venerdì, marzo 13, 2009

Lettera di uno psicologo picchista



Alcune considerazioni sul principio di realtà

created by Claudio Rava (psicologo)

Preg.mo Dott Bardi:
Scriveva Freud nel 1911 che alla base del funzionamento psichico, assieme e subito dopo il principio del piacere, compare un poco alla volta il principio di realtà, che si apre faticosamente la strada nell'infante a causa dell'ineguatezza, dell'insufficienza del soddisfacimento allucinatorio dei desideri. Il bambino impara che non è sufficiente accontentarsi dell'immagine interna, del desiderio che la madre sia presente per vedere soddisfatti molti suoi bisogni, ma occorre che arrivi realmente e che risponda adeguatamente alle sue necessità. Con il pianto e col sorriso, il bambino attua un adeguamento alla realtà attraverso un sistema comunicativo innato; la sensazione di efficacia nello stabilire e nel mantenere una comunicazione soddisfacente con la madre andranno poi a rinforzare questo passaggio che avverrà, se tutto andrà per il meglio, nel senso di una progressivo accantonamento di forme di autogratificazione arcaiche poiché piacevolmente sostituite dalla qualità della relazione diadica.

Questo principio dovrebbe essere un caposaldo di qualsivoglia corrente psicologica, anche se adattato alla terminologia specifica di ogni Scuola, intendendo con questo che si può illustrare lo stesso fenomeno con molte sfumature di senso, ma almeno il nocciolo della questione dovrebbe essere universalmente condiviso.

La presente lettera intende però raccontare, in forma quasi aneddotica, una personale esperienza che testimonia da una parte la singolarità delle circostanze che mi hanno portato alla comprensione della situazione mondiale rispetto al Picco di Hubbert del petrolio, dall'altra il facile viraggio e l'arretramento verso un funzionamento più legato al principio del piacere (o sarebbe meglio dire dell'evitamento del dispiacere) allorché si provvede ad informare della concreta possibilità che nel nostro imminente futuro si vada verso un marcato peggioramento delle condizioni di vita della società, questo inteso ovviamente in senso statistico, senza riferirsi a questa o a quella persona in particolare. Per farlo, dovrò giocoforza narrare la mia vicenda, non per un velleitario anelito di protagonismo, ma per maggiore chiarezza, e occorre purtroppo iniziare da molto lontano, per fortuna senza arrivare alla primissima infanzia (tentazione cui è veramente difficile resistere per uno Psicologo). E sarà necessario mostrare come, anche all'interno di un gruppo di Psicologi, questi meccanismi difensivi siano tutt'altro che accantonati o superati.

Nel mio lontano passato c'è stato un amore giovanile ed adolescenziale per lo studio della natura, in particolare ero attratto da tutto ciò che riguardava la Geologia, la Mineralogia, la Petrografia, la tettonica dei continenti, le miniere, le attività estrattive ed il petrolio. Ero anche interessato, in modo evidentemente proporzionato all'età, alla chimica e alla fisica, in particolare all'energia.
Una piccolissima conferma di questi interessi venne palesata anche al momento dell'elaborato di maturità liceale, in cui – caso o sincronicità – l'argomento affrontato riguardava la relazione intercorrente tra l'uomo, l'energia utilizzata e la possibilità di continuare a percorrere la strada del progresso tecnologico. Ero già da allora convinto della reciprocità, dell'interconnessione fra i due fattori, ma ero anche ottimisticamente convinto che entro un tempo imprecisato dell'ordine di alcuni decenni i progressi della fisica delle particelle ci avrebbero messo in grado di imbrigliare le poderose forze della fusione nucleare, fornendo all'umanità una fonte di energia praticamente illimitata – cosa purtroppo tecnologicamente ancora lontana.
Quegli stessi interessi si sono poi concretizzati nella decisione di proseguire gli studi presso la facoltà di Ingegneria Mineraria, impegno mantenuto solo per alcuni anni, perché irrimediabilmente rimpiazzato da un interesse del tutto nuovo, pressante e non ulteriormente procrastinabile che (come si vede) ha portato alla laurea in Psicologia Clinica (un bel salto!).
In sintesi sono giunto poi a conoscenza dell'arrivo in prossimità del picco di Hubbert per il petrolio e per gli altri combustibili fossili verso la metà del 2006.
Da diversi mesi prima di allora, direi forse da circa un anno, mi sentivo gravato da un crescente e tutto sommato immotivato timore di miseria, o di perdita del lavoro, mentre di notte continuavo a fare sogni a contenuto monotonamente catastrofico, in cui il tema principale era una situazione di imminente pericolo di vita. Nella mia analisi elaboravo queste tematiche e le associavo ad arcaiche angosce abbandoniche e a specifici accadimenti infantili di disaccudimento. Anche dopo averle sviscerate in tutti i modi possibili, dovevo accettare il fatto che questi sogni e questi vissuti angosciosi non accennavano a diminuire, in barba alle teorie di Freud e dei suoi successori. Allo sconforto per l'inefficacia terapeutica e per l'incapacità di uscire dal quei circoli viziosi si aggiunse una nuova sintomatologia depressiva, un'astenia e una mancanza di entusiasmo che malgrado avvertissi come fondamentalmente egodistoniche, ugualmente andavano ad aggravare la situazione.
Una serie di riflessioni, di meditazioni sulla bioenergia mi hanno riportato a pensare a quei tempi adolescenziali, a quegli interessi giovanili, e per estensione, a tutte le forme di energia, anche in un senso ben più materiale, concreto, notando come proprio in quel periodo anche il mondo sembrava manifestare problemi energetici, specialmente nei costi dei carburanti. Mi è bastato poi collegarmi a internet per accertarmi, in pochi minuti, che stava accadendo in questi anni ciò che avevo sempre ipotizzato sarebbe successo alla generazione successiva alla mia, se non addirittura a quella dopo ancora. Eravamo già arrivati in prossimità del picco!
Da quel momento qualcosa è scattato, tant'è che da allora non ricordo di aver fatto più nemmeno un sogno catastrofico, e inoltre ho energie da vendere! E' pur vero che la psicologia sminuisce tutto ciò, ed è molto chiara in merito a quanto accaduto: l'aver potuto spostare all'esterno, sul piano del reale dei timori fantasmatici soggettivi profondi, produce un effetto liberatorio come quello verificatosi, anche se questa operazione psichica è sostanzialmente difensiva, e generalmente instabile, non definitiva.
A questo punto sorgono diversi quesiti (a parte l'evidente anomalia per cui nel mio caso la ricerca è nata da una pressante sensazione interiore e da strani sogni sulla cui origine e finalità tralascio di cavillare ulteriormente), che pericolosamente ruotano attorno alla necessità di districarsi fra paure soggettive e realtà, tra teoria e osservazione empirica, tra ciò che è pertinenza del Geologo e cosa concerne l'attività dello Psicologo. Cercherò di spiegare meglio questa non semplice commistione di piani diversi di osservazione riportando accadimenti più recenti.
Conscio della perniciosità della situazione e delle allarmanti implicazioni del peak oil su molte situazioni macro e microsociali e su professioni come quella dello Psicologo, mi son preso la briga di stilare un opuscolo informativo con i concetti principali ed una sintetica analisi della situazione socio-economica e delle sue possibili evoluzioni, e ho commesso l'errore di distribuirla ai miei colleghi Psicologi più di sei mesi prima della crisi finanziaria. Invariabilmente, a parte qualche sporadico caso di genuino ascolto del problema esposto, il vero motivo d'interesse dei presenti era questa strana manifestazione delirante, della sua collocazione sul DSM4, delle libere associazioni sul tema, della terapia psicologica o ancor meglio farmacologica da somministrarmi. La qualità degli sguardi che si posavano sulla mia persona era mutata drasticamente. Ero sicuramente affetto da un delirio di catastrofe, abbastanza ben sistematizzato in una complessa e arzigogolata produzione di poco credibili assunti pseudoscientifici. Del resto, come era possibile mettere in dubbio la pluriennale continuità ed evidenza di un mondo in corsa verso il progresso e l'espansione attaccandolo con le profezie catastrofiste di una moderna Cassandra senza subire il medesimo ostracismo, la stessa incredulità? Il mondo avrebbe sicuramente provveduto, il problema, se mai esisteva, sarebbe stato risolto, e si poteva stare tranquilli. La probabilità che ciò accadesse deve essere apparsa paragonabile a quella di essere colpiti da un meteorite, e i miei timori altrettanto infondati.
Non provo alcun risentimento nei confronti dei miei colleghi, ma sono costretto in qualche modo a notare uno scotoma veramente poderoso che impedisce di considerare come reale, non solamente ipotetica, teorica, o meramente speculativa una chiave di lettura della realtà che porti a ipotizzare conseguenze drasticamente peggiorative del nostro livello di esistenza.
L'attenzione per la realtà interiore che contraddistingue l'attività dello psicologo non può prescindere, a mio modesto parere, almeno dalla curiosità di conoscere e di prendere in considerazione anche altri aspetti e livelli di realtà, una fra tutte, il lavoro di esperti del settore che ricavano le loro teorie dai dati empirici ed elaborano teorie universalmente accettate. Per completezza, anche l'attività del Geologo e le sue previsioni non possono misconoscere aspetti peculiari del comportamento e dello psichismo umano. Anche da questo solo esempio vediamo che ogni attività d'informazione e divulgazione si scontra contro pesanti meccanismi difensivi che rischiano di invalidare qualsivoglia tentativo di responsabilizzazione. Chi ha provato ad informare parenti o amici ovviamente sa cosa intendo dire.
Un'ulteriore risvolto per me intriso di un vago sentimento dereistico, di totale inefficacia comunicativa, è avvenuto durante uno degli ultimi incontri con quegli stessi esimi colleghi, allorché, suppongo per evitare il disagio di rimettere in discussione quanto stabilito sul mio conto e sulla mia evidente follia, si è fatto massiccio ricorso a spiegazioni alternative fornite da economisti e dai tanti esperti apparsi alla televisione.
La tesi condivisa dei colleghi, che il mio delirio fosse esclusivamente uno sfogo emotivo, paragonabile ad un'infantile capriccio che per giunta non porta ad azioni concrete, ha un tantino vacillato quando li ho informati che l'ordine dato per tempo alle banche di effettuare il rientro di quanto avevo investito in comparti azionari era un atto concreto, i cui effetti si erano dimostrati piuttosto tangibili poiché non ci avevo rimesso un solo centesimo, a differenza di tutti loro che nonostante le mie esortazioni adesso erano lì a lamentarsi delle perdite e a chiedersi cosa fare. Suppongo sia per loro una compensazione sufficiente il ritenere che si sia trattato di una semplice coincidenza, ma ho comunque avvertito una sfumatura di rabbia che nel loro sguardo prendeva il posto del compatimento, e mi sono sorpreso a sorridere.
Questi semplici accadimenti mi hanno comunque portato a formulare una riflessione riguardo a problemi ben più importanti di questo piccolo incidente. Le mie considerazioni riguardano l'etica stessa della professione di Psicologo. Mi sono trovato ad esempio a chiedermi se è onesto e lecito cercare di esercitare una qualche forma di terapia o di semplice relazione con un altra persona portandosi dentro convinzioni di questo tipo senza esplicitarle in alcun modo, e senza scadere nel proselitismo. Finora la risposta più soddisfacente che mi son dato è che questo dipende dalla capacità di sopportazione di questa consapevolezza che può avere l'interlocutore. Molte persone in terapia (e non solo) sono momentaneamente o purtroppo stabilmente regredite o comunque non sufficientemente attrezzate a sopportare questa dolorosa ipotesi (anche se non è detto che se non ci riescono degli Psicologi, non possano far meglio i nostri pazienti). In questi casi non è comunque saggio aggiungere carico ulteriore all'equilibrio precario della personalità frammentata o destrutturata. Meglio posticipare o omettere considerazioni che sarebbero comunque dolorose e ansiogene. Più in generale ci si può regolare – almeno così ritengo necessario procedere – come se si dovesse parlare a una persona molto giovane che non graveremmo con problematiche penose troppo precocemente. A parziale sgravio della coscienza c'è il fatto non trascurabile che non si è stati contattati con questa richiesta. E' allora qualcosa che può essere relegato ad altri contesti comunicativi (conferenze, dibattiti), nei quali l'adesione sia implicita nella presenza in quella diversa situazione.
Ma come dirlo – qualora sia corretto farlo – e cosa comunicare? Mi è sembrato interessante notare come esistano persone che appena “annusato” il sentore pericoloso di quanto stavo affermando si sono affrettate a zittirmi (o a cercare di farlo), adducendo una legittima preferenza per non sapere questo genere di cose. Premesso che ritengo questo atteggiamento perfettamente legittimo, mi affretto a dissociarmi da esso. Ho quindi pensato che si potrebbe quasi premettere una sorta di test per scoprire questo atteggiamento. Si potrebbe ad esempio chiedere alle persone se, in caso venisse scoperta una loro patologia molto pericolosa (Aids, tumore, ecc..), preferirebbero saperlo oppure no. Sono certo che esiste una gran percentuale di persone che desiderano vivere senza conoscere questa realtà e forse non avremmo il diritto di costringerle a sapere.
A parte l'evidente considerazione che nessuno può sottoscrivere ciò che accadrà nel futuro, quanto è alto in effetti il rischio di sostituire dei fatti con delle nostre ataviche paure? D'altra parte, l'inconsistenza del modo di vivere della stragrande maggioranza della popolazione, l'atteggiamento avido e consumistico della nostra generazione, la facile distraibilità che fa sì che la maggior parte delle persone aborrisca ogni forma di responsabilità e di autocoscienza personale, per non parlare di una generalizzata insensibilità nei confronti di problemi legati alla sostenibilità e all'utilizzo delle risorse, sono tutti vettori inerziali che concorrono a lasciare che gli eventi seguano un percorso irreversibilmente votato ad essere alterato solo dalla ineluttabilità della crisi, forse dalla violenza delle circostanze, e costituiscono un ostacolo insormontabile alla possibilità di correzione di rotta.
Tra le conseguenze che hanno avuto un effetto immediato a livello personale, c'è uno stravolgimento per quanto concerne la pianificazione del futuro. Progetti che stavo coltivando e aspettative e speranze sono stati tutti in qualche misura modificati dalle anticipazioni di un futuro dalle caratteristiche tutt'altro che rosee e che si intravede arrivare a grandi passi.
In questa situazione che possiamo dire di condividere con molti abitanti di questo pianeta, fermi restando tutti gli sforzi talvolta donchisciotteschi di portare informazione, di sollecitare dibattiti e di tirare per la giacca i nostri poco lungimiranti governanti e politici, cosa è concretamente possibile fare per affrontare le prossime evoluzioni della situazione mondiale e locale? Questo lo chiedo nonostante appaiano sempre più spesso molteplici pubblicazioni (oltre alle Sue di inizio anno) anticipatrici degli anni a venire, e la sensazione che si prova è molto vicina ad un ben poco edificante senso d'impotenza.
Sarei veramente grato che si portasse il dibattito già presente in internet da un piano molto velleitario, da progetti talvolta ridicoli o eccessivamente intrisi di paure, di istinto di autoconservazione, verso ciò che è realisticamente (ancora questa parola?) possibile fare a diversi livelli e dimensioni di intervento, (familiare, locale, regionale, nazionale), e incrociare questi dati con previsioni di massima in un arco temporale di molti anni, per comprendere almeno se gli sforzi intrapresi sono adeguati alle necessità.
Il mio modestissimo contributo riguardo alla situazione che ritengo in progressivo peggioramento, è finora consistito in questo artigianale lavoro di informazione, di sensibilizzazione, alternando momenti di impegno verso gli altri a momenti di ripiego verso la determinazione di “badare prima al mio di orticello”, incentivato in questo ritiro dall'incredulità, dalle mortificazioni, dall'esposizione al ridicolo.
Sono certo che al di là della pusillanimità dimostrata da questi tentennamenti, da queste mie ambivalenze, pulsa una marcata convinzione presente in me da sempre di appartenere (almeno idealmente) alla tribù dei peak-oilers.

E' questo il motivo per cui continuerò a leggere i contributi e le pubblicazioni Sue e dei Suoi collaboratori, cercando nel frattempo, anche grazie a questi e per quanto possibile, di affinare la preparazione e l'efficacia divulgativa, al momento di molto inferiori alle aspettative.
Le sottopongo la mia personale opinione riguardante la necessità di approfondire questa relazione intercorrente fra la gravità della situazione energetica, economica e sociale e l'impossibilità psicologica da parte dei più di accettarla, di attivarsi maggiormente, di tenerla presente nelle scelte e nelle strategie per il futuro, e ancor di più per il presente.

Non credo occorra essere come il sottoscritto Psicologi con qualche conoscenza di materie Geologiche, energetiche ed estrattive per comprendere i semplici concetti da Voi propugnati, ma ritengo comunque che esistano fortissime resistenze da vincere, e credo di averne individuate (oltre che subite) alcune.
Ringraziando per la Sua sobria opera di divulgazione La prego di perdonare la prolissità di quanto scrivo.

Cordialmente, Claudio Rava

14 commenti:

Anonimo ha detto...

un post veramente eccezionale, un punto di vista che credo interessi a molti visto che un po' tutti i "picchisti" avranno avuto modo di discutere delle proprie preoccupazioni con le persone vicine.

Tra l'altro la spinta a divulgare il problema pare essere una reazione comune. Io tendo sempre a farmi gli affari miei ma da quando ho "digerito" la questione del picco del petrolio non perdo occasione per affrontare il tema con chiunque possa essere interessato. L'apice di questa spinta l'ho raggiunto con un post gentilmente pubblicato tempa fa da Morbin ( http://www.morbin.it/2009/01/05/picco-del-petrolio-da-bar/ ) nel quale, nel mio piccolo, cerco di fare un'introduzione terra terra alla problematica.

Gianni ha detto...

Complimenti per il post. Esperiza prsonale di pochissimi giorni fa, dibattito dopo l proiezione de film di Al Gore fatta da Legambiente nel piccolopiccolo paesino dove abito, cme hopronunciato la parola "picco" sno stato aggredito (verbalmente, ma con molta foga) da mezza platea...Poi a serata finta, si è riusciti a chiarire qualcosa con i più imbufaliti, pian piano. Della serie: secondo me, l'approccio divulgativo al peack oil è molto più semplice con una o pochissime persone, quando la platea supera i 50-70 soggetti, soprattutto se quasi tutti pensionati e di medio alto tenore di vita, è meglio solo descrivere pochi o singoli esempi (PV, microelico, aziende agricole autosufficenti ad es.) di sostenibilità energetica. Saluti

Ugo Bardi ha detto...

Interessante la tua esperienza, Gianni. A me, francamente, non capita di essere aggredito dalla platea quando parlo di picco. Probabilmente perché non gli lascio scampo. Li vedo a volte ammosciarsi sulla sedia, quasi fisicamente rimpiccioliti. Ma non hanno il coraggio di reagire. Poi, che effetto abbia sul loro comportamento e la loro percezione, difficile dire.

Frank Galvagno ha detto...

Non riesco a capire con quali elementi la platea ti possa aggredire, Gianni.

Comunque, la cosa è grave,vuol dire che "c'è n'è più da fare di quel che è stato fatto"

Anonimo ha detto...

Gianni: "come ho pronunciato la parola "picco" sono stato aggredito (verbalmente, ma con molta foga) da mezza platea"

La prossima volta prova a pronunciare l'affermazione "l'Italia è sovrappopolata", vedrai che ridere.

Anonimo ha detto...

un fatto: tutti quelli con cui ne ho parlato hanno afferrato il concetto e ritengono che ci potranno essere dei disagi, anche seri, ma nessuno ritiene che l'ipotesi di un tracollo duraturo del benessere a cui siamo abituati sia da prendere in considerazione

Anonimo ha detto...

e scusate se non ci metto la faccia, l'idea è buona ma non per tutti :-P

cristiano ha detto...

Ai divulgatori serve preparazione e strumenti adatti, inoltre, proprio a causa dei meccanismi di resistenza, serve un percorso continuo progressivo.

Mentre si forniscono i dati sconfortanti sulla realtà attuale si devono far passare anche prospettive (visioni) positive di un futuro possibile, magari sostanzialmente migliore del presente, in modo da vincere le resistenze cognitive di chi ascolta.

Alla fine delle mie conferenze le persone sono turbate, ma energeticamente cariche e piene di voglia di fare.

Questo non vuol dire che abbiano elaborato una percezione e una consapevolezza completa dello scenario attuale (ognuno avrà raggiunto un suo personale livello di "contemplazione" del problema), ma si pongono le condizioni per cominciare a ragionare su una reazione attiva.

Da qui si può partire per cominciare a produrre cambiamenti reali.

Invito tutti a studiare con calma e attenzione il "metodo" che si sta sperimentando nelle Città di Transizione in tutto il mondo e che in larga parte attinge alle conoscenze psicologiche maturate nel settore delle "dipendenze" (alcool, droga, ecc.), incrociate con tecniche che provengono dall'ambito del marketing e dinamiche che arrivano dal mondo del social networking.

E invito persone come il Dott. Rava a fornire il suo supporto all'azione del movimento di Transizione, soprattutto favorendo il dialogo tra le varie discipline coinvolte (cosa che ha fatto egregiamente con questo post).

www.transitionitalia.it

Anonimo ha detto...

Immaginate l'imminenza d'una catastrofica frana,su di un borgo edificato in un luogo rivelatosi inopportuno.
Immaginate un dialogo tra muti e sordi, gli abitanti di quel luogo.Dove le parti,oltretutto,non sono nemmeno definite in modo certo.
Questa,attualmente mi sembra la situazione vigente,in special modo in Italia,tra la classe dirigente,politica o imprenditoriale che sia,e il cosidetto "popolo"
delle libertà o costrizioni o illusioni che sia.
Prima che a gesti si capiscano,tra quelli in buona fede esistenti fra tutte le parti,potrebbe essersi scatenata una rissa colossale con botte da orbi per tutti.E nessuna influenza sulla imperturbabile massa fangosa che avanza.
Un bello spettacolo,potendolo vedere dal balcone o dall'elicottero,forse meno, appena messo piede sulla pubblica piazza.Meno male che sagge persone stanno con gran lena,cosa diversa dalla furia,dalla fretta a dalla frenesia,mostrando con gesti comprensibili a chiunque voglia aprire gli occhi,che ci si può mettere in salvo e anche tutti insieme.Cercando le soluzioni efficaci e praticabili anche se diverse da quelle a cui siamo ormai assuefatti.
Immaginiamo la mezza giornata precedente la criminale sciagura del Vajont.Dove molti sapevano che l'evento era ormai inevitabile,e pochi che era certo.
E prossimo.L'avevano preparato loro stessi più o meno in malafede.
Anche solo sapendo dell'inevitabile
non cerchereste di sventare la sciagura a quanti più possibile?
O confidereste in una vaga e opportunistica provvidenza?
C'è una differenza fondamentale tra quell'evento,e quello più vasto e generale che ci riguarda oggi.
Lì ed allora fu determinante una mezza giornata.
Tragicamente sprecata.
Ora e adesso lo è, determinante, una mezza generazione.
All'apparenza assopita.

Ma Victor Hugo che di tempi difficili se ne intendeva, coniò a suo tempo una frase confortante e memorabile.

"Nulla è così potente
quanto un'idea, di cui il tempo
sia giunto."

Il tempo del cambiamento sembra giunto sul serio,andiamogli incontro.

Marco Sclarandis.

Anonimo ha detto...

E intanto l'appello degli scienziati riuniti questa settimana a Copenhagen sembra passato inosservato qui da noi:

Six key messages

Anonimo ha detto...

Quello che ti ha aiutato è stata la tua conoscenza scientifica pregressa, ed una foma mentis che si basa sulla logica ineludibile asata sulle leggi ferree di natura.

Inutile girarla intorno: uno psicologo basa le sue competenze su un background "umanistico" per definizione. Dentro ci si piò trovare praticamente di tutto, specie quello che fa conodo.

La scienza, o meglio il metodo scientifico, è fatto di estrema pulizia e autocritica, quello che resta dopo questo lavoro è come un mattone tirato in fronte, convince per la sua stessa essenza.

Secondo me, i tuoi colleghi spicologhi, se avessero un po' di tempo tra una visita e una conferenza, dovrebbero studiarsi un po' di fisica.

Forse, allora, capirebbero, volendo capire.

Saluti

Anonimo ha detto...

Scusate la riscrivo perchè per troppa fretta ho scritto con troppi strafalcioni di battitura.


Quello che ti ha aiutato è stata la tua conoscenza scientifica pregressa, ed una foma mentis che si basa sulla logica ineludibile basata sulle leggi ferree di natura.

Inutile girarci intorno: uno psicologo basa le sue competenze su un background "umanistico" per definizione. Dentro ci si può trovare praticamente di tutto, specialmente quello che fa comodo.

La scienza, o meglio il metodo scientifico, è fatto di estrema pulizia di ragionamento e autocritica: quello che resta dopo questo lavoro ha la forza di un mattone tirato in fronte, convince per sua stessa essenza.

Secondo me, i tuoi colleghi psicologi (avendo un po' di tempo tra una visita e una conferenza) dovrebbero studiare un po' di fisica.

Forse allora capirebbero, volendo capire.

Saluti

Anonimo ha detto...

Già la fretta......
Tutto giò che si vuole fare in fretta,costa proporzionalmente più energia di quello che si fa con calma.Questo dipende dalla relazione fra massa ed energia, conosciuta già dai tempi di Newton e riveduta dal grande Einstein.Quindi bisogna stare attenti a scegliere che cosa fare, quando l'energia a nostra disposizione è limitata.Ma la scelta,è un compito squisitamente umano, e gli esseri umani creano loro stessi leggi che pur fondandosi su fenomeni e leggi fisiche conosciuti,non sono chiare in tutte le loro implicazioni.
Anzi,le conseguenze di certe leggi burocratiche sono assolutamente controintuitive.Cito solo il "comma 22" tanto per non dilungarmi.Detto questo, psicologi e psichiatri degni di questi appellativi,sono tanto utili alla fisica e alla tecnologia quanto i fisici e gli ingegnieri.
Occorrerebbero molti scienziati leonardeschi in questa epoca, ma nessuno ha trovato ancora il modo di generarli a cottimo.
C'è un inconveniente, con questa specie di personaggi.
Senza mecenati che li finanzino, servono a poco, e in più hanno un carattere un tantino difficile.

Marco Sclarandis

Anonimo ha detto...

Chiamato in causa sia personalmente sia come appartenente all'Ordine degli Psicologi, sento doverosa una risposta di ringraziamento per tutti, e desidero replicare in particolare al Sig. Phitio.
Credo di poter concordare con Lei quando afferma che esiste per lo Psicologo una base "umanistica" effettivamente molto variegata, talvolta purtroppo anche una preparazione carente di quel rigore metodologico che contraddistingue tante altre scienze. Per questo motivo sono pronto ad affermare che l'intervento di uno Psicologo clinico è spesso più simile ad una forma d'arte che al lavoro di un qualsiasi altro scienziato, anche se numerosi sforzi sono stati compiuti nel perseguire l'obiettivo del rigore metodologico anche in questa disciplina.
Ma come si sa, esistono bravi artisti e purtroppo anche artisti mediocri, e La prego di credere che il semplice atto di riconoscere questa macroscopica differenza non pone automaticamente il sottoscritto nella seconda e ben più ambita categoria.
Dal nemmeno tanto velato disprezzo che mostra per questa nostra specializzazione che mette lo Psicologo in posizione di subalternità rispetto alle altre più blasonate discipline mi chiedo quali tristi esperienze deve aver vissuto per supportare così decisamente questa Sua convinzione, e se così fosse me ne rammarico.
A parziale discolpa delle manchevolezze della categoria cui appartengo ricordo la singolarità dell'oggetto di studio della stessa: mentre per ogni altra disciplina l'attenzione è sempre rivolta all'esterno-da-sé, la Psicologia è l'unica scienza (mi conceda di chiamarla così anche se non Le fa certo piacere) il cui oggetto di studio è (ovviamente solo per un piccolo ma importante sottoinsieme delle discipline psicologiche) all'interno del ricercatore stesso, con tutti i problemi che questa coincidenza genera e amplifica.
Ricordo anche che proprio quelle scienze che hanno fatto della quantificazione, dell'osservazione empirica e della matematica i capisaldi della loro efficacia ed esattezza, hanno poi incontrato, sul loro cammino di ricerca e di sviluppo, nuovi ed imprevisti fattori che sembrerebbero riportare prepotentemente sulla scena l'importanza stessa dell'osservatore. Un caso fra tutti emblematico è la Fisica Quantistica, che mostra inequivocabilmente il ruolo essenziale dell'osservatore negli esperimenti stessi, che prevedono risultati diametralmente opposti nel caso sia presente o meno un osservatore del processo (cito come esempio tra i tanti possibili il famoso esperimento della doppia fenditura di Thomas Young e delle sue più moderne e sconcertanti implicazioni).
Per quanto mi riguarda, non me la sento assolutamente di biasimare i miei colleghi, forse, come Lei nota, carenti di preparazione in Fisica e chissà quant'altro, ma rivolgo piuttosto a me questa esortazione, cercando io stesso di colmare le mie lacunose conoscenze.
Ciò che più mi inquieta è la Sua convinzione che l'operato dello Psicologo sia così pericolosamente vicino all'arbitrio e all'improvvisazione da risolversi in un intervento aleatorio e pressapochistico (“dentro ci si può trovare praticamente di tutto”) o peggio ancora in un luciferino e opportunistico vantaggio personale (“specialmente quello che fa comodo”).
Se c'è una cosa sulla quale non nutro alcun dubbio è la sincerità degli sforzi intrapresi e perpetuati dai miei colleghi. Non ne conosco uno solo cui potrebbero applicarsi simili abiezioni. Questo fa sì che io consideri le loro difficoltà incontrate sia nel comprendere, sia nell'accogliere quanto cercavo di comunicare più dovute alle mie personali carenze espositive e comunicative che alle loro più che comprensibili resistenze, e se anche così fosse, la mia stima nei loro confronti non viene meno a seguito di queste momentanee e superabili difficoltà.
La esorto ad una concezione più benevola della Psicologia, e ancor di più nei confronti dell'essere umano, che è l'oggetto di studio più complesso, interessante e misterioso dell'universo e che fa della terapia un mestiere “impossibile”, per quanto è difficile. I pazienti dello Psicologo hanno come unica comune caratteristica proprio la pazienza di verificare, seduta dopo seduta, la nostra umana fallacia, di intensità pari unicamente alla nostra dedizione.
E mi lasci dire che se c'è qualcosa che si può opporre all'ineluttabilità dei numeri, alla spietatezza dei dati termodinamici, è proprio soltanto quel background "umanistico" che se anche non può trovare soluzioni comode non cessa per questo il suo impegno e la sua azione di contrasto dello sfacelo sociale.
La ringrazio ancora per le Sue preziose osservazioni.
Cordialmente,
Claudio Rava