martedì, settembre 30, 2008

Cosa sta succedendo?


Questo è l'indice "Dow Jones" industriale degli ultimi 5 anni. Mi dicono spesso che vedo picchi dappertutto. Può darsi, ma questo mi sembra proprio un bel picco, seguito da una discesa altrettanto bella (per così dire...).

La discesa dell'indice è cominciata con lo scoppio del bubbone dei mutui "subprime" verso la fine del 2007. Ma, evidentemente, c'è qualcosa di profondamente bacato in tutto il sistema finanziario che, da allora, è in discesa, sia pure sobbalzante.

C'è di mezzo il picco del petrolio? Beh, a mio parere si, seppure indirettamente. L'aumento dei prezzi del petrolio mette sotto stress tutto il sistema e ne tira fuori le magagne; per esempio quella dei subprime.

Il petrolio è una cosa reale, sarà molto difficile abituarsi a farne a meno. Il mondo finanziario, invece, è fatto della materia di cui sono fatti i sogni. Forse ne potremo fare a meno senza soffrirne troppo

lunedì, settembre 29, 2008

Un picco al giorno: il picco della pesca nel Mediterraneo


Il picco della pesca nel Mediterraneo è avvenuto nel 1995, circa. Dati da www.seaaroundus.org


Quest'anno, i resoconti dalle vacanze al mare suonano un po' come le cronache dal fronte. Siamo stati duramente messi alla prova da un nemico viscido e traditore: le meduse. Non si contano le bruciature da medusa e mi risulta che più d'uno sia finito all'ospedale per essersi trovato per caso nel mezzo di un branco.

Cosa sta succedendo? Come al solito più di una cosa; ma il nocciolo della faccenda è sempre quello: il sovrasfruttamento di un sistema qualsiasi - che sia petrolio o la pesca delle acciughe, porta alla famosa curva di Hubbert, al declino della produzione e a ogni sorta di disastri.

Il Mediterraneo è un classico caso di "overfishing", sovrapesca, come si vede dal grafico. Pescando troppo in fretta, i pesci non ce la fanno a riprodudursi e scendono in numero. I pescatori reagiscono cercando di pescare di più, con attrezzature sempre più sofisticate, il che fa peggio. I pesci diminuiscono sempre di più, e le meduse regnano sovrane. A questo si aggiunge il riscaldamento globale che fa ulteriori danni all'ecosistema.

Insomma, un altro disastro da sovrasfruttamento. A chi cerca un picco al giorno non mancano gli esempi.

domenica, settembre 28, 2008

Cronaca dalla Svezia

Al ritorno da un viaggio in Svezia, ho pensato che vi potesse interessare qualche foto e qualche commento del paese in generale, con un occhio all'ecologia e all'energia. Sono stato a Trollhattan, citta a circa 100 km a nord di Goteborg, per il congresso "Surface Modification Technologies" (SMT-22). Ecco qua le foto:



Atterrando a Monaco, ecco una bella stalla fotovoltaica. Dall'aereo si vede chiaramente la diffusione del fotovoltaico in Germania. Un buon 10% degli edifici nella zona di Monaco sembrano avere dei pannelli FV. Si vedono anche molte torri eoliche.



Il paesaggio Svedese nella zona di Goteborg è completamente diverso da quello del sud della Germania. Non si vedono impianti di energia rinnovabile, ma in compenso il territorio è molto forestato. Si vede chiaramente che praticano il taglio a rotazione.



La Svezia è molto verde. Qui è Trollhattan, il fiume Gota Alv, dove si dice che vivessero i Troll (probabilmente quando non navigavano su internet)




Trollhattan è la sede di una centrale idroelettrica a bacino; la prima della Svezia, entrata in funzione nel 1914. Qui, hanno aperto le chiuse in onore dei congressisti di SMT-22. Un bello spettacolo di acqua che scorre.


Nonostante il tanto verde, il paesaggio di Trollhattan è industriale. Ecco il sole che tramonta sul porto fluviale.



Betulle di Trollhattan al tramonto. Mentre mi gasavo a fare questa foto, un signore che passava di li' mi ha detto: "peccato che li stanno per tagliare per farci delle case". Tutto il mondo è paese. Quando le case e la foresta sono in competizione, la foresta perde sempre.




La disponibilità di energia elettrica a Trollhattan ha generato una forte industrializzazione, per esempio con una sede della Saab. Qui è il "museo Saab" dove il posto d'onore era per questo coso: la Saab a bioetanolo. Con tutta la loro intelligenza e amore per l'ambiente, gli Svedesi non sono riusciti a inventare niente di meglio di questo arnese. Il tizio con il golf azzurro sono io e mi trovo nella foto solo per esprimere il mio disgusto nei riguardi dell'oggetto in questione.




Il vostro inviato dalla Svezia molto impegnato nella sua presentazione a SMT-22. Ho parlato dell'effetto delle barriere termiche nell'aumentare l'efficienza delle turbine a gas.



Un tedesco che si chiamava (se ho capito bene) Ludwig Albert è stato un benefattore di Trollhattan nell'800, costruendo fra le altre cose il primo ospedale della città. Di casa sua, ci hanno fatto un bell'albergo dove c'è stata la cena sociale del convegno SMT-22. Durante la cena, ci hanno raccontato la storia della moglie del sig. Albert, morta giovane e il cui fantasma ancora si aggira nella loro camera da letto. In linea eccezionale, ci hanno fatto vedere la camera del fantasma; eccola qui. Il fantasma. però, non si è fatto vedere. La persona nella foto non è un fantasma ma Marianne Rutgaard, bravissima organizzatrice del convegno. (il televisore, sullo sfondo, non è dell'epoca di Albert e della sua moglie fantasma)



Girare per la Svezia è un piacere per gli occhi: foreste, prati, laghi, e anche qualche pala eolica come questa. Per la verità, non ce ne sono molte. La zona interna del paese non è tanto ventosa. Ce ne sono molte sulla costa, si vedono bene dall'aereo, ma è difficile fare delle buone foto.


L'aeroporto di Francoforte, sulla via del ritorno, mi è apparso congestionato come sempre. Ma mi ha anche dato una sensazione un po' spettrale di impermanenza. Mi è venuto in mente un racconto di Scott Fitzgerald dove il protagonista (oggi lo chiameremmo un "trader") ritorna in una Parigi spettrale qualche anno dopo il crollo delle borse del 1929. Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma sembra che ci siamo vicini.

sabato, settembre 27, 2008

Il picco dei raccomandati


Quello delle raccomandazioni per l’ingresso nel mondo del lavoro è un fenomeno che la leggenda vuole essere soprattutto italiano. Ora non so fino a che punto sia vero, ma non è questo che vorrei approfondire nel post.
Partendo semplicemente dall’osservazione che il fenomeno esiste, sia per impieghi statali che nel privato, mi sono chiesto: nel dopo Peak Oil cosa succederà? Il ricorso alla raccomandazione aumenterà, diminuirà…? E l’effetto memoria della cosa, quel favoritismo che perdura per un certo tempo, subirà delle mutazioni?
Non sentendomela di elargire previsioni sicure su qualcosa di molto complesso, ho pensato di scrivere un post per mettere giù due idee e per interagire con altri bloggers.

Lavorando per una grande impresa privata dal 2001, ho avuto modo di vedere alcune cose. Entrato dopo 4 colloqui e nessuna conoscenza interna, a distanza di 7 anni il panorama dei meccanismi, imparentamenti e inciuci vari si fa sempre più completo. E’ un po’ come nella TAC, in cui occorre un certo tempo di calcolo per ricostruire un’immagine 3-D a partire da una serie di sezioni 2-D.
Non mi ritengo particolarmente sfortunato e derelitto :-) , tuttavia va da sé che tutto questo, in un ambiente che viene venduto come “meritocratico” in quanto non statale, non è particolarmente motivante.
La meritocrazia da competenze e risultati esiste, certamente, ma pesa a mio avviso un 10%, contro un 90% di noise, costituito dalla parte, chiamiamola così, “relazionale”.

Ma non voglio divagare troppo. Passato lo shock petrolifero degli anni ’70, le industrie sono cresciute in numero e in massa molto velocemente. La grande industria aveva diverse migliaia di dipendenti per sito, organizzati in una gerarchia molto rigida e piramidale, con caponi, capi e capetti. Già dalla fine degli anni ’90 le imprese si sono attivate per ridurre gli “strati” aziendali, in modo da snellire le strutture e preparare il terreno a eventuali riduzioni. Oggi, nel 2008, la riduzione di personale sta procedendo al galoppo, includendo chiusure di stabilimenti e accorpamenti funzionali al limite della sostenibilità.
In questo contesto, la collocazione di raccomandati assume connotati diversi. Negli anni ’80 era molto facile trovare persone arroganti e incompetenti a livelli medio/alti; la loro esistenza era giustificata dalla presenza di uno strato (n-1) di tecnici con una certa competenza, e con una certa soddisfazione retributiva. Annegate nel marasma, non nuocevano più di tanto (fino a un certo punto).
Oggi, il clima è tutt’altro che di soddisfazione e si lavora più che altro per mantenere la posizione raggiunta. I posti più gettonati stanno ovviamente diminuendo, e chi li occuperà sarà non solo raccomandato, ma anche un raccomandato che ne ha sconfitti altri.
Probabilmente, stiamo per arrivare al picco dei raccomandati. Dopodichè, essi diminuiranno in numero ma, verosimilmente, aumenteranno di potere.


[PS Il concetto di raccomandato è più sfumato di come l’ho presentato qui; per chiarezza, lo identifico come “persona che ha conoscenze pregresse in azienda, e usa questo fatto come strumento non leale di crescita”]

giovedì, settembre 25, 2008

Abitudini, inerzie e altre patologie / 2 : l'etica del rasoio



Riceviamo e pubblichiamo questo post di Pippo Lillo che tocca un argomento apparentemente marginale, ma che in realtà è importante per i volumi in gioco. Personalmente io mi ero limitato ad allungare il ciclo di vita del rasoio (oggi arrivo a circa un mese); Pippo Lillo va oltre e propone una soluzione migliore (FG).

created by Pippo Lillo


I nostri comportamenti individuali sono fondamentali per ridurre l'inquinamento ed i rifiuti.
Molte persone oramai fanno attenzione all'uso dell'automobile, ai prodotti che acquistano.
I rifiuti sono un problema che va affrontato sin dall'inizio della catena produttiva, va bene differenziare, riciclare ma i risultati migliori li si ottengono producendone meno.
Un esempio per tutti: i rasoi a lametta usa e getta.
In alcuni modelli vi sono anche solo le testine da sostituire ma guarda caso costano quasi il doppio di quelli completamente usa e getta!
Oramai si è arrivati a 4-5 lame assolutamente inutili, non si possono nemmeno girare per sfruttare l'altro lato delle lame. Poi i manici sono in plastica bicomponente perché non scivolino tra le mani quando bagnati, ma così anche volendo, non si riciclano più! Pensate alle migliaia di rasoi che tutti i giorni finiscono nelle discariche, o peggio negli inceneritori...
Io ho ridotto drasticamente i rifiuti in questo settore con questo modello piuttosto vecchio ma perfettamente funzionante (vedi foto in allegato), ruotando il manico si aprono due sportellini superiori e si può inserire la lametta. La barba la fa lo stesso e l'unica cosa che getto via è... una lametta in acciaio perfettamente riciclabile!
Le lamette si trovano in molti supermercati, molto difficile invece trovare il rasoio "modello eterno"!

[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

mercoledì, settembre 24, 2008

Alitalia molto, molto postpicco


Anni fa, ero in coda a un banco dell'Alitalia, all'aeroporto di Fiumicino. Davanti a me, c'era un signore di aspetto somalo, o forse etiope. Quando è arrivato il suo turno, ho sentito che parlava un italiano più che discreto, ma l'impiegato allo sportello ha trovato qualche ragione per trattarlo male con una supponenza incredibile. Gli ha anche dato del "tu" come avrebbe fatto se invece che davanti a un passeggero si fosse trovato davanti a un venditore di tappeti sulla spiaggia. Mi venne voglia, quella volta, di intervenire e dire qualcosa, ma non sono scene che puoi fare in un aeroporto. Mi limitai a promettere a me stesso che non avrei mai più volato con Alitalia.

Una promessa che poi non ho mantenuto. Un po' per ragioni pratiche, un po' perché, ho ragionato, non sarà soltanto l'Alitalia ad avere un imbecille razzista fra i suoi impiegati. Negli anni, ho volato con tante compagnie. Dai miei ricordi, l'Alitalia mi è parsa nettamente peggiore delle altre in termini di ritardi, voli cancellati, cibo di plastica in cabina, e impiegati antipatici e maleducati. Ma ho avuto i miei guai anche con altre compagnie, e la mia esperienza non fa statistica.

Per quello che ne posso dire, le compagnie aree sono tutte uguali, più o meno. Le si distinguono per poche cose: i colori leggermente diversi degli aerei e gli slogan tutti ugualmente banali sulla loro pubblicità. Sulle linee orientali, le hostess ti fanno grandi inchini. Su quelle arabe, prima di partire, la hostess dice al microfono una piccola preghiera per la salute dei passeggeri. Su certe linee "low cost", dopo che è passata la hostess ti viene voglia di controllare se hai ancora il portafoglio in tasca, perché sembra che siano addestrate a portartelo via. A parte questi dettagli, mi è parso che la gente che lavora con le compagnie aeree siano semplicemente stressati e mal pagati e che cerchino di sbarcarsela come meglio possono. Alle volte sono molto gentili e, alle volte, quando non ne possono proprio più, trovano il modo di rifarsela su un passeggero.

Più che altro, ultimamente, quando volo mi viene sempre da pensare che il bestione che mi porta in giro è una macchina bella e sofisticata; ma viaggia solo perché è carico di kerosene, derivato dal petrolio. E il petrolio c'è per via di eventi che sono successi durante il Giurassico, al tempo dei dinosauri. Per continuare ad avere petrolio, ci vorrebbe un altro Giurassico, ma questo non arriverà così presto. Così, a meno che qualcuno non inventi qualche nuovo carburante miracoloso all'ultimo momento, le compagnie aree sono condannate all'estinzione; come i dinosauri. L'Alitalia si estinguerà forse un po' prima delle altre; ma è destino.

martedì, settembre 23, 2008

Ecologia ed economia domestiche

Ragioni morali collegate alle conseguenze dei cambiamenti climatici e ragioni economiche derivanti dagli alti prezzi dell’energia, inducono sempre più persone a porsi il problema di come contenere i propri consumi energetici. In un precedente articolo, ho mostrato un grafico tratto da un’analisi dell’Enea che stima nel 70% del totale, il consumo di energia dovuto alla climatizzazione invernale delle famiglie italiane. E’ quindi in questo settore che dovrebbero concentrarsi i maggiori sforzi privati e pubblici. Nello stesso articolo indicavo, sulla scorta dell’esperienza personale alcuni interventi da realizzare sull’involucro edilizio per raggiungere questi obiettivi. Oltre all’isolamento termico dell’edificio è naturalmente consigliabile anche l’adozione di sistemi più efficienti di generazione del calore, come le caldaie a condensazione, le pompe di calore, ecc., o l’uso di fonti rinnovabili come le micro-pompe geotermiche.

In questa sede voglio però soffermarmi sui consumi domestici di energia elettrica, sui quali l’opinione pubblica sembra concentrare la maggiore attenzione, ma che rappresentano nell'elaborazione Enea citata, appena il 15% dei consumi energetici domestici. Come abbiamo visto in quest’altro mio articolo, l’energia elettrica prodotta in Italia, rappresenta il 35% del Consumo Interno Lordo di energia. Poco meno del 50% dell’energia elettrica consumata è utilizzata dalle attività industriali e meno del 50% è diviso tra il terziario e le residenze, con quest'ultime che coprono una quota di poco superiore al 20%. Quindi, quando parliamo dei consumi di energia elettrica delle famiglie italiane, ci riferiamo a meno del 10% del Consumo Interno Lordo di energia.

In questo grafico elaborato dal Politecnico di Milano (ho aggiunto a destra il contributo percentuale per ogni elettrodomestico), vediamo rappresentata efficacemente la ripartizione dei consumi elettrici residenziali. Osserviamo che:



1) il 44% di questi consumi è rappresentato dalla conservazione degli alimenti e quindi in questo settore sono possibili i maggiori risparmi. Consiglio innanzitutto di evitare l’acquisto di grandi quanto inutili congelatori stile macelleria in cui conservare quantità industriali di prodotti alimentari, da dopo fall-out nucleare. E’ opportuno invece dotarsi di piccoli frigoriferi dimensionati per prodotti freschi da acquistare quotidianamente. E naturalmente, di classe elevata per quanto riguarda la certificazione energetica. Per i più integralisti propongo lo spegnimento invernale dell’impianto, attrezzando all’uopo una dispensa sul terrazzino di casa.

2) Un posto non marginale in classifica è occupato dallo stand-by, con il 14%, cioè tutte quelle lucine degli elettrodomestici che lasciamo colpevolmente accese durante il giorno e, in particolare la notte. Consiglio l’adozione della cosiddetta “ciabatta” con pulsante, a cui collegare gruppi di elettrodomestici. Un clic prima di andare a dormire e il problema è risolto.

3) L’illuminazione dei locali, consuma l’11% dell’energia elettrica residenziale. In questo settore si è concentrato il maggiore interesse mediatico e quindi delle famiglie. Oltre alle consuete lampadine a fluorescenza che abbattono del 75% i consumi, non sarebbe male ricordarsi di spegnere le luci quando ci si sposta da una stanza all’altra. Per i più distratti e tecnologicamente fissati, è possibile ricorrere ai sensori di spegnimento automatico delle luci.

4) Per quanto riguarda lavatrici e lavastoviglie, che complessivamente consumano il 17% dell’elettricità nelle case, vale ovviamente la stessa precauzione d’acquisto relativa alla certificazione energetica elevata valida per tutti gli altri elettrodomestici. Un accorgimento più sofisticato consiste nel collegare l’acqua calda prodotta con un pannello solare termico alla presa dell’acqua sia della lavatrice che della lavastoviglie. Considerando che una parte consistente dell’energia elettrica consumata da questi elettrodomestici viene usata per alzare la temperatura di lavaggio, vi posso assicurare che i risparmi, almeno nei mesi estivi, sono consistenti.

5) Infine, dulcis in fundo, rimangono gli audiovisivi e i computer, che complessivamente coprono il 14% dei consumi. Qui, mi permetto un immodesto consiglio personale. Tenete spenta la televisione, tanto non serve a niente e accendete il computer, così potrete leggere articoli come questo.


Ringrazio Debora Billi che in una pagina del suo blog mi ha dato lo spunto per questa riflessione semiseria.

lunedì, settembre 22, 2008

Non si può estrarre uranio dall'acqua di mare

Questi ricercatori Giapponesi hanno provato a estrarre uranio dal mare; ma con scarsi risultati

Esce oggi su "The Oil Drum" un mio articolo che esamina in dettaglio la possibilità di estrarre minerali dall'acqua marina. La cosa risulta molto difficile: in pratica sarà impossibile rimpiazzare le miniere convenzionali con materiali estratti dal mare.

Purtroppo, molta gente si fa illudere dai calcoli che indicano la presenza di grandi quantità di minerali presenti nella crosta terrestre o negli oceani. Ma continua a valere il principio che ho espresso con il concetto della "macchina mineraria universale" (anche quello pubblicato su The Oil Drum); ovvero non è la quantità assoluta che conta: è la concentrazione. Risorse a concentrazione molto bassa, sia nella crosta terrestre come negli oceani, richiedono per l'estrazione quantità di energia superiori a quanto ci possiamo permettere oggi e che ci potremo permettere nel futuro.

Questa conclusione è valida in particolare per l'uranio, dove l'estrazione dal mare viene spesso descritta come la panacea che risolve tutti i problemi di scarsità di uranio minerale. In realtà, anche nella migliore delle ipotesi, l'energia necessaria per estrarre uranio dal mare è all'incirca pari a quella che poi si potrà ricavare dall'uranio stesso come combustibile nucleare. Quindi, l'acqua di mare non è una sorgente di uranio utilizzabile come combustibile.

domenica, settembre 21, 2008

Il politico e la signora

Questa è la cronaca di uno dei tanti interventi che ho fatto e che faccio qua e là sul tema del petrolio, l'energia e le risorse. Tutti sono simili, ma ognuno è sempre un po' diverso. Questo, non aveva niente di speciale, ma me ne ricordo per via dello scontro fra il politico dalle dita affusolate e la signora anziana in tuta da ginnastica; un piccolo spaccato della vita e delle interazioni che ci sono nel mondo in cui viviamo.



I resti del "gasometro" ottocentesco nella zona Sud di Firenze che generava il gas per la prima illuminazione pubblica della città. Azionato con carbone inglese, è stato il primo elemento della rivoluzione industriale in Toscana.


Circolo ARCI; zona sud di Firenze.

Questo circolo ARCI è in una delle aree tradizionalmente operaie di Firenze. Ancora, mantiene qualcosa di quell'antica tradizione. Ma solo qualche vestigia nei quadri alle pareti e, forse, nella memoria degli anziani. Oggi, come in tutti i circoli del genere; alla sera c'è gente che beve, che chiacchera, che guarda la TV. Fino a non molti anni fa, nei circoli ARCI si trovava ancora gente che giocava a carte, ma quella generazione sembra essersi estinta, forse spazzata via dalle telenovelas.

Degli avventori di stasera, alcuni sembrano essere la versione toscana del Cipputi; probabilmente sono veri operai. Alcuni giovani hanno anche loro l'aspetto di operai, ma non è detto che lo siano. Possono essere cococo che lavorano in qualche call center, oppure studenti, oppure semplicemente semioccupati in lavori saltuari. Poco importa, tanto lo so che nessuno di loro, e neanche degli operai veri, verrà a sentire la mia conferenza. Ormai, ne ho fatte parecchie, so come vanno le cose.

La conferenza si tiene in una saletta piuttosto piccola e spoglia. All'inizio, sembra che sia stato un flop clamoroso. A parte me, mia moglie, e un paio di altre persone, la sala è completamente vuota. Non funziona nemmeno il proiettore delle diapositive. Peggio del solito; forse non era la serata giusta. Peccato, perché mi ero preparato un discorso che mi sembrava interessante.

Mi consolo pensando che la qualità dell'udienza che conta, non la quantità, e comincio a parlare. In realtà, le cose si mettono meglio di quanto non sembrasse. In breve, la gente comincia a entrare e la saletta si riempie. In un quarto d'ora ho almeno venti spettatori. Come mi aspettavo, non sono venuti né gli operai né i giovani. Ci sono persone di media età che sembrano più che altro impiegati. C'è un signore dai capelli bianchi con un'aria molto intellettuale in prima fila e una signora anziana vestita in scarpe da tennis e una tuta da ginnastica che si piazza anche lei in prima fila e mi guarda, curiosa. Ha i capelli completamente bianchi raccolti in una coda di cavallo. Si sono persi l'inizio, ma poco danno. Continuo a parlare.

Come dicevo, mi ero preparato. Quella zona di Firenze la conosco bene; ci sono nato e vissuto fino a 14 anni. Parto dalla storia del "gasometro", l'antico gassificatore che il Granduca Pietro Leopoldo aveva fatto costruire per dare luce alla città con i lampioni a gas. Il vecchio gasometro c'è ancora: è un monumento alla storia industriale della città. Racconto di come il carbone per il gasometro arrivasse dall'Inghilterra su navi a vela che attraccavano a Livorno. Racconto di come fosse poi laboriosamente trasportato a Firenze su delle chiatte che navigavano l'Arno controcorrente. Accendo il portatile e giro lo schermo verso l'udienza, facendo vedere il quadro di Telemaco Signorini che mostra la fatica fisica di quelli che tiravano le chiatte. La gente in platea si sporge in avanti per guardare il quadro: sono affascinati.

Continuo raccontando come la storia dell'industria italiana, e di conseguenza del movimento operaio, sia nata con il carbone inglese e ne abbia seguito le sorti. Come il declino del carbone inglese abbia portato al fascismo e alla necessità di cambiare alleanza: dall'Inghilterra alla Germania, che ancora ci poteva fornire il carbone negli anni '30. Racconto dei moti operai del 1921, che si erano svolti proprio in quella zona. Della repressione, dell'assassinio del sindacalista Spartaco Lavagnini. Di come, poi, si sia arrivati alla guerra. Racconto di come la storia moderna dell'Italia nel dopoguerra sia legata alla disponibilità di petrolio, esattamente come prima della guerra era legata al carbone. Faccio vedere le previsioni per la produzione e come tanti eventi degli ultimi anni siano strettamente legati alle disponibilità petrolifere. Parlo delle difficoltà che abbiamo di fronte e della carenza di petrolio che dobbiamo fronteggiare. Concludo dicendo che il futuro rispecchia il passato e che se ci ricordiamo degli errori fatti allora, forse potremo evitare di ripeterli.

Ormai mi accorgo bene se mi seguono oppure no. Qui, chiaramente, il messaggio sta passando. In particolare, l'intellettuale dai capelli bianchi seduto in prima fila sembra aver seguito ogni parola. Noto che ha le dita lunghe e affusolate come quelle di un musicista. Quando finisco, è il primo a commentare. Parla scandendo le parole, si sente che anche lui è abituato a parlare in pubblico. Si qualifica; dice che è il presidente del consiglio di quartiere. Dice che ha capito che questi sono dei concetti importantissimi; che ci vorrà del tempo per assimilarli, ma che sono fondamentali per capire il nostro futuro.

A questo punto, interviene la signora anziana; quella in tuta e scarpe da ginnastica. Cambia argomento di brutto. Qui, dice, bisogna identificare i politici che rubano. Dobbiamo fare un elenco; ci devono dire come hanno speso i nostri soldi. Poi prenderemo dei provvedimenti; lo stiamo già facendo. Parla stando seduta, rilassata.

Il presidente si tace con aria seccata, ma fulmina con lo sguardo la signora anziana. C'è un momento di gelo nell'udienza. Ahimé, la magia si è rotta. La discussione riprende, ma è un po' zoppicante. Mi chiedono, al solito, dei pannelli fotovoltaici, dei doppi vetri, dei veicoli elettrici. Si conclude verso mezzanotte. Il politico e la signora escono dalle due porte in dalle direzioni opposte, senza guardarsi.

Come ogni volta, mi chiedo se sia servito a qualcosa. Chi lo sa?



Se volete leggere qualcosa di più sul carbone in Toscana e in Italia, potete vedere questo link a www.aspoitalia.net

sabato, settembre 20, 2008

Vedrò 2008: l'arte del dibattito


Alessandro Politi introduce la discussione del gruppo di lavoro "si può vivere senza petrolio" all'edizione del 2008 di "Vedrò."


Ci sarebbero molte cose che vi potrei raccontare sulla discussione che c'è stata alla manifestazione "Vedrò" a Riva del Garda questo Agosto sul tema "Si può vivere senza petrolio?" Mi limito qui a segnalarvi la presenza al tavolo di un bel gruppetto di persone (circa 25) esperte nel campo e che avevano, apparentemente, qualche peso decisionale nelle rispettive istituzioni/industrie.

Non vi so dire se questo gruppo in particolare aveva rilevanza statistica; vi posso dire che una certa consapevolezza della crisi strategica dell'energia si sta facendo strada, ma con una certa lentezza e con penetrazione molto diseguale. Purtroppo, non c'è ancora la piena comprensione di quella che è - a mio parere - l'estrema urgenza della situazione. Non sono mancati interventi di persone che in buona fede sembravano ritenere che le energie rinnovabili sono soltanto un giochetto per finanziare gli amici attraverso i sussidi ma che, in realtà, non producono veramente energia. Questa sui sussidi è stata una discussione interessantissima al tavolo, ma ve la riferirò in un altro momento.

Piuttosto, vi volevo raccontare di un'altra cosa; ovvero di come il dibattito è stato organizzato. Era un formato tipico delle discussioni stile "gruppo di lavoro" dove bisogna arrivare a prendere delle decisioni o, quantomento, chiarificare qualche punto specifico. I presenti sedevano tutti intorno a un tavolo; c'erano dei relatori che introducevano gli argomenti, ma per tempi brevissimi (strettamente proibito il power point). Poi, ognuno poteva dire la sua, prenotandosi. Era anche ammesso interrompere la sequenza dei prenotati quando uno pensava di avere qualcosa di particolarmente rilevante da dire. Il risultato è stata una discussione molto vivace con parecchi interventi interessanti. Il rischio era che divagasse senza arrivare a niente, cosa che è successa in parte il primo giorno. Ma il secondo giorno la discussione si è auto-organizzata sull'argomento "sussidi" che è stato sviscerato in grande dettaglio da vari punti di vista.

Confrontiamo ora con il convegno "standard" sull'energia. Che lo si faccia a un circolo ARCI di periferia, oppure in qualche prestigiosa sala del governo regionale; lo schema è sempre quello (probabilmente mutuato dalle riunioni del PCUS al tempo di Stalin). Pubblico seduto in platea in file ordinate, tavolo dei relatori sollevato almeno di mezzo metro dal pavimento. Spesso i relatori parlano da seduti, con il microfono davanti. Questo è un ottimo modo per perdere ogni contatto visivo con il pubblico che vede solo una fila di persone sedute e - dalle file un po' più distanti - non riesce nemmeno a capire chi è quello che sta parlando.

Prima parlano i politici che, bontà loro, di solito non si dilungano troppo. Ovviamente, appena hanno finito, se ne vanno; non sono ammesse domande e interventi da parte del popolo. Poi cominciano a parlare i tecnici; questo implica che si spengano le luci della sala e appaia la schermata del maledetto power point. I risultati sono quasi immediatamente soporiferi. Il pubblico non interviene quasi mai con domande per svariati motivi; incluso spesso la botta postprandiale aiutata dall'oscurità della sala.

Ma i motivi principali per la mancanza di un dibattito sono la maleducazione sia degli organizzatori come dei relatori. I primi tendono consistentemente a mettere in programma troppi oratori, ben sapendo che non ci sarà tempo per farli parlare tutti. I secondi, consistentemente debordando dai tempi assegnati senza che il moderatore (se c'è) si azzardi a prendere il microfono e dire "guarda che avevi 10 minuti e ormai sono tre quarti c'ora che sproloqui; non ti pare sia il momento di chiudere?".

Il problema del debordamento dei tempi è moltiplicato dallo stramaledetto power point. Dare un software del genere a un incompetente è come dare un kalashnikov carico a un Talebano in un negozio di televisori. Il power point, se avesse (vagamente) un senso, dovrebbe essere usato per far vedere immagini di cose che si descrivono male a voce. NON dovrebbe essere usato per scrivere paginate e paginate di testo che poi il relatore legge con voce monotona. Con in più i "bullet point", oddio mio.....

In più, avere fra le mani una presentazione in power point ti mette in grave difficoltà se devi cambiare qualcosa. Se è necessario accorciare la presentazione, non si sa come fare. Una volta, con i lucidi in forma di fogli fisicamente maneggiabili, alcuni si potevano mettere da parte e la presentazione si poteva "smazzare" prima di arrivare all'intervento. Ma ora, quando l'organizzazione ti chiede la tua presentazione definitiva in power point con giorni di anticipo, sei letteralmente in gabbia.

Una volta mi è capitato di fare il moderatore e di dire a un oratore che aveva debordato di parecchio e che doveva accorciare. Il tale, poveretto, mi ha guardato con l'aria di un topo in un angolo e mi ha detto con voce smarrita, "non posso; devo far vedere i lucidi". Tapino; mi ha fatto veramente pena. Meglio così, comunque, della strategia più comune per accorciare la presentazione che è di leggere più velocemente quelle super-maledette pagine di testo. Questo per gli spettatori è come vedere un film accellerato come al tempo delle comiche in bianco e nero. Per fortuna (dell'oratore) di solito sono troppo rintronati per mettersi a ridere.

In queste condizioni, c'è poco da stupirsi se non c'è il tempo di avere domande dal pubblico. Non c'è nemmeno da stupirsi se il convegno che doveva concludersi alle 5 del pomeriggio finisce alle 8 di sera con l'ultimo oratore che parla di fronte al moderatore, alla propria moglie, e al custode della sala con il mazzo di chiavi in mano.

Quindi vedete che l'esperienza di "Vedrò" come minimo mi ha fatto capire che bisogna svecchiare, fluidificare, e velocizzare i convegni imbalsamati che si fanno comunemente. Ci vuole una certa cautela, ovviamente. C'è sempre il rischio dello scalmanato di turno che non smette più, che divaga, o che parte con le scie chimiche o con il complotto delle torri gemelle. Questo, d'altra parte, è un rischio che si corre sempre quando si da la parola al pubblico. Ma la vita è piena di rischi e, in fondo, si può dare un po' di spazio anche alle frange estreme posto che il moderatore tenga in pugno la situazione.

Esiste un "arte del dibattito" che è parte del campo più vasto della retorica. Come si sta perdendo l'arte della retorica, sembra che si stia perdendo anche l'arte del dibattito. Credo però che si possa provare a fare qualcosa per migliorare.


Per Vedrò 2008, ringrazio gli ottimi Massimo Nicolazzi, Alessandro Politi e Carlo Stagnaro che hanno condotto la discussione. Il gruppo dei relatori includeva anche il modesto sottoscritto che ha molto abbassato il livello del dibattito ripetendo in continuazione con voce cavernosa "arriva il picco del petrolio, arriva il picco del petrolio, arriva il picco del petrolio....."

venerdì, settembre 19, 2008

Il prezzo più alto è quello che non ti puoi permettere di pagare

Molto spesso non si riesce a far capire che un prezzo basso del petrolio NON è necessariamente una cosa buona; specialmente se è parte delle folli oscillazioni che abbiamo visto negli ultimi mesi. Se il prezzo si abbassa bruscamente dopo essere salito a livelli stratosferici, come è successo ultimamente, vuol dire che il mercato non ce la fa a pagare i prezzi che dovrebbe pagare per mantenere la produzione ai livelli abituali. Gli investimenti calano, sia nel petrolio sia in tutti gli altri settori e l'economia entra in recessione. Così si spiegano gli ultimi eventi del mercato finanziario.

Questo post racconta di un convegno che si è svolto circa sei mesi fa. Illustra come molta gente abbia una visione molto limitata di tutta la complessità della situazione finanziaria e concentri tutta la sua attenzione solo su un numero, il prezzo del barile in quel particolare giorno, sempre sperando che sia basso e sempre credendo che più è basso più siamo contenti. Non è così semplice, come abbiamo visto in questi giorni.



Siamo nella sala conferenze di un albergo di lusso in campagna. Dalle ampie finestre, si vedono i vigneti; è una zona dove si fa uno spumante che rivaleggia lo Champagne francese. La sera prima, ci hanno anche portato ad assaggiarlo (è dura la vita del conferenziere!)

Ci sono ospiti stranieri, c'è anche la traduzione simultanea. Seduti in platea ci sono persone dall'aspetto molto professionale. Signore in tailleur rigorosamente grigio o nero, signori in abito intero, rigato o grigio. La conferenza è sulle materie prime. Si parla parecchio di alluminio, ma anche di altri metalli. I conferenzieri parlano in inglese o in italiano. Chiaramente sono professionisti e dirigenti di alto livello.

Quando tocca a me, parto abbastanza da lontano. Faccio vedere il lavoro sulle materie prime che ho fatto insieme a Marco Pagani. I picchi di molti metalli importanti, come l'allumino, spiego, non sembrano imminenti. In effetti, la materia prima da cui si fa l'allumino, la bauxite, è molto abbondante. Tuttavia, continuo, la produzione di alluminio sarà fortemente influenzata dalla disponibilità di energia - produrre alluminio è un processo energivoro.

A questo punto, mi lancio a spiegare la questione del picco del petrolio. Parlo delle riserve, della dinamica della produzione, della teoria di Hubbert. Spiego come il meccanismo della domanda e dell'offerta generi forti oscillazioni nei prezzi. Dico che la tendenza alla crescita continuerà ancora, ma che vedremo a non lunga scadenza un crollo del prezzo del petrolio dovuto alla distruzione della domanda.

Da li', spiego come la distruzione della domanda porti come conseguenza una distruzione dell'offerta. Questo genera quello che si chiama recessione. Quella che ci aspetta, dico, sarà una recessione dura; potrebbe somigliare al 1929 ma potrebbe essere anche peggiore. Vedremo il crollo delle borse e la sparizione di certe attività che ci sembravano normali ma che, nel futuro, non potranno esistere, le compagnie aree, per esempio. Anche la metallurgia ne soffrirà. Il prezzo più alto, dico, è quello che non ti puoi permettere di pagare.

Mi fermo. Rimango un attimo interdetto. Non ho per caso esagerato? Forse è ancora un po' l'effetto dello spumante della sera prima, ma mi sono lasciato andare a parlare di recessione, crisi del 29, crollo delle borse, collasso economico, eccetera. Mi guardo intorno; tutte le cravatte e i vestiti rigati davanti a me mi fanno un po' impressione. Ma non mi pare di aver fatto un errore. Quelli seduti nelle prime file mi guardano interessatissimi e non sembrano aver perduto una parola di quello che ho detto. Concludo rapidamente la mia presentazione e ricevo un applauso di quelli che, ormai, riconosco come spontanei, non solo formali.

Più tardi, mi ritrovo a chiaccherare con il chairman della sessione mentre ho un bicchiere di spumante e una tartina al salmone in mano (sempre dura la vita del conferenziere!). Mi dice, "La sua conferenza è piaciuta molto, me lo hanno detto tutti." "Grazie," rispondo, "ma non vorrei essere stato un po' pessimista..." "Pessimista? Beh, sa, in effetti le cose che ha detto erano un po' preoccupanti, ma poi mi sono ricordato che ha anche detto che il prezzo del petrolio si sarebbe abbassato. E allora mi sono tranquillizzato"




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giovedì, settembre 18, 2008

Ecopunto-II




La presentazione del progetto "Ecopunto" ha generato molta discussione e tante perplessità. Pur senza trascurare le varie obiezioni fatte, va detto a favore di Recoplastica che con la loro idea hanno mosso le acque in un mondo in cui il dialogo si riduce spesso alla stanca polemica "inceneritori si - inceneritori no". Quindi, bisogna discuterne. Ho cominciato con un commento precedente Vediamo di ora di approfondire un po'.

La grande rottura della proposta ecopunto sta nel mettere in discussione un fatto che sembrava assodato. Perché dobbiamo pagare per liberarci dei rifiuti? La risposta non è ovvia se pensiamo che il rifiuto, in se, ha un valore economico positivo: anche da una mela marcia ci si può sempre fare compost utile. Ovviamente, questo valore è sempre piuttosto modesto (altrimenti non sarebbe un rifiuto). Quello che costa è la gestione del rifiuto ed è questo costo che porta alla fine a far diventare negativo il valore economico del rifiuto. La scommessa di ecopunto è che se gestiamo bene i rifiuti, possiamo tirar fuori il loro valore positivo a vantaggio dei cittadini.

In un post su questo blog, intitolato "La spigolatura dei rifiuti" ho esaminato la questione di quali strutture economiche siano le più adatte per gestire i rifiuti. Trattandosi di risorse a bassa resa economica, ho sostenuto che occorrevano strutture "leggere", leggerissime se possibile. Ovvero strutture a livello individuale o di piccoli gruppi, con un'impalcatura burocratica ridotta al minimo o inesistente e, se possibile basate sull'autoconsumo per ridurre i costi di trasporto. Insomma, una struttura che somiglia all'antica tradizione della spigolatura nel mondo contadino.

Alcuni rifiuti si possono gestire a livello domestico; per esempio, dove possibile i rifiuti organici si possono compostare e poi utilizzare in giardino o nell'orto. Questa è una forma di "autoconsumo" che rappresenta la massima efficienza possibile. Ma non tutti i rifiuti domestici si possono gestire in questo modo. Plastica, vetro, metalli, carta. Sono tutte cose che richiedono attrezzature complesse per essere riciclate e devono essere gestiti a un livello industriale; non necessariamente su larga scala, ma ben oltre quello che si può fare a livello casalingo.

Ora, se ci pensiamo bene, tutta la difficoltà della gestione sta nel conferimento. Va da se che la "separazione" non è di per se un problema: i rifiuti non nascono mischiati; siamo noi che li mescoliamo insieme come risultato di pessime abitudini. Non c'è da fare nessun lavoro per separarli: basta non mescolarli. Quando poi sono arrivati alle industrie che li trattano, non c'è più nessun problema. Per plastica, metalli, vetro, eccetera, ci sono tecnologie di riciclo molto efficienti e di buona resa economica.

Allora, come dovremmo gestirci il conferimento? Sotto molti aspetti è simile alla vendita al dettaglio, soltanto che il flusso delle merci va al contrario. La logica vorrebbe che si sfruttassero le stesse strutture logistiche della vendita al dettaglio per riportare indietro quella frazione di merce che il consumatore restituisce, in maggior parte contenitori vuoti. Ovvero, così come è il consumatore che va al negozio a comprare quello che gli serve, dovrebbe essere altrettanto il consumatore a riportare al negozio i contenitori vuoti. Dopo di che, il negozio rimanda indietro al fabbricante i contenitori vuoti, se possibile, usando gli stessi veicoli che ha usato per ricevere i contenitori pieni.

Se ci pensate sopra un attimo, vedete che questo sistema non comporta quasi nessun costo aggiuntivo rispetto al sistema esistente. E' efficiente perché responsabilizza il cittadino che fornisce parte della manodopera necessaria. E' molto efficiente anche perché ottimizza naturalmente anche la produzione dei rifiuti. Se riportare al negozio un imballaggio non rende o rende troppo poco, il consumatore cercherà di non comprare prodotti che usano quel tipo di imballaggio. Questo porta automaticamente a migliorare l'efficienza degli imballaggi e a ridurre la quantità di rifiuti prodotta. Se invece si continua a far pagare ai cittadini una tariffa che non dipende dalla quantità di rifiuto prodotto, non ci riusciremo mai.

Tanto è logico questo sistema che, infatti, è il modo con cui si sta cercando di gestirsi i rifiuti domestici in Germania. E' anche il modo con cui si gestivano i rifiuti da noi qualche decennio fa: le bottiglie vuote si riportavano al negozio. Alla fine dei conti, questo è quello che viene proposto con il concetto di "ecopunto", sebbene in questo caso si proponga una struttura parallela di conferimento, ma cambia poco.

Allora, se questo sistema è logico e conveniente, perché non lo stiamo già facendo? La risposta la troviamo nelle tendenze generali dell'economia; in particolare nella diffusione di quello che possiamo chiamare "esternalizzazione" dei servizi. Nel periodo di espansione economica degli ultimi decenni, i cittadini hanno trovato conveniente esternalizzare, ovvero affidare a ditte esterne, certe attività che una volta si facevano in casa.

Molto spesso, un servizio esternalizzato costa più caro di uno fatto in casa. Uno potrebbe pensare di farsi il sapone in casa, di coltivare gli ortaggi nell'orto, di cucirsi i vestiti, rammendarsi le camice le tovaglie e tante altre cose che si facevano una volta ma che oggi non si fanno più. Questo è dovuto semplicemente al fatto che si guadagna di più lavorando fuori casa di quanto non si possa risparmiare rammendando le proprie tovaglie e camice. Si ottimizza la resa economica del proprio tempo; lo si è sempre fatto. Lo stesso succede per i rifiuti. La gente ha trovato conveniente esternalizzare il servizio alle aziende municipalizzate. Tutto tempo guadagnato: vi do il sacchetto con dentro tutto quello che voglio buttare via. Io vi pago, voi fatelo sparire. Non voglio sapere altro, ho altre cose più importanti di cui preoccuparmi.

Ma le cose cambiano sempre è la società ricca di soli pochi anni fa sta diventando rapidamente un ricordo. Ci stiamo impoverendo; è inutile nasconderlo. E con l'impoverimento si comincia a ripensare agli arrangiamenti che una volta erano ottimizzati, ma che ora non lo sono più.

Stanno succedendo una serie di cose; la principale è che con la crisi delle materie prime, i rifiuti valgono di più. Quindi, comincia a diventare interessante recuperarli per ottenerne anche solo un piccolo vantaggio economico: se le famiglie che non ce la fanno più ad arrivare a fine mese anche gli spiccioli che si recuperano rendendo indietro le bottiglie fanno comodo. Allo stesso tempo, ci accorgiamo che i servizi esterni che erano stati creati per gestire i rifiuti sono un carrozzone di stile sovietico: E' un sistema statalizzato, dove non esiste nessuna libera concorrenza. Non c'è da stupirsi se il risultato finale è estremamente inefficiente e costoso. Basti pensare alla fesseria che sono stati (e sono) i cassonetti pubblici per la raccolta differenziata: Nessun incentivo ai buoni comportamenti, nessun disincentivo (in pratica) per chi si comporta male; un sistema che produce poco rifiuto differenziato e quello che produce è spesso di scarsa qualità. Sembra che siano stati creati apposta per scoraggiare la raccolta differenziata (e si può sospettare che sia esattamente così). Per non parlare poi degli abbondanti sussidi statali che favoriscono sistemi inefficienti come gli inceneritori.

Quindi, vedete come mai la proposta "ecopunto" ha avuto tanto successo e ha creato tanto interesse. La gente si rende conto che i tempi sono cambiati e, di conseguenza, tante cose vanno cambiate anche nel modo in cui gestiamo i rifiuti. Ci sono tantissimi problemi pratici e legislativi nella proposta, come ho dettagliato nel mio post precedente. Non è detto che la cosa sia fattibile nella forma in cui è stata proposta e probabilmente dovrà essere integrata con altri sistemi, come la raccolta porta a porta, per gestire quei rifiuti, tipo l'umido, che non possono essere restituiti al punto di raccolta. Ma certamente va nella giusta direzione.

mercoledì, settembre 17, 2008

Quanto pesa la speculazione

Dopo aver raggiunto quasi i 150 dollari al barile, il prezzo del petrolio è precipitato rapidamente, ed è valutato in questi giorni intorno ai 90 dollari al barile.
Queste colossali oscillazioni verso l’alto o verso il basso dei prezzi, rischiano però di allontanarci dall’osservazione della tendenza di fondo che, come ho rilevato in passato, rimane orientata alla crescita. In quest’ottica, la curva tendenziale rappresenterebbe il riflesso dei fondamentali dell’economia, rapporto domanda – offerta, costi di produzione ecc., le oscillazioni sarebbero dovute agli effetti della speculazione finanziaria. Tra cui si possono annoverare, come sottolineato in un articolo di Oil Drum, anche quelli connessi alla recente, tremenda crisi “Lehman Brothers”.

Molti commentatori nei mesi scorsi hanno sottolineato in vario modo l’influenza della speculazione nella formazione dei prezzi petroliferi. Segnalo a tale proposito un articolo apparso sull’inserto “Affari e Finanza” di Repubblica dell’8 settembre scorso, dal titolo “Petrolio, non c’è stata solo la speculazione” che riporta in maniera chiara e comprensibile i risultati di uno studio interessante dell’ABI sul rapporto tra prezzi spot (relativi agli scambi effettivi di petrolio) e future (relativi a impegni futuri di compravendita di petrolio) nel mercato mondiale dei prodotti petroliferi. Il rapporto, senza sottovalutare il ruolo della speculazione, sembra escluderne un peso determinante nella formazione dei prezzi.
Per una comprensione del meccanismo che lega i prezzi spot a quelli future, segnalo infine anche questo articolo di Ugo Bardi, tratto dal sito di Aspoitalia.

lunedì, settembre 15, 2008

Ecopunto



L'iniziativa detta "Ecopunto", pagare direttamente ai cittadini i rifiuti che portano a un punto di raccolta, ha sollevato un enorme interesse in Italia in questi giorni. E' un interesse che trovo giustificato, al punto che ho partecipato personalmente al meeting organizzato dai proponenti, la ditta Recoplastica, a Moncalieri, questo Sabato, il 13 Settembre 2008. (trovate una registrazione del mio intervento sul blog "movimento impatto zero"). Queste sono, per ora, note "a caldo" che risultano da quello che ho visto e ho sentito alla conferenza.

Per prima cosa, fatemi riassumere i concetti generali da cui parto, ovvero da quello che ASPO-Italia e io stesso personalmente abbiamo detto e sostenuto negli ultimi anni. Ci troviamo di fronte a una situazione di carenza produttiva di tutte le materie prime e in particolare delle risorse minerali. E' vero che esistono ancora risorse consistenti di petrolio e di tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ma è vero anche che l'estrazione è sempre più costosa e che, pertanto, richiede investimenti sempre più grandi che il sistema industriale comincia ad essere in difficoltà a fornire.

Ne consegue che se vogliamo sopravvivere (economicamente ma, a lungo andare, anche fisicamente) dobbiamo prendere dei provvedimenti. Non ci sono strategie miracolose, ma ce ne sono di efficaci: si tratta di sostituire il petrolio e gli altri fossili con energie rinnovabili e riutilizzare sempre di più le materie prime riciclandole (non menziono nemmeno l'efficienza e il risparmio, che ne sono ovvie conseguenze). Queste cose hanno dei costi e richiedono lavoro, ma se non le facciamo saremo sempre di più in difficoltà.

Al momento, il sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani è quanto di meno efficiente si possa immaginare. In massima parte, vengono mischiati insieme e buttati in discariche dalle quali il recupero di qualsiasi cosa è, per il momento, impossibile per ragioni pratiche e sanitarie. In parte vengono bruciati per recuperare una piccola quantità di energia, ma questo avviene al prezzo di distruggere in pratica ogni possibilità di ulteriore recupero dalla scoria fusa che è il prodotto finale.

Negli ultimi anni, la separazione e il recupero dei rifiuti si sta sviluppando rapidamente come alternativa ai primitivi metodi di incenerimento e di seppellimento. Ciononostante, i metodi di separazione proposti al cittadino sono inefficienti: i cassonetti per la differenziazione non sono minimamente protetti dal conferimento improprio, non c'è nessun incoraggiamento per chi si comporta bene e neppure, in pratica, sanzioni per chi si comporta male. La media della differenziazione del rifiuto domestico è oggi soltanto circa del 30% in Italia e inoltre la qualità del differenziato è spesso assai scarsa. Risultati molto migliori sia come qualità che come quantità si ottengono con la raccolta "porta a porta" che però stenta a diffondersi.

E' in questo quadro che si inserisce l'iniziativa "Ecopunto". L'idea è di creare dei piccoli "punti vendita" dove il cittadino può portare i propri rifiuti differenziati e ottenerne un corrispettivo in denaro. L'ecopunto provvede a compattare questi rifiuti e poi ad avviarli alle strutture che li riciclano. I vantaggi sono molteplici, perlomeno in teoria.

1. Incoraggiando con un compenso monetario diretto i cittadini a separare i rifiuti, si migliora la frazione di rifiuti differenziata.

2. Con un controllo diretto all'interno dell'ecopunto si migliora la qualità della differenziazione.

3. Il compenso monetario ha un valore sociale in quanto aiuta le famiglie in una situazione economica di generale impoverimento

4. C'è un vantaggio "ufficioso" di recupero di cose che altrimenti nessuno recupererebbe. Dal punto di vista legale, si possono rivendere all'ecopunto soltanto rifiuti prodotti in casa propria. Tuttavia, una volta che fosse possibile per i cittadini privati rivendere cose come lattine o bottiglie di plastica, è probabile che non se ne vedrà più una per terra in un raggio di 10 km dall'ecopunto stesso. Questo forse non è del tutto legale, ma è anche una cosa buona per tutti.


Qui, ho elencato i vantaggi che vedo nel concetto di "ecopunto", tuttavia non si possono trascurare nemmeno le perplessità che nascono quando si esamina l'idea in dettaglio. Ecco quindi alcune mie riflessioni in proposito.


- Un problema tecnico. Ci sono molti dettagli da capire e sperimentare su cosa e come esattamente un ecopunto può riciclare. Per esempio, la plastica. Da quello che si è visto alla presentazione, l'idea è di compattare insieme tutto quello che arriva; ma questo non è la cosa più efficiente. L'ecopunto, poi, non può accettare il vetro, troppo ingombrante. Tutte cose da vedere.

- Un secondo problema tecnico. L'ecopunto deve conferire quello che raccoglie a qualcuno che ricicla. Se questo punto di riciclo non si trova a distanze ragionevoli dall'ecopunto stesso, i costi di trasporto vanificano i vantaggi dell'opera. Non è detto che questi punti non esistano, ma la cosa va vista e studiata. Va detto, comunque, che questo è un problema generale del riciclo dei rifiuti, indipendentemente dal metodo usato per la raccolta.

- Un problema di accettazione da parte del pubblico. Verrà veramente la gente a portare i propri rifiuti separati all'ecopunto sapendo che - per ben che vada - il ricavo è dell'ordine di 1 euro al giorno? Personalmente, credo di si se la locazione dell'ecopunto è ben scelta e conveniente. Ma se non si prova non è possibile saperlo.

- Un problema commerciale. L'ecopunto è concepito come una struttura privata che vive sul profitto della sua attività. Questi profitti sono, tuttavia, molto bassi; c'è poco margine a comprare e vendere rifiuti. Ce la può fare l'ecopunto a dare da mangiare a una persona che lo gestisce? Personalmente, lo vedo come possibile, ma non certo. Ci vorrebbero degli incentivi che, d'altra parte, sarebbero perfettamente giustificati in vista dell'opera socialmente utile che l'ecopunto fa. Ma per ora non ci sono.

- Un problema legislativo. I tecnici di Recoplastica si dichiarano convinti che l'attività di Ecopunto è legale e quindi è possibile con le adeguate autorizzazioni. Personalmente, credo che abbiano ragione, ma c'è un piccolo problema in un paese come il nostro in cui la certezza del diritto non lo è. Basti considerare la situazione di arbitrio legislativo in cui si trovano gli impianti di energia rinnovabile. Perfettamente legali a livello nazionale, sono tuttavia alla mercè degli amministratori locali che li autorizzano oppure no a seconda del loro umore. La stessa cosa potrebbe succedere agli ecopunto, legali rispetto alle leggi nazionali, ma non autorizzati rispetto a quelle locali.

- Un problema burocratico. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, presumo che il posto di leader mondiale della burocrazia inutile sia passato al nostro paese, che lo detiene tuttora. Da quello che ho capito, se un cittadino porta all'ecopunto materiale per venti centesimi, deve comunque riempire un modulo in quattro copie. E' possibile, ma leggermente scoraggiante.

- Un problema di efficienza. Siamo veramente sicuri che l'ecopunto sia più efficiente del sistema "porta a porta"? A mio parere, può esserlo, ma solo se è gestito e pensato bene. Nella raccolta porta a porta, c'è un camion che gira e si ferma davanti a tutte le abitazioni. Se il cittadino porta i suoi rifiuti all'ecopunto a piedi o in bicicletta il risultato è sicuramente più efficiente. Ma, se deve fare 10 km in macchina, non ha senso. Quindi, la localizzazione dell'ecopunto è un problema cruciale. Funziona se è in una zona commerciale dove il cittadino andrebbe comunque a fare la spesa e - senza spese energetiche in più - si porta dietro i rifiuti da restituire.

- Un secondo problema di efficienza. L'ecopunto è strutturato per riciclare. Ma riusare è una strategia normalmente più efficiente. Per esempio, in Germania, le bottiglie di plastica si riusano parecchie volte prima di riciclarle. Questo l'ecopunto lo potrebbe fare, ma ci vuole un altro tipo di approccio, di accordi e di attrezzature.

- Un problema di concorrenza. L'ecopunto è un'inizativa privata che si pone in concorrenza a quella che potrebbe essere una legislazione di "resa obbligatoria." In Germania e in altri paesi il lavoro che da noi dovrebbe fare l'ecopunto lo fanno per legge i punti vendita. Se il supermercato si mette a ritirare le bottiglie che vende, si mette in concorrenza con l'ecopunto e, ovviamente, l'ecopunto perde. In pratica, la cosa migliore sarebbe se l'ecopunto si configurasse come un fornitore del supermercato; solo che invece di fornire merce, la porta via.

- Un problema politico. Se, teoricamente, la politica esiste per il bene dei cittadini, nella pratica esiste per il bene delle lobby (per usare un termine gentile per descriverle). Le varie lobby sono riuscite ad accaparrarsi il mercato dei rifiuti ottenendo finanziamenti consistenti dallo stato per gestirli in modo costoso e inefficiente. Ora, si sta prefigurando una situazione in cui la quantità di rifiuti prodotta comincia a diminuire. E' chiaro che siamo in una classica situazione tipo "tirar via il pesce dalla bocca del coccodrillo". La cosa non è per niente ovvia.


Questo elenco di problemi non vuole demolire l'idea dell'ecopunto. Sono problemi risolvibili, come dimostrato dal fatto che in Germania già li hanno risolti. Laggiù sono anni che ti pagano se riporti indietro bottiglie e lattine vuote e nessuno lo trova una cosa folle o impossibile. Ma come mai da noi certe cose sono così difficili? Beh, a questo punto non resta che concludere che è perché non siamo tedeschi....



Sul concetto di "ecopunto" potete vedere anche il post di Paolo Marani che esprime molte perplessità sull'idea.

domenica, settembre 14, 2008

Rifiuti in Piemonte


Riciclare la plastica è possibile: qui sopra vedete una massa di plastica di recupero alla cooperativa "Corim" in provincia di Cuneo, in attesa di essere risucchiata nella tramoggia. Poi sarà fusa e stampata a formare nuovi prodotti


Sono di ritorno da un giro in Piemonte insieme con i miei colleghi e collaboratori Elisabetta Cortelli e Francesco Festini. Abbiamo visto diverse iniziative molto interessanti soprattutto sui rifiuti, materie seconde, ma anche sull'energia. Sono tutte cose meritevoli di riflessione approfondita, ma per ora mi limito a passarvi qualche foto con brevi commenti.



Da sinistra: Elisabetta Cortelli, Ugo Bardi e David Burdisso; quest'ultimo è il responsabile della cooperativa "Proteo" in provincia di Cuneo. La cooperativa è impegnata nella raccolta differenziata porta a porta e in alcune interessanti iniziative di energia solare collettiva.



Da sinistra, David Scialla (responsabile della coperativa Corim), Francesco Festini e Elisabetta Cortelli discutono di riciclaggio della plastica



Il "feedstock" della cooperativa Corim, plastica di recupero macinata, tenuto in mano da David Scialla e esaminato con attenzione da Elisabetta Cortelli.




I prodotti della Corim; cassette di plastica per l'agricoltura. Si vedono anche le balle di feedstock di plastica riciclata.



Il convegno sul concetto di "Ecopunto" organizzato da Recoplastica a Moncalieri il 13 Settembre. Fra gli oratori incravattati, riconoscete anche il sottoscritto. In sala c'erano 500 persone, altre 1500 avevano chiesto di partecipare ma non era stato possibile per via della capienza della sala. L'idea dell'ecopunto è che il cittadino che porta i propri rifiuti separati viene compensato direttamente in moneta. E' un concetto enormemente interessante che è in linea con quello che si sta facendo, per esempio, in Germania. Si tratta di vedere se questo sarà possibile anche nel paese della burocrazia, che è il nostro.

Senza potersi fermare


Riceviamo e pubblichiamo questo scritto di Ivo Quartiroli, che amplia un po' le tematiche dei nostri post, il cui taglio è solitamente tecnico-scientifico e economico (a volte anche psicologico).
In esso ci propone la sua visione filosofica del consumismo di oggi, di cui il petrolio è il motore "fisico" principale.


created by Ivo Quartiroli

C’è una profonda convinzione nella nostra civiltà, per cui si creano e cadono governi, si dedicano intere vite, si titolano le prime pagine dei giornali. Pur distinguendosi nei modi di gestione dell’economia e nei criteri di ripartizione delle risorse tra le diverse parti sociali, tutte le componenti politiche dell’occidente concordano su un punto: che la crescita economica continua è cosa buona e giusta.
Il modello di sviluppo attuale basato sui consumi sta devastando il pianeta e i suoi abitanti, compresi gli artefici stessi dell’economia. Sono visibili a tutti le conseguenze dell’iperproduzione sulle risorse del pianeta e sulle popolazioni del terzo mondo, le quali si trovano invece ben al di sotto del tenore di vita dignitoso che porta a quel tanto che basta di felicità. E’ paradossale a questo proposito che l’intero meccanismo dell’automazione, ideato per sostituirsi al lavoro, lo chiamiamo disoccupazione e gli diamo dei connotati negativi.
Produrre è dunque un imperativo, a prescindere dai suoi effetti. Non ci si può fermare, ed è altrettanto paradossale che nei paesi più ricchi, Stati Uniti e Giappone in testa, i lavoratori godano progressivamente di meno ferie.

Nell’inconscio collettivo dell’occidente vi sono strati di convinzioni profonde che non ci consentono di abbandonare l’illusione che dallo sviluppo economico arriverà ogni bene. Lo strato delle idee più evidenti che muovono gli sforzi produttivi è:
1) L’attesa di un mondo migliore (benessere, pace, giustizia, democrazia, diritti) tramite la produzione, la distribuzione e il consumo di beni e di tecnologie.
2) La necessità di agire nel mondo per giungere a tali fini. A questo scopo lo sfruttamento delle risorse naturali e produttive del pianeta è fondamentale per alimentare le macchine produttive. Il libero accesso alle risorse mondiali e il consenso delle nazioni sono elementi non trascurabili dell’intrapresa. Da qui si passa al dover esportare i sistemi economico-politici e culturali dell’occidente, fenomeno conosciuto come globalizzazione.
3) Le azioni sono svolte in modo compulsivo e frettoloso, ingrediente decisivo che impedisce la consapevolezza del proprio stato interiore e delle conseguenze sociali ed ecologiche nel medio/lungo termine.
4) Il futuro immaginato al primo punto non arriva mai, a prescindere da ciò che si è ottenuto fino a quel momento, quindi bisogna intensificare gli sforzi. Non è mai “abbastanza”. Torna al punto 1).

Il meccanismo si colloca in un circolo vizioso che ricorda la tossicodipendenza. Da dove viene l’idea trainante di partenza, la visione di un mondo migliore tramite la produzione di beni? Le radici profonde di questa idea germinale risalgono alla tradizione giudaico-cristiana.
Secondo la Bibbia, Dio ha creato l’essere umano solo al termine del processo di creazione. Di conseguenza il mondo e tutto ciò che ne fa parte esisteva prima degli esseri umani ed è qualcosa di profondamente diverso dalla specie umana, che è invece stata creata a immagine e somiglianza di Dio. Il resto dell’universo è qualcosa di oggettivo, “là fuori”, delle “cose” create dal divino. Tuttavia, a differenza degli esseri umani, ciò che non è umano non è altrettanto connesso al divino, di fatto privo dell’elemento divino, meramente materia oggettiva.
Secondo la dottrina, solo l’essere umano può avere un posto nel cosmo come immagine e somiglianza del divino (ma come vedremo, sempre secondo la stessa tradizione, senza poterlo veramente raggiungere su questa terra). La Bibbia afferma inoltre che la natura è stata creata affinché l’essere umano la usi a suo beneficio.
L’uomo quindi ha il diritto, conferito da una superiore autorità, di utilizzare il creato per i propri scopi. A questo ingrediente dell’avere un ruolo speciale nella creazione, il cristianesimo aggiunge i concetti del peccato e del libero arbitrio. L’essere umano è nato nel peccato originale però, tramite il dono del libero arbitrio, può decidere di agire il bene invece che il male e così redimersi. Questi messaggi sono stati decisivi nello sviluppo tecnologico e sociale delle grandi religioni monoteiste.

Oltre a questi vi sono altri messaggi ricevuti dai cristiani ed entrati profondamente nell’inconscio collettivo. Il riscatto dal peccato originale può avvenire tramite le buone azioni, che sono confluite nella meccanica, nella scienza e nella tecnologia.
Ma vi è un problema. Queste azioni non porteranno i loro frutti su questa terra ai loro artefici. Difatti, secondo la dottrina, la vita e la felicità eterna è del regno dei cieli e non di questa vita terrena. Tutto ciò che possiamo fare in questa vita, è meritarci quella futura, migliore, tramite le nostre azioni virtuose.
Eppure, si potrebbe obiettare, c’è stato un uomo che si è ricongiunto con il divino in forma umana, e si chiama Gesù. La dottrina si affretta, però, a dirci che Gesù è l’unico figlio di Dio e che nessun altro uomo potrà aspirare alla sua condizione. Al più possiamo imitarne l’esempio. Non ci si illuda, la vita eterna risiede in qualche luogo “altro” da noi, non è “qui e ora”, ma “là”, in un non ben specificato futuro.

C’è un’altra via d’uscita, in verità: la redenzione, la salvezza generale alla fine dei tempi, preceduta da una fase di calamità e distruzione chiamata apocalisse. Una specie di “tana libera tutti” che annulla gioco e giocatori.
Quindi l’essere umano è qualcosa di speciale all’interno del creato, però è nato nel peccato. Poiché ha il libero arbitrio, potrà redimersi tramite le sue azioni, usando a questo fine il creato, ma non potrà pretendere di incontrare il divino in questa vita perché è un’esclusiva di Gesù. Potrà entrare nel regno dei cieli in un futuro, presumibilmente dopo la morte (se si è comportato bene.

Inoltre, a differenza di altre religioni che prevedono la reincarnazione, la dottrina cristiana afferma che c’è una sola vita terrena, quindi non si avrà una seconda possibilità. La redenzione dai peccati, e tutti si nasce nel peccato, va attuata in questa stessa vita. E’ stato così aggiunto l’ingrediente della fretta. Se c’è fretta per il nostro riscatto dai peccati, si comprende l’incoscienza che ha la nostra civiltà nel prevenire le conseguenze future delle nostre scelte.
Dio potrà darci dei segnali per le nostre scelte verso la redenzione, ma poiché ci è stato conferito il libero arbitrio, l’opera di redenzione dipende unicamente da noi. Se ci comporteremo male, finiremo nella dannazione eterna, ma, pur comportandoci bene, non potremo goderne i frutti in questa vita.
Quindi si potrà vivere solo per un futuro migliore perché la felicità su questa terra è preclusa. Si perde dunque la capacità di vivere nel presente, si vive per un futuro che non arriva mai, ma nello stesso momento si deve agire con fretta; ma non c’è alternativa all’agire in prima persona poiché questa è l’unica vita terrena. Non ci si può fermare.

Dopo aver ricevuto tale serie di messaggi, questo essere umano si trova di fronte a una serie di doppi vincoli, definiti da Gregory Bateson come messaggi contraddittori ad alto contenuto emotivo senza una chiara via d’uscita o interpretazione dei contenuti. Bateson teorizzava che tali messaggi avrebbero potuto portare alla schizofrenia.
Alcuni dei doppi vincoli in cui si trova il nostro essere umano:
a) Dover imitare le azioni virtuose di Gesù ma non poter mai diventare come lui.
b) Doversi redimere tramite le buone azioni ma non avere mai la certezza della salvezza
c) Essere speciale e separato dal mondo e dover sfruttare la natura per i propri scopi, ma poiché nei fatti l’essere umano, ecologicamente e spiritualmente, non è separato dal mondo, il tentativo di considerarsi come separato dalla natura sarà necessariamente frustrato e lo porta a scavarsi la fossa con le proprie mani.
d) Dover lavorare per la salvezza eterna e per un futuro radioso che però non arriva mai.
Confuso e ansioso, il povero uomo fa quello che può. Per liberarsi dai doppi vincoli cerca il paradiso su questa terra e la salvezza tramite le proprie azioni. Ha la coscienza a posto perché vuole fare il bene imitando il comportamento di Gesù attuando “azioni virtuose”, in separazione dal mondo, per “lo sviluppo” e un “futuro migliore”. Nonostante le sue azioni virtuose, queste non lo porteranno mai a poter essere come Gesù e non gli daranno la certezza della salvezza dunque la tecnologia lo conduce alla ricerca di pseudo-salvezze all’interno di questa vita terrena.
Esempi di tali tecnologie sono quelle che agiscono sul piano divino della creazione e dell’immortalità, quali le biotecnologie. La cultura che ha fatto del miracolo una prova del divino si sviluppa nelle tecnologie che ricordano il miracoloso.
Abbandonare la spinta verso la produzione estrema e la ricerca delle tecnologie “miracolose” significherebbe abbandonare la speranza di redenzione e salvezza su questa terra, abbandonare l’idea che l’uomo abbia un ruolo speciale nel creato, abbandonare le identità individuali costruite su ciò che uno ha “fatto” nella vita. Sono le proprie azioni che possono portare alla redenzione in terra; senza poter agire l’uomo si trova sperduto e schiacciato dai sensi di colpa.


La versione estesa di questo articolo è stata pubblicata su www.innernet.it con il titolo Senza potersi fermare: le radici della dipendenza a produrre

venerdì, settembre 12, 2008

Oltre il petrolio



Ho assistito di recente, nella mia città, a un dibattito dal titolo “Oltre il petrolio” nel quale i vari relatori tentavano di prefigurare soluzioni alla crescita delle quotazioni petrolifere degli ultimi anni.
Niente di entusiasmante, nella sala diversi cominciavano a sbuffare e sbadigliare, avevo quasi deciso di andare via, quando prende la parola l’Ing. Tullio Fanelli, Commissario dell’Autorità per l’Energia Elettrica e Gas, che in un elegante completo gessato e con tono rassicurante spiega all’uditorio come non sussista minimamente un problema di scarsità dei combustibili fossili, che non bisogna dare retta ai sostenitori del Picco del petrolio, la cui teoria è sostanzialmente una novella. Nel mondo esistono quantità sterminate di combustibili fossili per varie centinaia di anni, grandi quantità di sabbie bituminose e idrati non aspettano altro che essere estratte, è solo una questione di costi (sic!), i carburanti possono essere ricavati tranquillamente dal metano e dal carbone. Non date retta ai catastrofisti, i costi di produzione del petrolio sono bassissimi, appena dai 5 ai 30 dollari al barile e i prezzi sono saliti solo perché non ci sono stati più investimenti nell’estrazione dell’oro nero.

A questo punto, mi aspettavo che, in continuità con questa solita sfilza di luoghi comuni, dicesse che però gli alti prezzi avrebbero inevitabilmente determinato di nuovo una crescita degli investimenti nella realizzazione di nuovi giacimenti e tutti sarebbero vissuti felici e contenti grazie alle leggi imperiture del mercato e dell’economia. Invece, l’Ing. Fanelli, a sorpresa, si esibisce in una fantasiosa variante del modello tranquillizzante in voga nel mondo economico politico nostrano: gli investimenti non ci sono più perché il mercato dei contratti petroliferi, imperfetto e senza concorrenza, non supera i dieci anni; la durata minima per mettere in produzione nuovi giacimenti non consente pertanto agli imprenditori di avere sufficienti garanzie che l’investimento sia remunerativo. E allora, l’uovo di Colombo è quello di fornirle queste garanzie e vedrete che gli investimenti riprenderanno.
A questo punto, stavo per alzare la mano per prendere la parola e chiedere maggiori delucidazioni: “Come pensa, Ing. Fanelli, di fornire queste garanzie, con la creazione di un mercato vincolato, con la creazione di un’autorità internazionale che impedendo la discesa dei prezzi, renda ancora più imperfetto quel mercato dei contratti petroliferi che la disturba tanto?”, ma il moderatore ha chiuso la discussione dicendo che il dibattito era finito e ha mandato tutti a casa.
Allora ho deciso di porre le domande dalle pagine di questo blog, nella speranza che qualora il destinatario le leggesse, si decidesse cortesemente a illuminarmi con una sua autorevole risposta.

Abitudini, inerzie e altre patologie / 1 : la pausa caffè


Inizio qui quella che vorrebbe diventare una sorta di saga: delle abitudini, delle inerzie e oltre, per l'appunto... sovente l'uomo medio (in cui ovviamente rientro) compie gesti quotidiani e abitudinari, quasi rituali, di una certa sacralità. A volte, si chiede se quello che fa ha un senso, ma il più delle volte ci pensa la forza d'inerzia a impedirgli di ragionarci sopra (contrariamente a quanto si pensa, la forza d'inerzia non è un avversario così banale e se la gioca con le altre forze "attive").
Se non dovesse bastare questa forza, può darsi che nella sua mente stanca si faccia largo una qualche leggenda, nuova o risorta, che lo giustifichi nel non agire.
Se poi dovesse rifiutare razionalmente la leggenda, cos'altro potrebbe bloccarlo? Ma certo, i comportamenti sociali. Perchè mai ci si dovrebbe impelagare in azioni e scelte "strane", ed essere giudicati dagli altri?
Se supera questo ostacolo, dovrà vedersela con l'ultimo e più impegnativo: la paura di non riuscire mai a cambiare sistemi che appaiono così radicati e destinati a rimanere tali.
Poichè la saga si preannuncia ricca di spunti che difficilmente riuscirei a focalizzare da solo, qualunque idea e post in merito da parte dei lettori sarà benvenuta.
[franco.galvagno@gmail.com].
In quasi tutti gli ambienti di lavoro le macchinette del caffè hanno una loro nicchia, un loro mercato che sembra non risentire degli alti e dei bassi (più dei bassi) sul reddito del lavoratore-tipo. Ciascuno, cioè, continua a fare le sue n pause al giorno, premendo ogni volta il pulsante della consumazione alla macchinetta. Naturalmente, la situazione è ben diversa da quella di Totò che sorseggia il caffè in una tradizionale tazza di ceramica: il bicchierino è rigorosamente di PS (PoliStirene), o più raramente di PET (PoliEtileneTereFtalato). Insomma, "plasticaccia", che ai tempi di Totò già c'era ma non era così utilizzata per scopi alimentari.
Questi polimeri, oltre ad essere utili in un'infinità di altre applicazioni, hanno enormi potenzialità di riciclaggio, sia per via meccanica che chimica; cioè, sono ottime "materie prime secondarie".
Allora, qual è il problema? Possiamo produrne quanti ne vogliamo, buttarli, se ci garba li ricicliamo in qualche modo, poi li buttiamo ancora ...
Il punto è che sia le materie prime per la produzione (i monomeri) che l'energia necessaria alla sintesi sono legate indissolubilmente al Petrolio; di mezzo ci sono poi anche dei catalizzatori indispensabili all'avvenimento delle reazioni chimiche in gioco, ad esempio a base di ossido di Antimonio.
Con l'approssimarsi (o meglio, con il manifestarsi) del Picco del Petrolio concepire oggetti con un tempo medio di vita da 30'' a 2' (la durata della pausa caffè) sarà pura "criminalità termodinamica", che si trasformerà in "follia economica", naturalmente con un certo ritardo. Ritardo che se sottovalutato potrebbe essere molto pericoloso.
Qualche tempo fa avevo provato a chiedere a una società di distribuzione di bevande automatiche se esistessero modelli che prevedono la possibilità di escludere il bicchiere di plastica; naturalmente sono cascati dalle nuvole e hanno coinvolto capi, e capi di capi, con il risultato che secondo loro la cosa "non esiste". Magari qualche lettore conosce casi di fattibilità all'estero ...
Il mio obiettivo secondario era anche quello di "tagliare" una frazioncina del costo per erogazione (ad esempio 7 cent su 25). I tempi non sono ancora maturi, ma non dovrebbe mancare molto. Nel frattempo, dagli stabilimenti e dagli uffici continueranno a uscire sacconi di bicchieri gettati alla rinfusa (magari con altri oggetti mischiati), dal destino dubbio, come abbiamo imparato a fare da una trentina di anni a questa parte.

giovedì, settembre 11, 2008

Picco del petrolio: il punto sulla situazione

Gli ultimi dati sulla produzione mondiale di petrolio convenzionale secondo "The Oil Drum". La produzione è sostanzialmente statica dal 2005, ma negli ultimi tempi ha mostrato qualche segno di ripresa, forse come risultato degli aumenti vertiginosi dei prezzi. Da notare che, in ogni caso, il consumo di petrolio nei paesi OECD è in diminuzione a causa della riduzione delle esportazioni.


A distanza di qualche mese dalla grande fiammata che ha portato i prezzi del petrolio a toccare i 150 dollari al barile, è arrivato il momento di rivedere la situazone e cercare di capire a che punto siamo.

Ugo Bardi riesamina i punti fondamentali della teoria del picco e discute la situazione in un articolo disponibile sul sito www.aspoitalia.net a questo link.

mercoledì, settembre 10, 2008

Quattro dollari al gallone

Le grandi masse americane sono state gettate nello sconforto e in qualche caso nella disperazione dal prezzo della benzina che, negli Stati Uniti, ha ormai raggiunto i fatidici 4 dollari al gallone. Qualcuno ha reagito con ironia, guardate questo filmato, ma molti devono essere proprio in difficoltà se si raccontano episodi davvero raccapriccianti, come quello dell’uomo che ha scambiato il proprio sangue per buoni di benzina e della ragazza che ha fatto altrettanto in cambio di sesso, diciamo così, non convenzionale.


Eppure, se si effettuano le opportune conversioni, tenendo conto dell’attuale cambio euro – dollaro, si scopre non senza un certo stupore, che il prezzo della benzina che ha messo al tappeto gli americani corrisponde a circa 0,74 €/l, praticamente la metà di quanto spendono oggi gli italiani. Come si spiega tutto ciò? Quali sono i motivi di una situazione per noi incomprensibile? Sono diversi e concomitanti. Innanzitutto, il parco mezzi americano, caratterizzato da elevati consumi specifici, poi la struttura urbanistica delle città molto disseminata sul territorio, costruita a misura di automobile, che costringe a grandi spostamenti per raggiungere i luoghi di lavoro e le altre destinazioni, l’assenza quasi totale di un sistema di trasporti pubblici efficiente, ma anche l’American way of life che ha fatto dell’automobile l’essenza stessa del sogno di libertà americano e del mito pionieristico fondato sul continuo movimento “on the road”, come ragione stessa di vita.


Entrambi i candidati alla Casa Bianca sanno che quello dei prezzi dei carburanti sarà uno dei temi principali, forse il più sentito nella campagna elettorale, ed entrambi continuano a prefigurare soluzioni basate sulla mobilità individuale. Mc Cain ha scelto per Vice Presidente Sarah Palin, autodefinitasi “bulldog col rossetto”, che proponendo la ripresa delle trivellazioni petrolifere nel suo Stato, l’Alaska, ha consentito al candidato Presidente repubblicano di superare nei sondaggi il rivale Obama. E quest’ultimo, in evidente difficoltà, continua a puntare sulle sovvenzioni all’agricoltura per la produzione di biocombustibili, una delle cause della crisi dei prezzi alimentari e della ripresa della deforestazione. Ambedue probabilmente sanno che entrambe le soluzioni saranno dei pannicelli caldi di fronte alla sete di benzina dei propri elettori e alla crescita esponenziale dei prezzi determinata dal picco del petrolio, ma non possono fare diversamente.

La democrazia ha reso grande gli Stati Uniti d’America, la democrazia ne determinerà inevitabilmente il declino.