti che questo esempio virtuoso propone è che la raccolta differenziata dei rifiuti è un’attività industriale come tutte le altre che può funzionare solo se si affrontano in maniera efficace tutte le fasi della filiera, dalla organizzazione al recupero finale.
Chi si appresta a iniziare le raccolte differenziate domiciliari non deve farlo con superficialità e approssimazione e, forse sarebbe opportuno avvalersi umilmente del supporto delle esperienze di successo, può essere un modo per partire con il piede giusto.

sabato, novembre 20, 2010

Riflessioni a ridosso di Trento 3.1



Con questo intervento di Silvano Molfese concludiamo la serie di commenti all'ultimo congresso di Aspoitalia svoltosi a Trento. L'interesse suscitato dall'evento ci sembra importante e appena possibile pubblicheremo gli atti del convegno.




Scritto da Silvano Molfese




A Trento il 5 e 6 novembre si è tenuto il 4° congresso di Aspo Italia dal titolo “Terra 3.1” . E’ stato un appuntamento molto stimolante ed ho pensato di mandarvi queste righe un po’ disordinate.

A proposito di comunicazione scientifica: rimango dell’idea che il realismo non vada confuso con il catastrofismo.
Se attraverso l’analisi dei dati ottengo la curva a campana e ne verifico l’elevatissima attendibilità ho un dato oggettivo: può non piacere ma è così.

Ugo Bardi: ottima capacità predittiva dello studio “I limiti dello sviluppo”

Massimo Ippolito diceva: se ai politici offri una soluzione ti ascoltano.

In una pausa dei lavori Ugo Bardi ha detto che in sostanza non siamo stati incisivi come associazione verso i politici : vero! Però almeno un gruppo molto snello che racconta la realtà e che fa sognare un futuro sobrio con pannelli solari ed eolico d’alta quota c’è ed è importante che ci sia e poi: “mal comune mezzo gaudio”
Possiamo confrontarci e realizzare nel nostro piccolo cose utili prima di tutto per noi. A proposito di fotovoltaico Domenico Coiante ricordava che è una tecnologia comparsa nel 1953 e quindi recente: non la si è vista nei film o in giro come accadeva per le radio ricetrasmittenti od il telefono.

A Trento la Facoltà di ingegneria è separata dal contesto urbano: già quando ci si concentra nello studio uno è mentalmente lontano da tutto e da tutti. Allontanarsi dall’urbe significa sì concentrarsi ma anche essere meno allenati al confronto con i diversi modi di pensare e con differenti mentalità.

Messaggi di ottimismo e di positività diceva qualcuno; l’amara verità, la cruda e brutta realtà vengono rigettate.
Del resto perché meravigliarsi? Se vedessimo una persona con l’anello che pende dal naso, con orridi tatuaggi in volto, spilli che fuoriescono dalle gote … molto probabilmente avremmo una reazione di ribrezzo. Ecco forse quando parliamo di limiti delle risorse appariamo un po’ bruttini.

In corriera parlavo con una signora della provincia di Trento che vive a Caserta e che ha avuto 5 figli: io ho chiesto ma come ha fatto! (Mi meraviglio io che sono il primo di 6 figli!) Mi ha risposto che 50 anni fa si respirava un’aria di ottimismo, adesso no è tutto cambiato.

Discutendo del prezzo dell’energia elettrica da nucleare in sostituzione del petrolio, molto elegante ed eloquente è stato il saluto dell’ombrello richiamato da Antonio Zecca.
Sarebbe forse il caso di fare una bella tabella sull’energia nucleare in Italia per evidenziare vantaggi e svantaggi tenendo conto di quanto ha richiamato Balzani e tutti gli altri a Trento, di ciò che è emerso negli ultimi tempi ed anche di quello che ho letto nella lista Nuove Tecnologie Energetiche.
E poi … facciamo il confronto con fotovoltaico ed eolico d’alta quota. A proposito di eolico d’alta quota bisognerebbe trovare un nome italiano sintetico, due parole e non più.

Svuotare il fiasco e pulirlo per conservare a lungo l’olio nuovo. Questa è l’operazione culturale che stiamo facendo; e la dura realtà farà il resto.

Ragionando di ambiente e di energia una volta mi è stato detto che ciò di cui parlo è ininfluente. E’ vero, ciò che andiamo dicendo conta molto poco per chi prende decisioni su costruire la TAV o il ponte di Messina.
A proposito di cambiamento climatico, vincoli delle risorse ecc., se si continua a perdere tempo e se si oltrepassa il punto di non ritorno, di gran lunga più ininfluente sarà il fare di questi signori per fermare la calura verso cui stiamo andando.

Dopo l’intervento di Luca Pardi ho pensato che bisognerebbe distinguere tra le acquisizioni scientifiche di concetti come “la caduta del saggio medio di profitto” dall’impegno più propriamente politico e partitico che ha a che fare prevalentemente con la gestione del potere.
(L’ing. Raffaele Sarpi una volta mi disse: il politico organizza bisogni manifesti)

La conoscenza di questo concetto (cui arrivò anche Engels, industriale tessile) ha consentito a gruppi come la FIAT di diffondere per la pianura Padana tanti macchinari tra gli artigiani per produrre i pezzi che le servivano, sostituendo cosi i suoi operai. Prima promise un prezzo pari a 100 £ : questi operosi artigiani si sono indebitati per comprare i macchinari giusti lavorando 12 ore al giorno esclusa la domenica. Poi gli stessi uomini inviati da Fiat hanno detto a questi artigiani: se volete vi possiamo pagare lo stesso pezzo però a 60 £ . Questi artigiani, volere o volare, hanno stretto i denti ancor di più lavorando 15 ore al giorno e qualche ora anche la domenica. E adesso? ….Dopo aver fatto profitti la Fiat chiude! I macchinari sono fermi ed i nostri bravi artigiani … a spasso per la pianura Padana.

Ritengo che la crisi globale stia camminando sempre più velocemente su tre gambe:
una è legata alle disponibilità di energia e minerali (esempio emblematico il petrolio);
una è dovuta alla disparità tra le classi sociali;
e poi l’inquinamento, emblematicamente il riscaldamento globale.

Sono tornato a casa rassicurato: si sta avvicinando la realizzazione dell’eolico d’alta quota grazie all’impegno del gruppo diretto da Massimo Ippolito.

Mi cadono le braccia

A casa non sono riuscito a far sostituire i tovaglioli di carta con quelli di stoffa.
In un ufficio un impiegato sentiva freddo ed è andato ad accendere i termosifoni: premetto che quando sono uscito fuori ho dovuto levare il giubbotto: la temperatura media del 10 novembre era di 18 °C .
Tempo fa vidi che era stata scaricata la polvere del toner in un lavabo fuori uso: eppure è risaputo da anni che queste sostanze sono cancerogene !!!

giovedì, novembre 18, 2010

Confronto energetico ed economico dei sistemi di trasporto

Consiglio vivamente la lettura a questo indirizzo, dell’articolo del Prof. Patrick M. Condon in collaborazione con Kari Dow, dell’University of British Columbia, dal titolo “A Cost Comparison of Transportation Modes”.
Si tratta di un confronto tra vari mezzi di trasporto dal punto di vista della sostenibilità ambientale ed economica, le cui considerazioni e conclusioni corrispondono bene a quanto da anni vado predicando sul blog e sul sito di Aspoitalia, cioè la netta superiorità dei mezzi di trasporto collettivo su ferro e in particolare dei tram moderni rispetto a tutti gli altri sistemi di trasporto collettivi e privati.

Lo studio, di cui allego i grafici di sintesi più significativi, considera tre parametri fondamentali per effettuare il confronto tra vari mezzi di trasporto: la lunghezza media del viaggio (in prolungamento del percorso a piedi), le emissioni di gas serra dell’intero ciclo di vita, i costi totali dell’intero ciclo di vita (compresi alcuni costi esterni).

I trasporti collettivi su ferro hanno le migliori prestazioni energetiche in termini di energia consumata per passeggero trasportato e miglio percorso, grazie alla superiore efficienza energetica del motore elettrico, alle minori resistenze al moto, alla maggiore capacità di trasporto. Il confronto dei consumi energetici tra tram moderno e filobus collima abbastanza con i valori che ho calcolato in passato.
I trasporti collettivi su ferro hanno inoltre i minori costi specifici totali (costruzione più gestione) per caratteristiche strutturali e soprattutto per la maggiore capacità di trasporto.
Lo studio si conclude con la valutazione che di tutti i sistemi di trasporto considerati, il tram moderno rappresenta dal punto di vista dell’approccio adottato, il migliore investimento per le comunità locali, anche in considerazione delle scelte impellenti legate al raggiungimento del picco del petrolio e alla lotta ai cambiamenti climatici.

Post sciptum. Come le innumerevoli esperienze europee del settore, anche le poche realizzazioni italiane di linee tranviarie attivate cominciano a confermare pienamente questa analisi. In particolare, in Toscana, dove vivo, la prima linea di tram costruita a Firenze, che collega il capoluogo toscano alla città di Scandicci, sta avendo un successo straordinario, con una media di 900.000 passeggeri trasportati al mese e un bilancio economico favorevole. Nello stesso tempo, le aziende di trasporto pubblico su gomma rischiano di chiudere per i debiti e per i tagli del governo ai finanziamenti statali.

martedì, novembre 16, 2010

ASPO: un consuntivo al quarto convegno



E così, con il convegno di Trento, siamo arrivati al quarto convegno di ASPO-Italia. L'associazione esiste ormai da almeno sette anni, da quando Colin Campbell, fondatore di ASPO-internazionale, venne al polo scientifico di Sesto Fiorentino a farci una conferenza sull'esaurimento del petrolio. Nel pomeriggio, un gruppetto di persone impressionate dall'esposizione di Campbell si riunì nel mio ufficio per dare inizio a questa avventura.

Possiamo provare a fare un consuntivo della nostra attività? Che cosa abbiamo ottenuto, e che cosa speriamo di ottenere? Beh, questo dipende dagli obbiettivi che ci siamo posti. Fin dall'inizio, abbiamo pensato ad ASPO come qualcosa di orientato alla comunicazione verso l'esterno. Ovvero, non era il nostro obbiettivo prioritario quello di fare ricerca accademica. In effetti, anche a livello di ASPO-Internazionale, l'impostazione è la stessa.

Comunicare qualcosa, ovviamente, ha lo scopo di generare un cambiamento e il nostro scopo fin dall'inizio era di favorire la transizione verso una società sostenibile. Il nostro messaggio, riassunto in una sola frase, dice che il graduale esaurimento delle risorse minerarie ci sta portando verso una società che avrà un output industriale e agricolo molto più ridotto dell'attuale.

Ma comunicare a chi? Qual'è esattamente il nostro target? Su questo punto, abbiamo molto discusso, con diverse opinioni. Credo che possiamo riassumere le opzioni come:

1. Parlare al popolo. La gente, ascoltando il nostro messaggio si convincerà della bontà delle nostre argomentazioni ed eleggerà dei leader intelligenti e preparati che faranno delle leggi giuste e appropriate per gestire il cambiamento nel miglior modo possibile...... Oops......, come non detto....

2. Parlare ai leader, ovvero "all'orecchio del principe". Dopo di che il principe, convinto della bontà delle nostre argomentazioni, prenderà i provvedimenti necessari per sterzare la società verso la sostenibilità In altre parole, ASPO dovrebbe giocare il ruolo di Giuseppe, nella storia biblica, che va dal faraone e lo avverte dell'incipiente arrivo del periodo di vacche magre. Questa è un'idea che ci era parsa interessante inizialmente. Poi, nella pratica, ci siamo accorti che se vai a raccontare il problema dell'esaurimento delle risorse all'equivalente moderno del faraone, quello al massimo ti risponde "bunga-bunga."

3. Parlare agli illuminati, ovvero agli "opinion leader" o anche ai "lamed wufniks" che, secondo la tradizione ebraica sono i saggi che reggono le sorti del mondo - senza saperlo loro stessi. Questa è una possibilità interessantissima che vedo spesso funzionare quando qualcuno che non avevo mai visto prima mi dice che ha letto il nostro materiale e lo ha capito. Questo tipo di approccio è sostanzialmente "virale" e mira a una trasformazione dal basso della società.

Elaborando su queste considerazioni, una delle cose di cui ci siamo accorti è che i leader attuali sono interessati a tutt'altre cose che al buon governo del paese. Più che altro, sono impegnati nell'arraffare quello che possono, finché possono; questa è una necessaria conseguenza della "lobbyzzazione" della società. Nella pratica, ogni proposta di riforma si scontra con il fatto che cambiare qualcosa nella società va necessariamente a impattare sulla capacità di una o più lobby di arraffare la loro parte di bottino. Se la proposta di cambiamento guadagna un certo peso e un certo momento di quantità di moto, la reazione delle lobby danneggiate può essere - e di solito è - estremamente aggressiva. Lo si è visto già a partire dagli anni '70, quando il gruppo di intellettuali chiamato "Il Club di Roma" cercò di "parlare all'orecchio del principe" dicendo già allora le cose che stiamo dicendo noi, ovvero "I Limiti dello Sviluppo". Sapete tutti come è andata a finire, con messaggio e messaggeri ridicolizzati, marginalizzati e demonizzati. E' già tanto che la nostra società è un po' meno violenta di quella medievale, altrimenti li avrebbero messi al rogo fisicamente.

La stessa violenta reazione da parte delle lobby minacciate l'abbiamo vista recentemente per il caso del messaggio lanciato dai climatologi. Qui, la demonizzazione è stata anche più violenta che nel caso dei "Limiti dello Sviluppo" con minacce di morte sparate un po' a tutti quelli che hanno sostenuto certe cose; minacce che, per fortuna, per ora non si sono concretizzate. Il messaggio di ASPO, finora non ha ricevuto questo tipo di demonizzazione/ridicolizzazione. Credo che sia più che altro perché, per ora, non abbiamo dato così tanto fastidio come i climatologi e - al loro tempo - il Club di Roma. Alcune avvisaglie però le abbiamo avute; con attacchi abbastanza violenti (verbalmente) da parte di qualche esagitato. Al momento in cui dovessimo trovarci ad avere una visibilità e un impatto ben superiore all'attuale, dobbiamo aspettarci un trattamento simile e non sarebbe una cosa piacevole.

Personalmente credo la nostra potenzialità strategica in termini mediatici è notevole se la sapremo sfruttare. Il nostro messaggio, basato sul "pensiero dinamico" è articolato ed evoluto - ben superiore al "pensiero barbaro" che altri portano avanti anche con buone intenzioni. Il pensiero barbaro vuole che ci siano soluzioni semplici a problemi complessi: è il pensiero degli assessori che mettono doppi vetri alle finestre del palazzo del comune, quello dei nuclearisti che credono che per risolvere tutti i problemi basti costruire centrali, quello dei sequestratori di CO2 che sostengono che il problema si risolva nascondendolo sottoterra, quello dei sostenitori dei biocombustibili che credono che un agricoltura che si basa tutta sui combustibili fossili possa produrre equivalenti dei combustibili fossili, e tanti altri esempi.

Purtroppo, ti accorgi che il pensiero barbaro è imperante a tutti i livelli, con le decisioni prese sulla base di pezzi e bocconi mal digeriti delle notizie che si leggono sui giornali - a loro volta pezzi e bocconi mal digeriti di quello che era la notizia originale. Questo non ci sta portando da nessuna parte. Il clima è al collasso, l'esaurimento graduale delle risorse sta avanzando, la crisi economica ci sta sommergendo. Nessuno, tuttavia, sembra in grado di pensare o fare qualcosa di utile.

Se dobbiamo sopravvivere alla crisi in corso (e il bello deve ancora venire), dobbiamo sviluppare strumenti intellettuali che ci permettano di gestire una società estremamente complessa che non riesce a trovare un equilibro accettabile con se stessa e con l'ecosistema. Per gestire una società complessa, occorre un pensiero complesso: il pensiero dinamico. E' un tipo di pensiero che si basa sull'esame delle interazioni fra tutti gli elementi di un sistema e che tiene conto del fatto che ogni azione fatta su un sistema complesso genera una cascata di reazioni che possono annullare gli effetti voluti e - anche - fare di peggio. E il tipo di pensiero alla base dello studio "I Limiti dello Sviluppo" ma un pensiero complesso non è necessariamente complicato. E' un modo naturale di pensare, non richiede particolare istruzione o competenze; è soltanto l'esposizione continua ai media che lo distrugge. Avvicinarsi al pensiero dinamico vuol dire acquisire capacità analitiche e predittive impensabili in altri modi di pensiero.

La conseguenza principale - e anche la più ovvia - della visione dinamica è semplice: il cambiamento è inevitabile; non dobbiamo resistere al cambiamento, dobbiamo guidarlo. Più ci affanniamo a mantenere le cose come stanno, più esauriamo le preziose risorse che dovremmo risparmiare per gestire il cambiamento in modo non traumatico. Dobbiamo uscire dalla dipendenza dai combustibili fossili il più presto possibile e questo richiede dei sacrifici. Richiede dei sacrifici investire nell'energia rinnovabile, nell'agricoltura sostenibile, nella decarbonizzazione dell'economia. Ma se non accettiamo di fare dei sacrifici ora, ne dovremo fare di molto più duri e pesanti nel futuro. La sostenibilità non è una scelta in un mondo finito, è un obbligo, che piaccia o non piaccia.

Quindi, più che altro c'è bisogno di insistere e andare avanti con le nostre idee e i nostri studi. E' un tentativo di riforma "dal basso" che si basa sulla diffusione dei concetti di sostenibilità fra persone di buona volontà. Probabilmente non riusciremo a fermare il collasso imminente, ma possiamo ridurne un po' le conseguenze. Proviamoci.

lunedì, novembre 15, 2010

300 anni di storia del petrolio in 5 minuti



Questo video di Tod Brilliant è in inglese, ma è facilmente comprensibile e vale decisamente la pena di perderci i 5 minuti che richiede. L'originale è qui.

sabato, novembre 13, 2010

Una tempesta di petrolio su un territorio

Ospitiamo questo intervento di Armando Boccone che ci illustra un'indagine sul territorio alla ricerca dei segni di un mondo scomparso a causa dei cambiamenti indotti dalla disponibilità di energia fossile a basso costo.
Scritto da Armando Boccone

Questo lavoro analizza, sebbene in modo abbastanza approssimativo, le conseguenze che l’abbondanza di petrolio a buon mercato ha avuto su un territorio e le difficoltà nella creazione di nuove prospettive a partire dalla considerazione che ciò non sarà più possibile.
Il lavoro prende le mosse dai dati della piovosità relativa al territorio nord-orientale della mia regione di origine (la Lucania). Consultando il sito dell’ARPAB ho notato che le stazioni meteorologiche di questo territorio hanno rilevato una piovosità, nel periodo 1921-2001, di 500-600 millimetri o poco più all’anno. E’ un indice molto basso. Le piogge, in questa zona della Lucania che confina con la Puglia e il mar Jonio, sono concentrate nel periodo invernale (dicembre-marzo) mentre i mesi estivi sono interessati da siccità molto duratura.

Fig 1: Il pluviometro della stazione meteorologica della località Torre Accio, nel comune di Bernalda, ha rilevato una piovosità media di 514 mm all’anno nel periodo 1921-2001


L’agricoltura “logicamente” connessa a queste condizioni climatiche è stata un’agricoltura secca (cioè basata solamente sulle piogge) caratterizzata dalla cerealicoltura e dall’olivicoltura, con un po’ di orticoltura e coltivazioni varie intorno alle masserie e l’allevamento ovino nelle zone interne e collinari del territorio. Nella cerealicoltura periodicamente si ricorreva al maggese, cioè il terreno veniva lasciato incolto per dargli modo di riprendersi.
Se si guarda però l’agricoltura attualmente praticata nel territorio ci si accorge che è un’agricoltura fiorente, basata su colture orticole e frutticole specializzate.
Cosa ha reso possibile questo enorme cambiamento?
Le cause sono state tante come la riforma agraria attuata negli anni ’50 del secolo scorso, come la creazione di dighe nella parte occidentale della regione (quella che confina con la Campania e la Calabria) dove la piovosità supera i 1000 mm annui, come la creazione delle enormi infrastrutture necessarie per portare l’acqua verso gli utilizzatori finali, come la disponibilità di concimi chimici, … come, per concludere e riassumere, la enorme disponibilità di petrolio a buon mercato!

Fig. 2 Struttura necessaria al trasporto dell’acqua


Se non ci fosse stata una enorme disponibilità di petrolio a buon mercato non sarebbe stata possibile per l’agricoltura andare incontro a quel mutamento a cui si è assistito dal secondo dopoguerra in poi.
Adesso sembra che quella tempesta di petrolio a cui si è assistito finora inizi a dare segni di calma. E’ necessario quindi iniziare a pensare come impostare non solamente la produzione ma tutta la vita umana su altri criteri e non più sull’uso massiccio di petrolio e su tutto ciò che questo uso ha reso possibile.
Per la precisione bisogna andare alla ricerca, come disse Alì Samsam Bachtiari al congresso Aspo di Firenze nel 2007, delle nostre radici, cioè delle conoscenze che ci hanno guidato nei secoli precedenti l’era petrolifera. Disse questo studioso che stiamo attraversando un momento di grande difficoltà per la civiltà umana che si trova per la prima volta davanti al declino globale di una risorsa fondamentale come il petrolio.
La ricerca di queste conoscenze non sarà facile perché quella tempesta di petrolio, rendendole temporaneamente non attuali, ha impedito che fossero trasmesse alle nuove generazioni. Molte di queste conoscenze erano solamente nella mente e nel comportamento dei nostri padri e nonni ed erano trasmesse oralmente per cui bisogna andare da loro e chiedere come facevano a risolvere certi problemi.

La masseria, il pozzo, il forno, la stalla, il pollaio, la colombaia e altro


Fino agli anni cinquanta del secolo scorso una parte consistente della popolazione della mia Regione di origine (come per buona parte dell’Italia) era dispersa sul territorio ed era dedita all’agricoltura
Per questo motivo ho fatto una ricerca sulla realtà rurale precedente l’età dell’abbondanza di petrolio. La ricerca è consistita nel chiedere informazioni alle persone anziane del mio paese e nell’andare sul territorio e fotografare e interpretare i resti delle strutture di quel modo di vita, cioè le masserie abbandonate. L’esposizione che farò di questa realtà sarà sicuramente molto approssimativa, parziale e, in parte, imprecisa, ma l’importante è iniziare. Sarebbe stato interessante anche indagare la nuova realtà dell’agricoltura e i nuovi rapporti fra i proprietari dei terreni e la coltivazione dei terreni stessi (sicuramente attualmente molta parte del lavoro necessario alla coltivazione viene affidato a terzi).


Foto 3: una masseria abbandonata…

Non pensavo che il territorio su cui ho fatto l’indagine fosse pieno di masserie abbandonate. Le costruzioni, sia all’interno che all’esterno, mettono in evidenza delle tecniche costruttive che nessun muratore o azienda edile attualmente riuscirebbe più a padroneggiare, sostituite dalle caratteristiche tecniche del ferro e del cemento. Ma il ferro e il cemento hanno il tallone di Achille che quelle tecniche costruttive non avevano: richiedono moltissima energia per la loro produzione. L’energia che richiedeva quell’agricoltura era rappresentata soprattutto dalla legna che serviva alle innumerevoli fornaci distribuite sul territorio per cuocere mattoni e coppi e dal lavoro animale e umano per coltivare la terra.
Ogni masseria possedeva il pozzo, il forno, la stalla, il pollaio, la colombaia e altro. Buona parte della vita delle famiglie coltivatrici avveniva nelle masserie. I rapporti con l’esterno, sia dal punto di vista economico che sociale, si riducevano soprattutto alla vendita del grano, dell’olio e di poco altro. Dato che buona parte della vita si svolgeva nella masseria era necessario disporre dell’acqua e di fare periodicamente il pane. Mi aspettavo dei sistemi di raccolta dell’acqua piovana che cade sui tetti, così come esistono nel mio paese di nascita. Quest’acqua veniva convogliata, attraverso delle tegole a imbuto che correvano lungo i muri, in apposite cisterne, cioè in vani interrati disposti sotto le case. L’acqua piovana, benché priva di sali minerali e ristagnante, in mancanza di acqua prelevata dalle sorgenti, veniva usata anche per bere. Nelle masserie non ho trovato invece tali sistemi di raccolta di acqua. La spiegazione che ho dato è molto semplice: nelle masserie si disponeva dell’acqua dei pozzi, in certo modo corrente e contenente sali minerali. La stalla molte volte serviva solamente come ricovero per gli animali da lavoro come asini e muli mentre rare volte per l’allevamento di qualche capo bovino. La novità è stata la presenza delle colombaie: non pensavo ci fossero e invece la possedevano quasi tutte le masserie. Le persone che ho intervistato in merito dicevano che le colombaie davano un consistente apporto di carne per l’alimentazione dei bambini e delle donne in gravidanza e in allattamento. Mi hanno detto pure che era difficile avere una coppia di colombi con cui mettere su una colombaia.

Foto 4: con il forno…


Foto 5: il pozzo

Foto 6: il silos, il pollaio e la sovrastante colombaia



Foto 7: e una bellissima pergola carica di uva davanti alla porta



La colombaia


Dato che sono stato colpito dalla presenza delle colombaie (pensavo addirittura che non ne esistessero nel territorio) ho focalizzato la mia attenzione nella ricerca delle conoscenze necessarie alla sua creazione, all’allevamento dei colombi, al loro utilizzo nell’alimentazione e a quant’altro a esse collegate.
Ho stabilito una correlazione fra la diffusione delle colombaie e la presenza delle ricette per cucinare i colombi. Ho visto che Pellegrino Artusi, nella sua opera ”La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” espone cinque ricette per cucinare i colombi. Adesso invece nei nuovi libri di cucina in vendita nelle libreria o in edicola non c’è nessuna ricetta che riguarda i colombi. Infatti è difficile acquistare piccioni per l’alimentazione visto che nessun supermercato o macelleria li vende.


Una domanda imbarazzante!


A molte persone ho fatto una domanda che, salvo una volta, non ha ricevuto risposta. Questa domanda aveva l’intento di mettere in evidenza la maggiore sostenibilità dell’allevamento dei colombi rispetto agli attuali allevamenti che si basano sulla coltivazione di tutto ciò che viene utilizzato per l’alimentazione animale. La domanda è stata: i colombi si alimentavano oltre che con le granaglie appositamente loro date anche con ciò che trovavano sul territorio quando uscivano liberamente dalla colombaia?
Ho inviato una e-mail a un indirizzo di un allevatore di piccioni che ho trovato sul WEB: la risposta è stata che se i colombi uscissero liberamente in pochi sarebbero rientrati, che chi alleva deve per forza tenerli in gabbia, che gli vengono somministrati degli integratori che a quelli in libertà non servono, ecc. Non c’è stato verso di ricevere una risposta precisa alla domanda che ho fatto!
Solamente una persona mi ha risposto dicendo che se l’allevamento dei colombi fosse avvenuto solamente dando da mangiare granaglie sarebbe stato molto costoso e quindi non conveniente.
Fig. 8 Un’altra masseria abbandonata (si notino in fondo, in alto, i buchi di una colombaia)


Una signora mi ha dato altre indicazioni più dettagliate sull’allevamento dei piccioni. Mi ha detto che:
- per impiantare una colombaia veniva acquistata una coppia di piccioni quando era già atta al volo e autonoma nell’alimentazione;
- venivano loro tagliate le estremità delle penne delle ali in modo che si abituassero a vivere in quell’ambiente;
- le uova non venivano mangiate ma servivano solamente per la cova;
- i colombini erano pronti per la macellazione alla fine del primo mese di vita;
- la loro carne serviva soprattutto per l’alimentazione dei bambini e delle donne in cinta e in allattamento;
- i colombi arrivati all’età della macellazione servivano sia per l’alimentazione all’interno della masseria che venduti all’esterno;
- i colombi venivano nutriti col grano perché se non alimentati probabilmente si sarebbero allontanati dalla colombaia;
- la carne dei colombi era molto importante per l’alimentazione dei contadini;
- quasi in ogni masseria c’era una colombaia.

Dalla signora non sono riuscito ad avere risposte precise alla mia domanda se i colombi si nutrissero anche di ciò che trovavano nel territorio circostante quando uscivano dalla colombaia. Può darsi che lei abbia conosciuto le colombaie quando ormai il territorio era completamente e intensamente coltivato e l’allevamento dei colombi era diventato quasi un hobby e avveniva al chiuso. Del resto così avveniva con i pollai. Le galline erano nutrite con granaglie ma poi erano libere di trovare altri alimenti (insetti, vermi, granaglie selvatiche) sul territorio intorno alla masseria. Adesso, con la campagna “urbanizzata, con strade che arrivano dappertutto, anche l’allevamento delle galline avviene al chiuso, altrimenti molte sarebbero ammazzate dalle autovetture.


Le prospettive future


La nuova realtà che si è creata è stata determinata , come è stato già detto, dall’abbondanza di petrolio a buon mercato. Questo fenomeno è stato come una tempesta. Come avviene in molti Paesi interessati da uragani la gente, appena sa del suo arrivo, alle volte è costretta a scappare lasciando le loro case così come si trovano. Sembra che sia avvenuto la stessa cosa nel territorio che è stato indagato, visto come sono state lasciate alcune masserie. Appena io e la mia compagna siamo entrati in una masseria (la porta era aperta) lei è rimasta scandalizzata perché pensava a un atto di vandalismo. La ho rassicurata dicendo che quella masseria era stata abbandonata da moltissimi anni.
Fig. 9 Una masseria abbandonata in fretta e furia


I mobili della cucina erano pieni di piatti, posate, pentole, e altro. In un armadietto c’erano due bottiglie di liquore, senza tappo, con all’interno ancora il liquore, ormai ridotto a uno sciroppo molto denso, visto che l’alcool e l’acqua erano evaporati. Un cassetto era pieno di ricevute di bollette pagate.

Il riutilizzo delle masserie per fini turistici


Non è bello vedere tante masserie andare incontro al degrado. Alcune masserie però ricevono un altro destino. Quelle con buone caratteristiche architettoniche e costruttive e ancora conservate bene vengono ristrutturate e destinate a fini turistici. E’ quanto avvenuto con la masseria esposta dalla successiva foto, trasformata in un Resort a quattro stelle, con piscina, maneggio, cucina locale ma di alto livello e quant’altro.
Fig. 10 Una masseria trasformata in un Resort a quattro stelle


Quando la tempesta di petrolio finirà allora probabilmente le masserie abbandonate riceveranno la destinazione che hanno avuto inizialmente anche se adesso con Internet e il WEB, col progresso scientifico, con l’istruzione di massa e altro, le cose saranno un po’ diverse. Per quanto riguarda le colombaie le difficoltà saranno solamente agli inizi perché, una volta ottenuti i colombini, disponiamo già delle ricette gastronomiche di Pellegrino Artusi.

giovedì, novembre 11, 2010

Addio alle riqualificazioni energetiche degli edifici

L’ultima disastrosa notizia proveniente dal governo Berlusconi è la cancellazione dei fondi della finanziaria destinati per il 2011 agli interventi di riqualificazione energetica degli edifici soggetti alla detrazione fiscale del 55%. Si tratta di una misura iniqua e inspiegabile anche sul piano economico perchè negli anni di applicazione 2007 – 2010, i risultati ottenuti sono stati estremamente positivi.

Secondo il rapporto triennale dell’Enea, l’ente che gestisce il sistema di presentazione delle domande da parte dei cittadini (disponibile a questo indirizzo), alla fine del 2009 sono stati risparmiati in Italia circa 4400 GWh di energia primaria, stimabili in circa lo 0,3% dei consumi energetici finali.
Se cautelativamente manteniamo lo stesso valore del risparmio energetico ottenuto nel 2009 anche per il 2010, otterremmo un risparmio a fine 2010 di circa 6000 GW, circa lo 0,4% dei consumi energetici finali in Italia. Un risultato che, visto in una prospettiva di lungo termine, è sicuramente apprezzabile, anche per quanto riguarda il risparmio di emissioni di CO2, valutato dall’Enea nel triennio in circa 1 Mton.

Ma anche dal punto di vista economico la misura è da considerarsi positiva in quanto nel triennio sono stati attivati complessivamente investimenti per circa 9 miliardi (circa 8 dai privati, con una stima di circa 11 al 2010). E il costo dell’intera operazione per le casse dello Stato è quantomeno molto inferiore alle risorse effettivamente stanziate, perché il provvedimento ha prodotto lavori che altrimenti non si sarebbero svolti e determinato un emersione dal lavoro nero, con conseguente incremento delle entrate tributarie. Inoltre, come correttamente riportato in questo articolo del Sole 24 Ore, bisognerebbe considerare anche gli effetti economici indiretti.
“Secondo i dati anticipati in un recente convegno, il Cresme calcola che il bilancio al 2015 del 55% sia positivo per il sistema-paese, grazie ai risparmi sulla bolletta energetica nazionale, all'incremento del reddito immobiliare che i proprietari potrebbero ricavare affittando le case riqualificate e, infine, alle maggiori entrate per il fisco (nell'ipotesi che i soldi restituiti agli 800mila beneficiari della detrazione siano subito spesi e alimentino nuove imposte). E questo senza quantificare altre ricadute socio-economiche, come il sostegno all'occupazione in una fase di difficoltà per l'edilizia.”

La situazione economica generale richiede certamente una razionalizzazione della spesa pubblica, ma ciò dovrebbe avvenire attraverso una riallocazione delle spese improduttive verso attività utili e maggiormente efficienti sul piano economico ed energetico. Un governo in evidente stato confusionale sta seguendo la strada opposta.

mercoledì, novembre 10, 2010

Scambismo elettrico

L’importazione di energia elettrica nel 2008 in Italia è stata pari a 43,4 TWh, l’esportazione a 3,4 TWh. La differenza tra importazioni ed esportazioni ha rappresentato nell’anno considerato circa l’11% del Consumo Interno Lordo di energia elettrica, un valore molto elevato.


Nel grafico allegato (ingrandire cliccando sul grafico) sono sintetizzati i pesi suddivisi per nazioni delle importazioni ed esportazioni di energia elettrica in Italia nel 2008.
Come si può vedere, la maggior parte delle importazioni di energia avviene dalla Svizzera e dalla Francia.

Ora, siccome sia la Svizzera per il 40%, sia la Francia per il 77%, producono energia elettrica con il nucleare, i fautori di questa forma di energia accusano l’Italia di ipocrisia per il rifiuto di costruire centrali nucleari sul proprio territorio.

Ma questa critica è facilmente confutabile per i seguenti motivi:
1) Sia la Svizzera per il 55% che la Francia per il 12% producono energia elettrica con l’idroelettrico prevalentemente installato ai confini con l’Italia.
2) L’Italia acquista energia elettrica dall’estero per convenienza economica e non per sottodimensionamento del proprio parco centrali. Infatti Francia e Svizzera sono costretti a vendere sottoprezzo l’energia nucleare in esubero nelle ore notturne e viceversa l’Italia utilizza solo in parte la potenza elettrica installata sul proprio territorio.
3) La valutazione sull’uso dell’energia nucleare deve essere esclusivamente legata a motivi di convenienza industriale per il sistema paese e non a considerazioni morali. Ma, come abbiamo sottolineato in varie circostanze su questo blog, il vero costo del kWh nucleare, la vera entità delle risorse uranifere mondiali e la consistenza dell’apparato energetico italiano portano ad escludere questa convenienza.

lunedì, novembre 08, 2010

Un commento al IV Congresso Aspoitalia


Il quarto Congresso di Aspoitalia è stato come al solito una fonte preziosa di analisi e proposte tecniche e scientifiche per affrontare adeguatamente la prossima crisi sistemica che coinvolgerà l’umanità a causa del graduale esaurimento delle risorse fossili.
Il Presidente dell’associazione ha già sintetizzato i contenuti dei vari interventi, che appena possibile renderemo pubblici anche ai lettori di questo blog.
Io vorrei aggiungere solo un breve commento sulle difficoltà che la comunicazione dei rischi collegati al picco del petrolio trova nel raggiungere un’opinione pubblica anestetizzata dalla società del benessere, tema sottolineato in quasi tutti gli interventi.
Nella seconda giornata del convegno abbiamo ascoltato alcune relazioni di esperienze interessanti di coinvolgimento “dal basso” dei cittadini, come le transition town e i bilanci di giustizia. Si tratta di azioni indispensabili e meritorie di modificazione dei comportamenti per un utilizzo delle risorse meno consumistico.
Ma, sono pur sempre esperienze di nicchia che riproducono in forma laica quello che io definisco “modello Amish”, cioè comunità che da motivazioni religiose od etico – morali, fanno scaturire piccole società in opposizione ai modelli dominanti.
Ciò di cui abbiamo invece urgente bisogno è una consapevolezza di massa del problema, cioè di trasferire sul piano della politica, intesa come luogo di sintesi dell’interesse generale, l’emergenza attualmente ignorata o negata.
Molti sono scettici su questa possibilità, ma bisogna ricordare soprattutto ai più giovani che una consapevolezza di questo tipo si era affermata anche in Italia durante gli anni ’70, con quella che un politico lucido e lungimirante come Enrico Berlinguer definì “austerità”. Tale politica, che ho descritto qualche tempo fa in questo articolo, non a caso traeva forza e motivazioni dalla prima crisi petrolifera mondiale e dalla contemporanea apparizione del testo ormai storico su “I limiti dello sviluppo”.
Poi, il rapido ritorno alla “normalità petrolifera” e la sistematica demolizione su basi false delle denunce del Club di Roma, spensero i fermenti e le intuizioni di quel periodo, ingenerando quella sindrome dell’ “Al lupo, al lupo” che ho qui descritto qualche anno fa.
Francamente, non credo però che un clima analogo possa riformarsi attraverso la denuncia degli scenari apocalittici conseguenti ai cambiamenti climatici, ma forse solo come reazione ai traumi economici che si susseguiranno nei prossimi anni.

sabato, novembre 06, 2010

Conclusa ASPOItalia-4 a Trento


Nella foto, Guido Barone parla del complesso problema degli idrati di metano a ASPO-4 a Trento

Si è concluso oggi il convegno ASPOItalia-4 a Trento con una nuova serie di interventi e con l'assemblea dei soci, nel pomeriggio. Ancora interessanti presentazioni, oggi centrate sul clima con Stefano Caserini (di Climalteranti/Polimi) come ospite. Molta discussione sul problema della comunicazione e molte proposte per migliorare. Molte lodi anche per Claudio Della Volpe, che ha organizzato il tutto molto bene. Vi relazioneremo un po' per volta sugli interventi, via via che prepariamo i filmati.

Nel frattempo, una foto della parte più "sociale" del convegno, con Terenzio Longobardi in un momento molto espressivo alla cena sociale.

venerdì, novembre 05, 2010

ASPO-4 a Trento


E' in pieno svolgimento il convegno "ASPO-4" a Trento. Qui sopra, vedete Claudio della Volpe, l'organizzatore, in piena azione.

Oggi abbiamo parlato di limiti dello sviluppo di sostenibilità, di tram, di pellagra, di energia atomica, di auto elettriche di Mediocristan e altre cose. Insomma, una roba parecchio interessante.

Il convegno prosegue domattina con tre presentazioni sul cambiamento climatico. Quando possibile, vedremo di mettere le presentazioni sul web

mercoledì, novembre 03, 2010

ASPO-Italia: il quarto convegno a Trento il 5-6 Novembre 2010


Repetita iuvant
A Trento, presso la Facoltà di Ingegneria, nei giorni 5 e 6 Novembre 2010 si terrà il quarto congresso di ASPO Italia. Il congresso è aperto a tutti gli interessati.


Il IV congresso di Aspo‐Italia si svolgerà a Trento, Facoltà di Ingegneria, Via Mesiano 77, 38050 il 5/6 Novembre 2010, aula R2, 2° piano ed avrà un tema sintetizzabile nello slogan: “Terra 3.1”.
Nel 500° numero de “Le Scienze” si sosteneva, che dopo una fase 1, nella quale l’uomo primitivo si è sforzato di sopravvivere sfruttando le risorse dell’ambiente, durata fino al Neolitico ed una seconda negli ultimi 10.000 anni in cui ha modellato il mondo che lo circondava piegandolo alle proprie esigenze, oggi siapre una terza fase in cui una crescita indiscriminata come quella dei 200 anni precedenti non è più possibile.


Molti processi ambientali sono arrivati ad un punto di non ritorno come dimostrato dalla questione climatica, dalla crisi di alcune risorse, ma anche dalla distruzione parossistica degli ambienti naturali; questo avviene proprio mentre lo sviluppo economico tradizionale sembrerebbe consentire anche a molti paesi poveri di aumentare il livello di vita delle loro popolazioni. In questa terza fase, Terra 3, occorrerà comunque conciliare la presenza umana e la impossibilità di ottenere risorse illimitate dal pianeta.


Non solo siamo d’accordo in linea generale con questa analisi, ma come Aspo‐Italia ci poniamo il problema di come concretamente affrontare le innumerevoli questioni che si aprono sia dal punto di vista tecnologico che economico e sociale. Come conciliare l’esigenza di una maggiore giustizia distributiva e le dimensioni limitate del pianeta? Quali tecnologie e quale organizzazione della produzione, della riproduzione e dello scambio sono maggiormente adeguate?


Questo è l’argomento del nostro congresso che vuole entrare nel merito di alcune almeno di tali questioni. Oltre 40 anni fa fu pubblicato “Limits to growth” che sviluppò per la prima volta il tema; seguiremo la traccia, per quanto possibile aggiornata, di quella grande impresa intellettuale.
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Per informazioni potete contattare l’organizzazione via e-mail: claudio.dellavolpe@unitn.it

Link al programma dettagliato del convegno

martedì, novembre 02, 2010

Un milione di posti di lavoro in meno


Quattro Piaggio Porter elettrici completamente automatizzati hanno percorso 8000 km dall'Italia alla Cina senza che un essere umano abbia toccato il volante (fonte). Questa dell'automatizzazione della guida dei mezzi stradali è una rivoluzione che sta per scoppiare e sulle cui conseguenze, forse, non siamo preparati.

Questo post è stato pubblicato su Crisis il 29 Ottobre 2010


A partire dagli anni 1950 la capacità di guidare un'automobile è stata una specie di marchio del raggiungimento della maggiore età, specialmente per i maschi. Dominare oggetti come il cambio manuale e la frizione era un segno di virilità che lasciava in sospetto quelli che - invece - utilizzavano diavolerie come il cambio automatico. Insomma, era una prova iniziatica, un po' come per i giovani indiani di una volta riuscire a uccidere il primo bisonte.

Ammazzare i bisonti come prova di virilità è un po' passato di moda ai nostri tempi; anche per la mancanza di bisonti in numero sufficiente. Ma il dominare una creatura meccanica a quattro ruote rimane ancora oggi un momento importante nella vita di un uomo, perlomeno nel nostro mondo "sviluppato". Anche questo, però, potrebbe sparire; non certo per mancanza di automobili, ma per lo sviluppo di nuove tecnologie che rendono superfluo il guidatore umano.

L'idea di automatizzare la guida dei veicoli stradali è in giro da parecchi anni ma, ultimamente, ha fatto notizia apparendo sul New York Times dove si commenta sulla "Googlecar", un veicolo completamente automatico realizzato dal team di Google. Il risultato è un veicolo-robot che si guida da solo, senza bisogno del guidatore umano. Ci vorrà ancora un po' di tempo, ma non c'è dubbio che questi sistemi sono destinati a funzionare e a funzionare molto bene. Un sistema elettronico di guida non si arrabbia, non si ubriaca, non perde il controllo, non si distrae, non è soggetto ai colpi di sonno, rispetta sempre il codice stradale e può funzionare 24 ore su 24, notte e giorno. In più, a lungo andare costerà sicuramente meno di un guidatore umano (e non andrà mai in sciopero). Insomma, non c'è competizione.

La nostra è una società che si oppone ferocemente a qualsiasi innovazione che riduca il potere delle varie lobby che dominano l'economia - si veda per esempio la recente campagna contro le rinnovabili sponsorizzata dalla lobby dei combustibily fossili. Non si oppone, invece, a quelle innovazioni che hanno come effetto la "riduzione del costo della manodopera," dove la "manodopera" non ha potere di fare lobby è quindi non si può opporre alla riduzione di se stessa. Non c'è dubbio che la guida robotizzata soddisfa questa condizione e ne possiamo immaginare una diffusione estremamente rapida. Stuart Staniford ha esaminato il meccanismo di introduzione di questi sistemi e conclude che ci sono buone possibilità che sia esplosivo, più o meno come quello dei telefonini o dei televisori a schermo piatto. Una volta che il sistema sarà affidabile, sarà possibile conquistare completamente il mercato in cinque o sei anni al massimo. Vediamo ancora una volta - se ce ne fosse mai stato bisogno - come siamo molto bravi a con gli aggeggi tecnologici e altrettanto bravi a pianificare la loro espansione nel mercato.

Siamo molto meno bravi, però, a prevedere gli effetti sociali e politici della loro introduzione. Introdurre cose come telefonini e internet ha cambiato molte cose nella società negli ultimi 10 anni, ma introdurre sistemi di guida automatizzati avrà effetti probabilmente maggionri e non soltanto sulla percezione della propria virilità da parte dei giovani maschi. Staniford stima che ci siano circa 3,6 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti correlati alla capacità di guidare un veicolo stradale. La maggior parte di questi posti finirebbero persi con il nuovo sistema.

In Italia, fatte le dovute proporzioni (USA 300 milioni, Italia 60 milioni), dovremmo avere circa 700.000 persone che si guadagnano da vivere guidando un mezzo; autobus, taxi, ambulanze, eccetera. E questo numero non considera i posti "indotti" dalla guida; istruttori, gli impiegati negli uffici che rilasciano patenti, quelli che fanno corsi di sicurezza stradale, eccetera; per non parlare dei vigili urbani, dei quali ne serviranno molti di meno dato che i veicoli-robot non infrangono il codice della strada. Alla fine dei conti, non è fuori posto parlare di un milione di posti di lavoro in Italia che andrebbero (andranno) perduti come conseguenza dello sviluppo di mezzi stradali robotizzati.

In realtà, la rivoluzione tecnologica che abbiamo di fronte non si limita ai guidatori di mezzi; è qualcosa che spazza via tutto quello che ha a che vedere con la movimentazione di oggetti. E' uno dei pochi spazi che sono rimasti agli esseri umani nel settore manufatturiero, dei trasporti, e anche in quello militare. Se andate a vedere come funziona un'industria manufatturiera moderna, vedrete che l'unico lavoro del personale non specializzato è quello di muovere oggetti con i carrelli elevatori o con paranchi. Anche questi finiranno con essere automatizzati; è sempre la stessa tecnologia. Se andate a vedere il meccanismo di uno spedizioniere, vedrete come gli umani sono li' per movimentare pacchi da magazzini a furgoni e viceversa - oltre che a guidare i furgoni. Tutto questo può essere automatizzato altrettanto bene con la tecnologia che guida i veicoli. Infine, un altro lavoro tradizionalmente umano è quello in campo militare dove gli umani guidano svariati tipi di veicoli e movimentano oggetti che si muovono a grande velocità; pallottole, missili e simili. Anche questo lavoro, lo fanno molto meglio i robot. Conteggiando tutti questi lavori dove gli umani non sono più necessari, si fa sparire una fetta molto importante dei posti di lavoro nella società industriale - alcuni milioni almeno - soltanto in Italia.

Ora, non mi fate fare il luddita: lo so benissimo che nel passato abbiamo visto rivoluzioni fare sparire posti di lavoro in numeri ben più ampi, ma questa perdita è stata assorbita senza problemi dalla società; che ne ha creati di nuovi. Pensiamo solo al numero di contadini che sono spariti dal tempo dell'Italia agricola. Non sono morti di fame: si sono trasformati in operai. E gli operai, lo stesso, sono in diminuzione e tendono a trasformarsi in impiegati. La robotizzazione dei veicoli è semplicemente un ulteriore passaggio nella graduale "terziarizzazione" dell'economia. Se tutto va come è sempre andato, trasformeremo i guidatori in impiegati e l'economia continuerà a crescere.

Tutto vero, ma c'è un piccolo problema: queste trasformazioni sono state possibili in una società in piena espansione che aveva le risorse necessarie per investire in nuove industrie e nuovi posti di lavoro. Oggi, con l'economia in contrazione a causa il graduale esaurimento delle risorse, dove troviamo i mezzi per creare nuove industrie e nuovi posti di lavoro? Un'alternativa praticata nella storia era di trasformare i disoccupati in soldati, mandandoli a combattere altri disoccupati trasformati in soldati anche loro. Questo risolveva parecchi problemi. Ma, come dicevo prima, oggi non possiamo più fare nemmeno questo, dato che i soldati umani stanno diventando rapidamente altrettanto obsoleti dei guidatori di autobus.

E allora, cosa fare di questi milioni di persone, ex guidatori di autobus e di carrelli elevatori? Trasformarli in animatori di villaggi turistici? In assaggiatori del sale nella minestra? In riparatori di clavicembali mal temperati? E' difficile dire - la sola cosa che possiamo dire è che il mondo si trasforma sempre. Gli operai non erano contadini vestiti con tute blu e gli impiegati di oggi non sono operai con la cravatta. Così, in qualsiasi cosa si trasformeranno i guidatori di oggi, non saranno la stessa cosa di quello che sono oggi. L'unica cosa che è sicura e che non siamo mai preparati a queste trasformazioni e che continuiamo a vedere il futuro con la lente del passato - il futuro ci prende sempre alla sprovvista. Ma, per quanto possa essere strenua la resistenza, il futuro la vince sempre sul passato.