lunedì, giugno 30, 2008

L'assalto alla ragione



Uno dei miei ricordi della televisione in bianco e nero di non tantissimi anni fa era "Tribuna Politica". Trasmissione che appariva in un orario che oggi chiamiamo "prima serata" e che causava l'immediato cambiamento di canale già nell'epoca (a partire dal 1961) in cui di canali ce n'erano soltanto due e lo "zapping" era concetto del tutto sconosciuto. Più tardi, i canali salirono a tre, e - per un certo periodo - il governo imponeva "tribuna politica" a reti unificate. Il mugugno era generale ma la gente era già sufficientemente assuefatta alla TV da non riuscire a fare altro che sorbirsi un'oretta di primi piani dei faccioni dei politici dell'epoca.

Con la liberalizzazione delle televisioni, le cose cambiarono. A quel tempo, ci parve che le televisioni private avrebbero portato una ventata di novità e di dibattito rispetto alla televisione di stato che ci imponeva le tanto noiose chiacchere dei politici a reti unificate. Ma le cose non andarono così. Il sistema televisivo in Italia si è sviluppato secondo una linea completamente diversa secondo il concetto che negli Stati Uniti si chiama "infotainment"; dall'accoppiamento dei termini "information" e "entertainment" (intrattenimento). Nel nuovo stile, l'informazione deve essere gradita dagli utenti con gli stessi criteri dei programmi di intrattenimento. Ovvero, viene gestita con la stessa filosofia di tutti gli altri programmi TV: un contenitore di pubblicità. Questo ha trasformato l'informazione pubblica in qualcosa che segue le stesse regole della trama dei film di Hollywood: trova il cattivo, picchialo o ammazzalo, dopo di che tutto andrà bene.

In questo stile di informazione, ogni sfumatura sparisce, ogni disaccordo è inquadrato in uno schema "bianco-nero" dove il dissenso critico finisce schiacciato senza nemmeno potersi lamentare di essere ignorato. Brevi flash di 30 secondi con aggiornamenti drammatici; apparizioni dei politici sufficientemente brevi per non farli apparire noiosi; apparizioni dei vari esperti che commentano, sempre per 30 secondi. E poi "rimanete con noi per i prossimi aggiornamenti". Segue pubblicità. Il tutto spezzettato, miscelato, riarrangiato in uno spezzatino dove tutto acquisisce la stessa scala di importanza: sparisce la differenza fra guerre planetarie e amori dei ricchi e dei famosi.

Il modello "infotainment" è tipico della televisioni americane. Da noi, l'informazione risente ancora un po' dello stile dei vecchi telegiornali, rigidi e impacchettati. Ma ci stiamo adeguando rapidamente: anche da noi i notiziari stanno rapidamente diventando una zuppa di flash di 30 secondi dove si parla di tutto e non si capisce niente. I telespettatori italiani stanno diventando anche loro quel tipo di "couch potato", la "patata seduta su un divano" che è il termine con il quale sono definiti spesso i telespettatori americani

E' di questa degenerazione dell'informazione che Gore discute nel suo libro "L'Assalto alla Ragione". Gore è un politico consumato e non usa il termine "patata da divano", ma va lo stesso al cuore del problema. Come è possibile un dibattito informato, la base della democrazia, quando il dibattito è stato reso l'ombra di se stesso da una tecnica di trasmissione che impedisce ogni approfondimento critico?

Il cruccio di Al Gore è soprattutto riguardo al suo tema preferito: il riscaldamento globale. Come è possibile prendere delle decisioni razionali su un argomento così complesso se al pubblico non vengono presentate, non diciamo le basi scientifiche, ma nemmeno i termini elementari del problema? Il dibattito sul riscaldamento globale negli Stati Uniti è un esempio classico di come un apparente "democrazia" nel dibattito serva solo a dare una sverniciata di rispettabilità a una fazione che è soltanto l'appendice politica di una serie di lobby finanziarie e commerciali che non vogliono che si prendano provvedimenti in proposito. Da qui, nasce un dibattito pieno di furia e rumore, che non significa niente.

Ma quello che fa più orrore su questa storia è vedere come sia il pubblico stesso a essere stato sottomesso in una condizione di ignoranza abissale. Ne fa fede un semplice fatto: sulla questione del riscaldamento globale, negli Stati Uniti il pubblico si divide in modo nettissimo secondo la linea politica tradizionale. I repubblicani non credono al riscaldamento, o comunque non credono che sia opera dell'uomo, mentre i democratici credono il contrario. La gente non è in grado di capire i termini di un dibattito scientifico. Lo assimila a un dibattito politico o a una trasmissione di intrattenimento senza rendersi conto di essere di fronte a un dibattito sulla nostra stessa sopravvivenza. Sopravvivere non è un concetto di destra o di sinistra e trovarsi di fronte a una scelta del genere ha poco a che vedere con i sondaggi dei programmi della domenica pomeriggio.

Lo stesso avviene per una serie di altri dibattiti e avviene altrettanto bene sia in Italia come negli Stati Uniti. E' tradizionale suddividersi in destra e sinistra per dibattiti prettamente politici: per esempio sulla questione della rappresentanza o su quella della distribuzione della ricchezza. Ma non va bene usare gli stessi metodi per discutere di questioni tecniche dove va sempre a finire che è la lobby più potente al momento a vincere. Vedasi la questione nucleare/rinnovabili che, in Italia, sta prendendo una preoccupante connotazione politica in termini di destra/sinistra. Eppure, neutroni e fotoni non sono di destra o di sinistra.

Quello di Al Gore è un libro di accorata denuncia che vale la pena di leggere. Ma, allo stesso tempo, è un libro sconfortante. Il degrado dell'informazione pubblica è arrivato a livelli irreversibili e - come nel vecchio detto Zen - non c'è buca che non si possa fare più profonda scavando. Molti di noi hanno fiducia nell'internet dove, in effetti, si trova anche della buona - a volte eccellente - informazione. Ma l'internet è il caos più assoluto di buono e di cattivo, con una netta prevalenza del cattivo. Per orizzontarsi, occorrerebbe un minimo di preparazione culturale che, putroppo, le patate da divano sembrano aver perso ormai da lungo tempo.

Molto di quello che stiamo vedendo succedere ultimamente al mondo sembrerebbe un tentativo di traformare le incertezze insite nel mondo reale nelle certezze tipiche del mondo virtuale televisivo. Sfortunatamente, il mondo reale, pur con tutte le sue incertezze e spiacevolezze, ha una sua ruvida solidità che lo rende normalmente vincitore (perlomeno a lungo andare) nello scontro col vellutato e soffuso mondo televisivo.

Siamo ancora in tempo a tornare in contatto con la realtà? Al Gore, nel suo libro, sembra fiducioso ma, purtroppo, può darsi che nello scontro fra la realtà e il mondo di fantasia qualcuno si faccia male. Speriamo di cavarcela senza troppi danni.

domenica, giugno 29, 2008

Analisi sulla Scelta Energetica

Guest-Post di Nazzareno Gottardi




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ANALISI SULLA SCELTA ENERGETICA

Di Nazzareno Gottardi

Nazareno Gottardi:
Laureato in Fisica all’Università di Milano è
nato nel ’41 (Milano) e vive in Lussemburgo. Ha un esperienza nucleare (fissione e fusione termonucleare) di quasi mezzo secolo. Ha svolto ricerche nei due campi al Politecnico di Milano, al Max Planck Institut für Plasma Physik und Extraterrestrische Physik di Garching (Germania), alla General Atomics, per la macchina Tokamak da fusione termonucleare ”DIII.D”, di S. Diego (California - USA) ed al Tokamak “JET” (Joint European Torus) del progetto di fusione termonucleare della Commissione Europea a Culham (Gran Bretagna). All’Euratom (Commissione Europea) si è occupato per 12 anni di salvaguardia nucleare degli impianti dei Paesi dell’UE, in particolare come responsabile del gruppo d'ispezione dei reattori di Francia, Inghilterra, Olanda e Spagna. Parallelamente all’attività di ricerca é stato insegnante in corsi di specializzazione post-universitaria e titolare, come professore a contratto, del corso di “Diagnostiche per macchine da fusione termonucleare” del Politecnico milanese.



Queste riflessioni sono state generate come reazione ad una dichiarazione alla stampa fatta da Luigi Paganetto, presidente dell’ENEA il 10 aprile scorso, e lasciate decantare ma ora, dopo il recente annuncio dell’onorevole Scajola, sull’auspicato ritorno al nucleare, penso che sia mio dovere esternarle, anche se nel contenuto non porteranno molto di più di altre reazioni simili. Credo però che in queste mie note ci sia un elemento che ho trovato rarissimamente nei dibattiti economici e tecnici sull’energia: la morale.

Conoscendo l’abituale reazione a quando si parla di morale e/o religione ho comunque deciso di rischiare il ridicolo, ma di aggiungere questo ingrediente anche quando parlo di energia perché ritengo che la situazione dell’Umanità sia grave. Considero infatti che per certi aspetti, se si fanno i debiti raffronti storici, ci si ritrova in una situazione di equilibrio instabile simile a quella precedente le due guerre mondiali. Nella presente situazione l’energia costituisce il fulcro dell’instabilità economica che, a causa della persistente pressione di gruppi internazionali di interesse finanziario, che hanno come solo obbiettivo il loro profitto materiale, incuranti della sofferenza della maggior parte degli esseri umani, può rovesciare il sistema da un momento all’altro e coinvolgere tutti in un nuovo conflitto globale.

Una grande differenza però con quell’epoca è che da più di 60 anni viviamo miracolosamente nell’era nucleare con un arsenale, che nel frattempo, ha raggiunto le 27 mila testate nucleari o termonucleari (Laurence Krauss: Closer to Armageddon. New Scientist. 17.02.2007 p. 18.) una parte delle quali superano i 50 megaton (milioni di tonnellate di TNT) di potenza distruttiva. Abbastanza da far apparire, in confronto, la tanto temuta bomba iraniana un “petardo” (comunque sia, sempre da una ventina di chilotonnellate di tritolo!). Personalmente, alla luce di fatti recenti della nostra storia, dove i più dei possessori di quelle armi usano, invece della morale, la politica del “dopo di me il diluvio!”, non mi sento di credere a nessuno di essi circa la promessa che non saranno utilizzate e quindi temo che più che il “terzo” questo possa essere l’ultimo conflitto mondiale.

Non possiamo permetterci che per l’egoismo e l’ambizione di pochi, l’intera Umanità paghi. Può darsi che il fatto che io, con più di 47 anni di esperienza di nucleare (fissione, fusione e salvaguardia), dia questo tipo di allarme susciti il dubbio di un effetto di senescenza. Spero però che qualcuno veda invece la probabilità, tutt’altro che nulla, che io e qualche altro si diventi delle Cassandre. Se ciò avverrà sarà ovviamente troppo tardi.

Per evitare ciò bisogna che il problema energetico sia risolto “subito”ed in modo soddisfacente per tutta l’umanità in modo che esso smetta di essere un pretesto pericoloso. Ecco perché propongo che tutti coloro che anche marginalmente vengono ad essere coinvolti nella questione energetica abbandonino qualsiasi impulso di interesse personale (che può spaziare dal profitto economico, al potere politico ed anche all’orgoglio scientifico) per una scelta morale a favore di tutta la comunità umana. Con questo non voglio dire che questo concetto debba essere relegato al problema energetico. Tutt’altro, basta nominare: sfruttamento delle risorse in generale, l’acqua, il cibo, l’ambiente, medicina, bioingegneria e genetica, etc....

Venendo alla dichiarazione del Professor Paganetto, dopo aver riflettuto trovo che, tutto considerato, sia positiva per la chiara intenzione di stimolare l’ambiente scientifico italiano alla ricerca nel campo nucleare e, quindi, in generale in altri domini ad alto contenuto tecnologico. Ciononostante non la condivido sui punti che andrò analizzando qui sotto. Se si osserva il dibattito sulla crisi energetica ed ambientale con un certo distacco si vede che, mentre sono tutti d’accordo che il problema è l’energia, gli argomenti addotti dai più, a parte le poche eccezioni degli “ambientalisti sinceri”, per la scelta del tipo da adottare sono per lo più accentrati su: quanto costa, che influenza avrà sull’economia, quanto è tecnicamente migliore, quanto è utile al nostro gruppo finanziario, alla nostra industria, alla nostra ricerca scientifica, e simili. Tutti hanno una soluzione da proporre e ragioni ben precise per suffragare le loro tesi. Resta da vedere quante di esse siano veramente indirizzate a risolvere il problema in modo che sia di vantaggio alla maggioranza degli esseri umani ed al Pianeta.

Se evitiamo di prendere in considerazione visioni poetico-filosofiche che vedono la Terra, esseri viventi di ogni specie inclusi, come una mitica creatura (Gaia?) e la consideriamo nel suo aspetto più materialistico, come corpo siderale fluttuante nello spazio, ci si può subito dimenticare del problema del nostro pianeta di per se stesso, poichè, qualunque sia la temperatura che esso raggiungerà o per quanto piccola diventerà la superficie delle terre emerse, esso sopravviverà fino a quando, tra qualche miliardo di anni sarà inghiottito dalla nostra stella. Il guaio è che a bordo di questo pianeta, una sorta di bioastronave, c’è il genere umano che, come ho accennato più sopra, può scomparire da un momento all’altro. Il problema della scelta della sorgente di energia ideale quindi, è essenzialmente umano e qualsiasi soluzione deve essere rapida e sufficientemente “abbondante” per garantire il futuro benessere di tutti.

Ecco quindi che bisogna aggiungere alla lista degli argomenti obbiettivi del dibattito energetico, quelli del tempo e della disponibilità entrambi imposti sia dall’enorme crescita della domanda di energia da parte di noi classici utilizzatori occidentali che quella delle nuove rapide “economie” rampanti ed anche di quella parte di essa che bisognerà finalmente dare al resto del mondo che non ha mai avuto niente.

Ma c’é ancora un altro argomento di valutazione della scelta della sorgente energetica a cui pochi pensano o non vogliono considerare: la morale.

L’umanità per vivere deve supplire ad alcune necessità materiali di base come aria, acqua, cibo etc. Poter soddisfare queste necessità è un un diritto fondamentale per tutti, senza distinzione di razza, genere e credo. Negare ad un essere umano l’accesso a questi diritti è immorale. Ne consegue quindi che qualsiasi azione volta all'approvvigionamento dell’energia, che è la principale necessità di base dell’Umanità, deve essere guidata dalla morale. Morale di una religione o di un’altra o laica poco importa, importante é che il rispetto delle sue regole garantisca la sopravvivenza ed il benessere dell’Umanità.

Per quanto stonata suoni questa affermazione in un contesto che sembra puramente tecnico-economico è la sola che indichi una via che permetta di prendere decisioni immediate in momenti critici come l’attuale dove, ripeto, i fattori tempo e disponibilità ci impongono di non tergiversare lasciandoci coinvolgere in futili dispute che possono solo giovare a piccoli potenti gruppi che continuano a controllare questo bene universale.

Per inciso: forse è superfluo, perché chiaramente sottinteso, ma preferisco sottolineare espressamente, che con quello che si sa sui danni ambientali ed altro e sapendo con certezza dell’esistenza di altre fonti di energia, pulite e, sulla scala temporale umana, praticamente inesauribili, il continuare l’uso del fossile (carbone e petrolio) come fonte di energia è assolutamente immorale.

Il fattore tempo è importante per tutti coloro che credono nell’umanità come un corpo dinamico che si sviluppa di generazione in generazione lungo l’asse dei tempi e non soltanto un’entità limitata alla nostra breve esistenza. Con questa idea in mente si vede la necessità di agire immediatamente non solo perchè sulle generazioni future peseranno le conseguenze climatiche e perchè ad esse non rimarrà neanche una goccia della preziosa materia prima, “petrolio”, che ostinatamente continuiamo a bruciare, rassicurati da questa o quella notizia sul ritrovamento di nuovi giacimenti, ma anche perché il perdurare della situazione mondiale degli ultimi sette anni, potrebbe condurre ad un conflitto di proporzioni gigantesche per l’accapparramento delle risorse energetiche. E questo, sarebbe veramente un atto di estrema assurda immoralità se si considera che “là fuori” c’é energia solare (diretta od eolica) pulita a portata di mano per migliaia di volte di più di quella che l’umanità necessita.

Con essa si risolverebbe quindi non solo il problema della disponibilità, ma anche la questione morale, poichè, grazie all’abbondanza ed alla “relativa facilità di approvigionamento”, finalmente il suo impiego può favorire tutti gli esseri umani. Tornando al tempo: sappiamo benissimo che si dovrebbe produrre energia solare subito, ma è materialmente impossibile... è già tardi, perché ci vorranno comunque decenni per completare tutti gli impianti che ci permettano di rovesciare la dipendenza dal combustibile fossile. Certo è che si deve cominciare immediatamente e su ampia scala.

Rispetto ad altre fonti infatti, come per esempio le centrali nucleari, che devono essere essere fornite in unità complete che richiedono lunghi periodi di costruzione e sono basate su tecnologie speciali, l’energia solare (fotovoltaica o a concentrazione) ha il vantaggio della crescita continua o modulare su piccola e/o grande scala. Vale a dire che, se per esempio, ci si riferisce alla raccolta mediante captatori fotovoltaici, si può cominciare immediatamente partendo da piccole aree e continuare a costruire le successive, mentre si utilizzano quelle già pronte, parte per alimentare il consumo pubblico e parte per fornire energia per la costruzione dei moduli successivi. Inoltre, poiché il knowhow è di dominio pubblico, essa sarebbe alla portata di tutte le Nazioni, anche a quelle con limitate conoscenze tecnologiche; esse sono normalmente le più povere e, guarda caso, con enormi disponibilità di terre aride.

Se un giorno la ricerca scientifica ci darà nuovi captatori più efficienti, non si farà altro che installarli direttamente e/o sostituire quelli più vecchi, quando questi avranno esaurito la loro funzione. Quelli attuali sono facilmente disponibili e, sebbene con un massimo di efficienza di conversione solare-elettrico del 15%, sono “più che sufficienti” per soddisfare le necessità globali giocando sull’aumento di superficie esposta: l’abbondanza dei territori utili per la raccolta di questa energia è infatti, enorme, anche escludendo i grandi deserti che ovviamente potrebbero risolvere il problema all’eccesso.

Non faccio mistero che, se nel proiettarmi sulla visione di un lontano futuro, nel mio concetto di soluzione energetica penso essenzialmente all’Umanità come ad un tutt’uno, non mi proibisco di preoccuparmi anche della realtà europea e di quella italiana. Prediamo appunto il caso del nostro Paese: secondo le statistiche fornite dai nostri ministeri all’ONU, nel sud e nelle isole abbiamo 16000 km2 di zone aride e semiaride.

Con calcoli che mi sembrano abbastanza ragionevoli si può valutare che, con le favorevoli costanti di insolazione alle loro latitudini, per ogni 100 km2 coperti con il materiale PV attuale ci si può aspettare una produzione di energia elettrica continua equivalente a quella prodotta da una centrale da un GWel . Questo dato tiene anche conto dello stoccaggio temporaneo di idrogeno od altro vettore energetico per compensare mediante riconversione la periodicità e variabilità di questa fonte. Per tutto il territorio nominato si potrebbe ottenere quindi l’equivalente di160 GWel di potenza continua installata. Naturalmente se si usano parametri più ottimisti, nuovi tipi di captatori ed impiego diurno diretto dell'elettricità per attività macro-energivore (esempio: industria pesante e fonderie) essi potrebbero aumentare considerevolmente. Questa produzione, come vedremo tra poco, potrebbe coprire il fabbisogno nazionale.

Tutto ciò è sicuramente alla portata delle nostre conoscenze, essenzialmente di fisica dello stato solido ed elettrotecnica di base, e delle nostre capacità tecniche ed industriali poiché si tratta di carpenteria metallica leggera per le strutture o pesante quando si passa alla costruzione di compressori, di turbine ed alternatori che fa comunque parte del nostro bagaglio tecnico (qui sto parlando del nostro Paese).

Ben diverso è il caso del nucleare: una tecnologia stupenda ed utile se non ci sono altre alternative come è il caso ora nella fase di transizione tra il passato fossile e l’inevitabile futuro alternativo. La realtà infatti è che nel mondo ci sono circa 400 centrali che contribuiscono a circa il 16% della produzione di elettricità nel mondo.

È quindi buona cosa utilizzarle e, poiché per quanto lentamente dovranno essere chiuse per vecchiaia, mentre il traguardo di funzionamento a sola energia alternativa è ancora piuttosto lontano, a causa dei freni imposti essenzialmente dal “business del fossile”, il “buonsenso nucleare” suggerisce che,sarebbe bene rimpiazzarle. Rimpiazzarle con cosa? La mia proposta è di sostituirle con centrali che usano nuovi reattori PWR, ma ancora della cosiddette generazione II o III, che sono tra le migliori in Europa, e non quelli della IV generazione, ancora in stadio di sviluppo.

Qui sta quindi un punto di dissenso dalla dichiarazione del presidente dell’ENEA secondo la quale se l’Italia rientrando nel nucleare non si dedicasse a questa nuova tecnologia, che promette più “efficienza e più sicurezza” (l’enfasi è mia), si rischierebbe di produrre centrali che sarebbero “obsolete nel giro di vent’anni”. Secondo me, supposto che ci si possa mettere a fabbricare centrali nucleari a spron battuto per essere pronti a sostituire il combustibile fossile per il 2050 la soluzione più pratica sarebbe quella di costruire proprio quelle centrali che “tra vent anni sarebbero obsolete”. Questo per due motivi: il knowhow tecnico e le capacità industriali sono ancora a disposizione (anche se non direttamente in Italia) e, soprattutto, perché con almeno 6000 anni-reattore di esperienza della II generazione è la soluzione più “sicura”. Nel frattempo si può anche continuare a costruire e sviluppare i reattori della III e III + (per intenderci il tipo EPR), perché con le loro caratteristiche dichiarate non si discostano di molto da quelle della precedente, mentre avranno certamente una migliore efficienza. La loro temperatura, per esempio, rimane sempre molto al disotto del punto critico di 373°C e non è molto lontana da quella di una vecchia locomotiva. Una situazione completamente diversa si presenta con i reattori della IV generazione. Per ragioni di spazio non posso qui enumerare le caratteristiche dei sistemi presentati, per esempio, nel documento del DOE (A Technology Roadmap for Generation IV Nuclear Energy Systems: US DOE Report GIF-002-00.) dove tra l’altro vengono definiti “più promettenti”. Essi avrebbero efficienze superiori a quelle della generazione precedente e la maggior parte di essi, essendo autofertilizzanti permetterebbero di prolungare l’utilizzo del combustibile nucleare al di là della fine dell’U235.

Mi limito a segnalare soltanto che, mentre mi trovo abbastanza propenso ad accettare, purché sia dotato di una statistica soddisfacente di “assenza di incidenti”, uno di essi, il modello SCWR , Supercritical-Water-Cooled Reactor, il cui circuito primario viene raffreddato ad acqua che all’uscita si trova in condizione di supercriticità con una temperatura di di 510°C, mi oppongo a tutti gli altri, perché ritengo che siano tutti al limite delle conoscenze acquisite della tecnologia mondiale attuale.

Ne cito soltanto uno, il VHTR, Very-High Temperature Reactor, che è un reattore veloce (per intenderci come lo era il vecchio Phénix) da cui differisce per il raffreddamento ad elio e non al sodio, ma che marcia a temperature superiori ai 1000 °C! L’acciaio ad ottocento gradi emette una luce color rosso cupo ed a 1000°C è di un bell’arancione. Non vedo proprio la necessità di mettere uranio in macchine funzionanti a quella temperatura anche se ci generano la metà del plutonio necessario per alimentare un secondo reattore. Io certamente, pro nucleare convinto (se non c'è altro), sarò sempre scettico! Questa macchina viene propagandata sia per la supposta altissima efficienza nel produrre energia elettrica, anche > 50% rispetto a “solo” 32-35% dei vecchi PWR, che per la sua capacità di produrre “idrogeno”: la parola magica che dovrebbe presentare questo “Mostro”come valida alternativa..... alle energie alternative.

Per controbattere l’assurdità di questa tesi ricordo solo che l’idrogeno prodotto con un reattore nucleare, in contrasto con quello prodotto, per esempio con l’energia solare, inquinerà termicamente il pianeta mettendo in circolo con il sistema di raffreddamento una quantità di energia molto più grande di quella immagazzinata e contribuirà all’inevitabile produzione di scorie radioattive. Un bilancio assolutamente negativo.

Si ha il sospetto che tali proposte vengano fatte con l'intento di mantenere la produzione di energia del dopo-petrolio nelle mani del pugno di Nazioni che hanno la conoscenza tecnologica per gestire, a rischio, tali macchine. L’espressione “sistemi più promettenti”, infatti, che compare nel documento citato significa che questi reattori sono ancora in fase di ricerca. Nonostante le dichiarazioni di “sicurezza”, quando uno di questi modelli potrà fornire una “sufficiente” garanzia basata sul funzionamento reale, il petrolio sarà probabilmente finito da qualche decennio. Questo detto però non mi impedisce di trovare positiva la proposta del presidente dell’ENEA che i nostri ricercatori si dedichino allo studio di questo tipo di reattori che certamente, purtroppo, verranno costruiti in altre nazioni.

L’importante è che nel nello sviluppare ed/od acquisire questo speciale know-how nucleare, che comunque potrà avere una ricaduta positiva sulle nostre conoscenze scientifiche, essi non pesino sulle casse della nostra ricerca con un anacronistico impianto sperimentale. Spero soprattutto che non si finisca per far da cavie comperando una simile centrale che, anche se dichiarata collaudata, rimane un esperimento per quanto riguarda la sicurezza.

Certo l'U235 finirà presto ed il Pu239, come sottoprodotto dei LWR, anche ma c'è certamente la tecnologia bene e lungamente sperimentata e “non a rischio” dei CANDU che funzionano normalmente ad uranio naturale con acqua pesante come moderatore (HWR). Essi possono anche produrre e/o consumare plutonio, ma soprattutto possono fertilizzare il Th232 ad U233 prolungando la durata del combustibile nucleare di altre migliaia di anni senza passare per i reattori veloci. Nel campo dei reattori fertilizzanti c’è anche la possibilità reale (sebbene remota per ora) di produrre gli stessi combustibili menzionati per il CANDU con i reattori ibridi fusione-fissione a cui accennerò più sotto.

Ora, mantenendomi sul favorevole per la provvisoria sostituzione dei vecchi reattori con quelli della III generazione per quelle Nazioni che ne dispongono, quanti ne dovremmo far costruire perché l’Italia possa staccarsi dalla dipendenza dal combustibile fossile per produrre energia elettrica? Secondo alcune statistiche, avremmo bisogno grosso modo di 45 GWel di potenza installata. Questo vorrebbe dire che, trascurando l’eventuale aumento della domanda, da qui al 2050 avremmo bisogno di almeno 40 centrali, vecchia generazione, o qualcuna di meno se si produrranno quelle della III generazione.

Se poi si volesse sostituire il fossile anche per trazione, riscaldamento etc. via idrogeno od altro vettore energetico, senza prendere in considerazione le perdite termodinamiche per la produzione di detto vettore, avremmo bisogno di un’ulteriore iniezione di 220 GW, vale a dire circa 190 centrali.

Tornando agli EPR, che non sono ancora in funzione a causa del tempo di progettazione, dell’iter amministrativo per l’accettazione pubblica e della costruzione vera e propria dei prototipi, anche se per i successivi il tempo di realizzazione si riducesse a quello delle centrali con reattori della vecchia generazione sarà sempre dell’ordine di qualche anno.......

Non credo che nessuno potrà sostenere che nel nostro Paese, dopo decenni di stillicidio antinucleare con conseguente decimazione di ingegneri, tecnici e maestranze qualificate si sia in grado di raggiungere questo obbiettivo. A chi proponesse di far costruire queste centrali all’estero dove la situazione ingegneristica ed industriale in questo settore è decisamente migliore (grazie anche all’impiego di molti nostri scienziati e tecnici) si ricorda che il problema della conversione energetica è globale. Con rapidi calcoli si ha che per soddisfare le necessità mondiali, senza prendere in considerazione lo sviluppo rapidissimo delle potenze industriali emergenti, si ha bisogno di più di 13.000 reattori. Centrale più, centrale meno questi sono dati difficilmente confutabili. Bisognerebbe costruire un reattore al giorno.

(Le due frasi che seguono tra virgolette facevano anche parte delle riflessioni dell’aprile scorso. Le ho lasciate sottolineate perché, dopo la proposta governativa di ritorno al nucleare, sono quelle che mi hanno stimolato a render pubbliche queste idee).

“È evidente che la fissione, per quanto migliore sia tra i fornitori di energie non rinnovabili, non è la soluzione. Spero che i responsabili della nostra economia non si lasceranno tentare di dire alla popolazione il contrario”

Anche l’eventuale argomento che il nucleare costi meno del solare non regge più perché, essendo l’energia un diritto fondamentale, dovrebbe essere garantita dalla comunità. Come tale i confronti fra i diversi sistemi di produzione non devono essere fatti valutando i costi ed i profitti in denaro, che dipendono da fattori essenzialmente di mercato, ma in puri temini energetici usando il rapporto EROEI (Energy Return On Energy Invested). Purtroppo anche questo criterio, che per me è il più morale, si presta a manipolazioni. Bisogna quindi verificare la sorgente di questo calcolo. Nel caso del nucleare per esempio io sono convinto che sebbene sia migliore di quello delle energie fossili (Energia Nucleare: Una Soluzione?) non è certamente superiore a quello del solare fotovoltaico e, questo, nell’ipotesi di non avere incidenti basandosi sul positivo ruolino di marcia dei reattori della presente generazione. Chi potrebbe altrimenti, calcolare a priori il “prezzo in energia” della rimessa in sesto dell’ambiente a seguito di un incidente nucleare che invece, per sua natura, il solare non avrà mai?

Un’altra leggera critica alle dichiarazioni del Presidente dell’ENEA riguarda l’entusiasmo per la fusione termonucleare rappresentata dal progetto ITER, che a suo tempo era stato il simbolo di una nuova epoca di cooperazione mondiale alla fine della guerra fredda. È triste vederlo presentare, dopo oltre un decennio di boicotto da parte di "certe Nazioni" e conseguente ritardo sulla sua partenza, come la soluzione energetica globale quando si sa già che realisticamente non sarà pronto prima di 20 anni. Penso che sia utile ricordare che si tratta di un esperimento intermedio, una macchina che se tutto va bene avrà un Q (rapporto tra la potenza prodotta dalla fusione e quella immessa dall’esterno per scaldare il plasma) di 10, ancora piuttosto lontano da quello di un reattore di potenza.

Visti gli antecedenti della ricerca sui Tokamak di potenza non è difficile prevedere che ci vorranno altri 25 anni prima di avere il primo reattore, Demo, e molto di più, prima di avere un vero reattore produttore di energia. Con il Q aumentano i problemi legati all’enorme flusso di particelle verso la prima parete della macchina e che, anche tralasciando il problema della generazione di impurezze che raffreddano il plasma, la sottopongono a stress sconosciuti a qualsiasi altro materiale finora prodotto.

Detto questo devo quindi aggiungere che, mentre si è quasi certi di un successo per una Tokamak a basso Q come ITER rimane comunque il dubbio se veramente la scienza dei materiali farà nei prossimi decenni un salto di qualità sufficiente per darci il materiale adatto per costruire la prima parete di un vero reattore di potenza, con un Q > 30, che possa resistere a quei flussi per qualche anno di funzionamento regolare.

Certamente (per me) questo materiale non ci sarà comunque quando si arriverà all’Ignizione, il sogno di tutti gli addetti ai lavori. Essa corrisponde alla situazione in cui il plasma viene riscaldato direttamente dalle particelle alfa generate dalla fusione senza iniezione di energia dall’esterno. Questa condizione,tuttavia, non è necessaria per avere un reattore di potenza redditizio. Quello che pochi sanno però è che una macchina a fusione a basso Q sarebbe già sufficiente per diventare un generatore di energia nucleare di potenza se la si ricoprisse con un opportuno mantello (blanket) contenente per esempio U238.

Un tale congegno viene chiamato “reattore ibrido fusione-fissione” (vedi figura all'inizio) in cui i parametri della parte fusione sono molto simili a quelli di ITER. Ne accenno perché in questi giorni, sull’”onda nucleare”, da più parti vengono proposti, o riproposti sotto nuovi nomi, progetti di reattori già esaminati nel passato e che, vista l’urgenza attuale di produrre energia, e.... pulita dovrebbero restare solamente a livello di informazione accademica.

Un reattore ibrido fusione-fissione costituisce un dispositivo nucleare formato da una sorgente di neutroni (il reattore a fusione stesso) ed un mantello (blanket) contenete per esempio U238. Esso si comporta come un moltiplicatore della sorgente di neutroni ad alta energia provenienti dal plasma della fusione che agiscono sull’U238 contenuto nel mantello sia producendo fissioni, e quindi nuovi neutroni, sia per mantenere la reazione energetica, che per procedere alla trasformazione dell’uranio in Pu239.

L’idea della sua costruzione data dal 1955, agli albori della fusione, con Lawson, quando Q=1 era ancora un sogno. È stato riproposto da Bethe nel 1979 (H.Bethe: The Fusion Hybrid. Physics to day. 05.1979) e, dopo il raggiungimento di Q=1 in Tokamaks come l’europeo JET, continua ad essere oggetto di studio da parte di pochi come alternativa promettente.

Basterebbe che la parte fusione abbia un guadagno Q di 5 ed il mantello (blanket) fornisse un fattore di moltiplicazione di fissione di 5 per arrivare ad un fattore di moltiplicazione complessivo di energia di 25, valore sufficiente per un generatore di energia proficuo (Paul Rebut: Reflexions on Fusion Future. EC Report XII-109/96) . Per quanto riguarda la “sicurezza”, la parte a fissione di questa configurazione corrisponde a quella di un "insieme sottocritico” moltiplicatore di neutroni nella fase lineare, quindi non divergente, intrinsecamente sicuro: se il plasma si spegne allora Q≡0 quindi 0•5=0 segue che il reattore si spegne.

Giocando sul contenuto del blanket si può quindi scegliere se usare questa macchina come produttore diretto di energia o come fertilizzante, che cioè produce Pu239 a partire dall’U238 od U233 a partire dal Th232 per i reattori della terza generazione per molto di più di 10 mila anni!
Un’altra caratteristica è quella di poter degradare, per bombardamento neutronico nel mantello, i temuti prodotti di fissione a vita breve e gli attinidi generati dai reattori a fissione convenzionali.

Per quanto meravigliose possano essere queste macchine avranno un senso soltanto in un lontanissimo futuro, per esempio, come backup dei generatori solari in caso di una catastrofe naturale che bloccherebbe la produzione di elettricità dal solare per un certo tempo. In quel caso esse potranno intervenire direttamente nella fase di emergenza. per sopperire l’idrogeno mancante insieme ai reattori nucleari convenzionali per i quali esse avranno prodotto in anticipo il combustibile nucleare necessario. Suona un po’ fantascienza, ma esse saranno veramente il backup dell’energia rinnovabile futura.

Tornando alla morale ed alla realtà attuale: per tutto quel che ho detto più sopra, un impiego di capitali, di energia fossile e di cervelli per questo o altri tipi di ricerche non orientate a togliere nel più breve tempo possibile l’umanità dalla pessima situazione in cui ci troviamo è immorale. Non vedo infatti una ragione giustificabile per continuare a proporre soluzioni tecnologiche eccezionali (non solo nucleari) quando, come accennato più sopra, con il solare abbiamo a disposizione ben 8500 volte più energia di quanto l'intera Umanità ne abbisogna, e questo solo come "solare diretto" senza considerare che l'eolico ce ne darebbe un'altra grossa fetta, particolarmente interessante per le regioni dove il solare non è utilizzabile.

Per fare questo bisogna partire immediatamente con la costruzione di impianti modulari. Nella staffetta energetica ci vorranno almeno 40 anni di lavoro a livello mondiale per arrivare a prendere il testimonio lasciato dal petrolio in esaurimento per ripartire verso l’indipendenza energetica totale dal fossile.

Bisogna guardare in faccia la realtà e produrre qualcosa per la comunità. Bisogna inoltre prendere la determinazione di mettere da parte l’appoggio a tutte le proposte che nascondono degli interessi personali. Per fare qualcosa di concreto a livello nazionale io propongo che il nostro Governo consideri di la “colonizzazione” dei summenzionati16000 km2 di terre aride e/o semi-aride per raccogliere energia. Con un progetto del genere si potrebbero creare un’enorme numero di posti di lavoro e molte opportunità per la nostra industria. Dalla produzione dei cristalli di silicio alle celle a combustibile; dalla rete di distribuzione a basse perdite alla sua gestione basata su tecniche IT; dai compressori ad alta pressione alle turbine per i generatori elettrici; dalle strutture di supporto in carpenteria leggera ai giganteschi serbatoi di stoccaggio dell’idrogeno; dagli alternatori ai rifasatori; dalle reti di distribuzione dell’idrogeno allo studio, lo sviluppo e la realizzazione della conversione generale di tutti i “motori”od utilizzatori di energia attuali verso il tutto-alternativo via elettrico, idrogeno, e/o altro vettore energetico, eccetera.

E la morale? Per essa c’è spazio in abbondanza: a partire dalle scelte tecniche che devono essere fatte immediatamente fino alla realizzazione finale: ogni passaggio presenta per le persone coinvolte una scelta morale...dallo scienziato, al politico, all’amministratore, all’ingegnere, al capo di un’industria, al proprietario terriero, alle banche, al tecnico, al singolo operaio....non ho bisogno di scendere in particolari.

Tutti coloro che come me si sono resi conto ed ora sono convinti della realtà del solare e dell’eolico hanno il dovere morale di insistere a passare questo messaggio, indifferenti al rischio di essere messi in ridicolo. Messi in ridicolo.... da chi? Comunque sia, i detrattori riusciranno a ritardare questo processo di rinnovamento energetico di qualche decennio (sempre che il loro contributo all’instabilità economica non sia troppo grande da causare la nostra scomparsa): questa del solare (e dell'eolico) sarà la soluzione finale. Vi suona un po' Rifkin? E perché no?

L'Umanità ha bisogno di energia e pulita: ce n’è in eccesso. Diamoci sinceramente da fare per dargliela!


Glossario:

LWR: Light Water Reactor, Reattori ad acqua leggera
HWR: Heavy Water Reactor, Reattori ad acqua pesante
PWR: Pressurized Water Reactor, Reattore ad acqua in pressione
EPR: European Pressurized water Reactor, Reattore europeo ad acqua in pressione.
PV: Photo Voltaic, fotovoltaico.
TNT: TriNitroToluolo, tritolo.
DOE : Department Of Energy, Ministero dell’energia del Governo U.S.A.
CANDU: CANadian Deuterium Uranium reactor.
ITER: International Thermonuclear Experimental Reactor.
JET: Joint European Torus



sabato, giugno 28, 2008

Thanks to the cabbage!

Il futuro visto dall'International Energy Agency (IEA). Crescita della produzione petrolifera
sempre e comunque almeno fino al 2030.



Qualche tempo fa, a un convegno organizzato dalla Commissione Europea a Bruxelles, mi sono trovato a dibattere di fronte alla platea con un economista dell'IEA (International Energy Agency). Gli ho fatto notare, forse con un pizzico di cattiveria, come la sua agenzia avesse più di una volta mancato clamorosamente le previsioni dei prezzi e, in particolare, nel loro rapporto del 2006 avesse completamente mancato di prevedere il declino produttivo del Messico degli ultimi tempi. Lui mi ha risposto che non era colpa loro; "La colpa è di chi non ha fatto gli investimenti necessari"

Ho pensato di rispondergli come si sarebbe meritato. Il dibattito, però, si svolgeva in inglese e non avrei saputo esattamente come tradurre il concetto che mi era venuto in mente. Babelfish lo avrebbe tradotto, presumo, come "thanks to the cabbage," ma questo non avrebbe avuto l'effetto desiderato. D'altra parte, non ce ne è stato bisogno dato che le figuracce fatte dall'IEA nei suoi ultimi rapporti sembravano essere ben note a tutti i partecipanti al convegno.

Bene, questo avveniva a Settembre dell'anno scorso. Nonostante che il petrolio a quel tempo si avvicinasse già ai cento dollari al barile, questi dell'IEA continuavano a sostenere di aver ragione e che la produzione avrebbe continuato ad aumentare e i prezzi si sarebbero abbassati, come mi ha ancora ribadito quel tale durante la pausa pranzo. Mi domando che cosa tireranno fuori oggi che siamo a 140 dollari il barile e le loro proiezioni volevano che dovevamo essere intorno ai 35.

Se sono tutti come quel tale che ho conosciuto a Bruxelles, credo che insisteranno a parlare di crescita lineare della produzione e di prezzi in ribasso. Sembrerebbe una forma di ossificazione mentale. Si sono occupati di petrolio per talmente tanti anni che ormai anche il loro cervello naviga ormai dentro un bagno di petrolio invece che nel liquido cefalorachidiano.


venerdì, giugno 27, 2008

L'amaro sapore del postpicco: cala il traffico negli USA


La riduzione del traffico negli Stati Uniti in termini di miglia totali percorse. Un cambiamento epocale; niente del genere si era visto a partire dall'ultima grande crisi petrolifera degli anni settanta.
Grafico da US department of transportation


Comincia a colpire il post-picco. Ancora sono tendenze, ma sono chiare. Dall'America arriva la notizia che, per la prima volta negli ultimi 25 anni, il numero totale di miglia percorse dai veicoli stradali è sceso. E' un cambiamento veramente epocale per un paese che era stato, ed è tuttora, la civiltà dell'automobile.

Come vedete bene dalla figura, il cambiamento di tendenza è cominciato già da qualche anno, in coincidenza con gli aumenti dei prezzi del petrolio. Il mercato reagisce agli aumenti riducendo i consumi; un comportamento da manuale di economia. E questo con buona pace di quelli che dicevano che il consumo di carburante era "perfettamente anelastico" e che non saremmo mai arrivati a una riduzione dei consumi.

Di per se, la riduzione del numero di miglia percorse negli Stati Uniti non è una catastrofe, anzi, sotto molti aspetti e una cosa buona per l'aria, per la salute, e per tante altre cose. Il problema è che cosa succede se la tendenza si accentua rapidamente in un mondo in cui quasi tutti dipendono dall'automobile anche per le necessità più elementari. Ci sarà tempo di riconvertire la società a uno stile di vita che possa fare a meno dell'automobile? Forse; ma la cosa potrebbe essere molto difficile e comportare dei disagi tali che potremo realmente parlare di una catastrofe.

Molte volte mi hanno dato di catastrofista per aver detto che andavamo incontro a questo tipo di cose. Sembrerebbe che i catastrofisti dovrebbero essere contenti di vedere le loro predizioni avverarsi. Bene, vi dirò che, personalmente, non ne sono affatto contento. Sarò un catastrofista, ma le catastrofi non mi piacciono per niente.

In fondo, mi sembra di aver sempre sperato che queste nostre predizioni di sventura fossero per un futuro un po' più lontano di quanto ci sembrasse. Avevo sempre pensato che il messaggio sarebbe passato prima di arrivare al picco, che avremmo fatto qualcosa, che non saremmo arrivati a questo punto così completamente impreparati. E, invece, ci siamo arrivati; e che siamo impreparati non c'è nessun dubbio.

In un certo senso, chi - come noi di ASPO - aveva previsto quello che sta succedendo ne è più duramente colpito di chi, invece, non ci credeva o non ne sapeva niente. Per queste ultime categorie, c'è sempre il conforto di pensare che quello che vediamo sia solo un'oscillazione, una crisi di quelle periodiche; l'opera dei vari cattivi di turno: gli speculatori, Al Qaeda, gli Sceicchi, i Rom, o chi altro.

Invece, quello che vediamo non è un'oscillazione momentanea. E' il primo sintomo della china che ci apprestiamo a scendere. Da qui in poi, ne vedremo di cose. Un giorno, risaliremo grazie all'energia rinnovabile, ma non sarà tanto presto.


Nota aggiunta posteriormente: non sono riuscito (per ora) a trovare un grafico equivalente per l'Italia, comunque qui le cose vanno probabilmente anche peggio che negli Stati Uniti. Mi limito a fare copia e incolla di un comunicato del sindacato dei consumatori (ADOC) apparso il 13 Giugno (e poi danno a me del catastrofista!).

Confermata la stima preliminare dell’Istat sull’inflazione di maggio, salita dal 3,3% di aprile al 3,6%, trainata dal rincaro dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto e dei carburanti. Per l’Adoc grave la ripercussione sui consumi e sull’utilizzo dell’automobile. “I continui rialzi dell’inflazione hanno spinto un automobilista su dieci, circa 2 milioni di persone, a non utilizzare più l’auto – dichiara Carlo Pileri, Presidente dell’Adoc – mentre 6 milioni, circa uno su cinque, la utilizzano solo una volta alla settimana. In totale, 8 milioni di automobilisti che hanno modificato radicalmente le loro abitudini. E prevediamo che entro fine anno circa la metà degli automobilisti italiani userà la macchina sporadicamente. E’ un dato da tenere in conto per modificare il regime assicurativo, favorendo la stipula di polizze sul reale utilizzo del mezzo. In questo modo si dimezzerebbero i costi dell’Rca”. La riduzione dell’utilizzo dell’automobile è confermato, per l’Adoc, dai cali del consumo di benzina e gasolio. “Il consumo di carburanti è diminuito del 28% rispetto ad un anno fa – continua Pileri – in un anno il costo del gasolio è aumentato del 38%, quello della benzina del 26,2%. L’incremento delle assicurazioni Rca è stato mediamente del 7%. La crisi economica delle famiglie si sta così acutizzando che sta prendendo piede un nuovo fenomeno: sempre più anziani pensionati, solo a Roma se ne stimano oltre 2mila, rovistano tra i banchi dei mercati dopo la loro chiusura, in cerca di frutta e verdura. Una fotografia di un grave disagio sociale”.


mercoledì, giugno 25, 2008

Qualcuno specula sulla speculazione

Da un po’ di tempo è in azione un piccolo esercito di opinionisti della stampa nazionale, intento a diffondere il sospetto che l’aumento dei prezzi del barile dipenda principalmente dalla speculazione finanziaria e a inoculare il dubbio nell’opinione pubblica che le recenti previsioni di ulteriori aumenti siano finalizzate ad alimentare nuova speculazione. La conseguenza inevitabile di questa posizione è un falso ottimismo sulla disponibilità futura di risorse petrolifere mondiali.

Ma quali sono gli elementi su cui si basano queste valutazioni? Sostanzialmente una sola, la presunta, enorme dissociazione tra produzione effettiva di petrolio e volumi scambiati sui mercati finanziari dei futures.
Ha iniziato Roberto Capezzuoli sul Sole 24 Ore, nell’articolo “La trappola del greggio virtuale”, sottolineando che ogni giorno al Nymex vengono scambiati oltre un miliardo di barili di petrolio, mentre nelle stesse ore i pozzi del pianeta pompano non più di 85 milioni di barili. Ha proseguito Gianfranco Polillo dalle pagine del Riformista, che nell’articolo “Goldman Sachs non è Ricardo”, informava i lettori che era stato chiuso dalle autorità il New York Mercantile Exchange per un eccessivo squilibrio tra domanda e offerta, in quanto “sono stati trattati circa l’equivalente di 1 miliardo di barili contro una produzione pari ad appena 85 milioni” e il diafano vate Federico Rampini su La Repubblica ha spiegato nell’articolo “Il casinò del greggio virtuale” che “al Nymex ormai i contratti di futures del petrolio movimentano un miliardo di barili al giorno, tutti virtuali: mentre la produzione del greggio vero è di soli 85 milioni di barili al giorno. La quantità di carta finanziaria che viene scambiata è immensamente superiore ai consumi mondiali di idrocarburi”. Maurizio Ricci sullo stesso giornale rafforza il concetto nell’articolo “Così il barile di carta sconvolge i mercati, boom delle scommesse e il prezzo vola”, spiegando che “Al Nymex, il mercato del greggio di New York, si scambiano ormai, ogni giorno, 1,5 miliardi di barili di carta, secondo la Platts, uno dei più accreditati osservatori del settore, cioè 17 volte la produzione quotidiana di greggio del mondo”.

L’altra sera, al ristorante, un mio amico ha ripetuto più o meno con le stesse parole le motivazioni dei giornalisti, per attribuire alla speculazione gli alti prezzi del petrolio, e in quel momento ho capito che era nata una vera è propria leggenda metropolitana, quella del “miliardo di barili di petrolio virtuali”. E che, come per tutte le leggende metropolitane, è necessario sfatarla.
Se si consulta il sito del Nymex, si può tranquillamente verificare che i contratti futures scambiati in un giorno, con una precisa scadenza, ad esempio il mese successivo, anche se superiori, sono dello stesso ordine di grandezza della produzione giornaliera di petrolio. Quindi, da dove viene fuori quel famoso miliardo di barili? Ecco svelato l’arcano: sui mercati internazionali di contrattazione del petrolio si effettuano scambi con scadenze diverse, fino al 2016. Proprio sommando i barili scambiati da qui al 2016 si ottiene il leggendario miliardo che tormenta i sonni dei nostri giornalisti. Quindi non solo è evidente l’improprio abbinamento di questo volume d’affari pluriennale con la produzione giornaliera di petrolio, ma addirittura se ne potrebbe trarre la conseguenza opposta, perché 1 miliardo di barili rappresenta una quota irrisoria del petrolio che sarà prodotto entro il 2016.

Naturalmente, una componente speculativa in un mercato caratterizzato dalla crescita esponenziale dei prezzi è sicuramente presente e probabilmente trova sbocco nel fiorente mercato dei fondi derivati delle materie prime, che riversa risorse sul petrolio inflazionandone il prezzo, ma non bisogna lasciarsi ingannare. La causa principale è nei fondamentali economici della domanda e dell’offerta, con una produzione mondiale che non potrà più crescere, a fronte di una maggiore richiesta proveniente prevalentemente dai paesi emergenti.
Qualche giorno fa, da una fonte non sospettabile, il Ceo della Total, Christophe de Margerie sono venute parole chiarificatrici: “Oggigiorno siamo in presenza di qualcosa che automaticamente impedira' un crollo dei prezzi, cioe' che il costo per rinnovare produzione e riserve si aggira piu' o meno sugli 80 dollari al barile, cosa che gia' in se' pone dei limiti tecnici. Quelli che dicono che possono scendere sotto questa soglia si sbagliano. Naturalmente c'e' un elemento di speculazione ma spiegare che i prezzi petroliferi sono saliti da 12 a 130 dollari per la speculazione e' da ignoranti o semplicemente da stupidi". "I rubinetti - ha proseguito - sono aperti al massimo. Le aziende petrolifere producono tutto quello che possono. Solo l'Arabia Saudita ha una qualche capacita' inutilizzata".

E al Ministro Robin Hood Tremonti, che unendosi alla combriccola dei nostri giornalisti ha sollevato la questione speculazione nel recente vertice G8 di Osaka, ha risposto il Ministro americano Paulson: “Chi parla così non capisce come funzionano i mercati”.
A questo punto, non resta che chiedersi a chi giova questo tentativo di allontanare l’opinione pubblica dai veri e drammatici motivi che stanno dietro la crisi dei prezzi petroliferi. Ma naturalmente ai produttori dell’Opec, che continuano a ripetere anche in questi giorni come un disco rotto che non è necessario aumentare la produzione perché il mercato è ben rifornito e la causa dei prezzi è la speculazione.

lunedì, giugno 23, 2008

Non si può mangiare la torta e averla ancora

Ospitiamo qui un intervento di Alberto di Fazio, membro storico di ASPO-Italia e probabilmente il primo in Italia a interessarsi di picco del petrolio. L'unico Italiano che ha partecipato alla mitica conferenza ASPO di Uppsala, nel 2002, che dette inizio all'avventura di ASPO nel mondo.





Non si può mangiare la torta e averla ancora

created by Alberto di Fazio


Ad un membro della lista di discussione di ASPO-Italia che concludeva uno scherzoso intervento con la frase: "Poi io sono un sognatore come Asimov, spero sempre nella dispersione dell'umanità nello spazio, ma prima ci vuole una grossa paura (e energia) per spingere l'acceleratore verso lo spazio .. Nello spazio poi la crescita potrà continuare all'infinito.." ho pensato bene di rispondere - con qualche limatura di aggiustamento - così come segue:

Mahh, .... nello spazio.... Io penso più banalmente che la crescita, a patto di usare un buon lievito (tipo il lievito Bertolini, oppure il classico e mai dimenticato lievito di birra) potrà continuare anche qui, sulla Terra. Comunque, a scanso di eventuali "complicazioni", intanto propongo di modificare il programma di esame di laurea degli economisti, tramite inserimento del seguente pre-esame, il cui esito andrà naturalmente considerato dalla Commissione di Laurea la "conditio sine qua non" per procedere al resto dell'esame di laurea.

Questo "test per economisti" è stato da me derivato da una precedente versione di un analogo "test" ideato dal mio collega statunitense Jay Hanson. Premetto che ovviamente questo test sarebbe certamente approvato (e probabilmente inasprito) da quei – purtroppo rari – economisti di alto livello scientifico e preparazione multidisciplinare, come il famoso Herman Daly (autore di "Beyond Growth", "For the common Good", e "Valuing the Earth") che si battè strenuamente contro la teoria della crescita infinita nell'istituto per cui lavorava (la World Bank, organo UN) e che ne uscì poco più di dieci anni fa in una famosa polemica, e dall'altrettanto famoso Joergen Randers, co-autore, insieme a Dennis Meadows et al., dei tre lavori (1972, 1992, 2002) modellistici sui "limits to growth", il primo dei quali costituente il famoso Rapporto del MIT al Club of Rome.

DUNQUE, il candidato entra dinanzi alla Commissione di laurea, e comincia la PROVA TEORICA del pre-esame: gli viene assegnato il compito di scrivere 100 volte, sulla lavagna, la frase: "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse", "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse", "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse", "La Terra è un sistema finito, e quindi contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse",.... etc, senza commettere errori.

Se il candidato dovesse superare questa fase, gli viene assegnato di ripetere ad alta voce, e senza esitazioni, 200 volte (e senza sbirciare sugli appunti) la frase: "Siccome la Terra contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse, il consumo di tali risorse - e quindi la crescita economica - può durare SOLTANTO per un tempo limitato: il rapporto del MIT al Club of Rome e Herman Daly avevano totalmente ragione", "Siccome la Terra contiene soltanto una quantità LIMITATA di risorse, il consumo di tali risorse - e quindi la crescita economica - può durare SOLTANTO per un tempo limitato: il rapporto del MIT al Club of Rome e Herman Daly avevano totalmente ragione",.... etc.

Se il candidato riuscisse a superare anche questa parte della prova teorica (senza pause o segni di tentennamento, e guardando sempre dritto negli occhi dei Commissari), egli viene ammesso a sostenere la PROVA PRATICA.

La prova pratica inizia, e viene fatto entrare un cameriere che porta al candidato un vassoio con sopra una bella fetta di torta di mele, con un coltello e un cucchiaio. La Commissione chiede al candidato di tagliare a metà la fetta di torta e di mangiare una delle due metà. Se il candidato ci riesce, la Commissione poi chiede al candidato se se la sente di rispondere al volo alla domanda: "avendo lei appena mangiato metà della fetta di torta, quanta parte di fetta è rimasta sul piatto?" Se il candidato non se la sentisse, è bocciato, e deve ripetere sia l'esame, sia la tesi di laurea. Se invece se la sente, la Commissione lo esorta dunque a rispondere senza alcun timore (se qualcuno suggerisse al candidato la risposta, il candidato è bocciato, e il suggeritore cacciato in malo modo, a pedate nel sedere, ed esposto al pubblico ludibrio). Se invece il candidato dovesse rispondere in maniera esatta ("ne è rimasta metà fetta"), la commissione procede, e chiede al candidato se ora lui sia in grado di prendere dal piatto e di mangiare più di metà dell'iniziale fetta di torta. Se il candidato rispondesse di sì, è bocciato e interdetto a vita da ulteriori esami. Se rispondesse di no, la Commissione esorta il candidato a mangiare anche la rimasta metà dell'iniziale fetta di torta. Se il candidato lo fa senza esitazioni (altrimenti è bocciato) la Commissione procede a chiedergli quanta torta è ora rimasta sul piatto. Solo nel caso in cui il candidato eventualmente riuscisse a rispondere correttamente "zero" (è ammessa anche la risposta "una frazione circa pari a zero, considerando le briciole cadute sul piatto"), il candidato viene ammesso a proseguire l'esame. Se il candidato dovesse invece rispondere frasi del tipo "dipende, perchè attendendo abbastanza tempo e investendo nelle corrette tecnologie, la fetta – e anche più di una fetta – può ricomparire da sola sul piatto come per magia" o similari, non solo viene bocciato e interdetto a vita da ulteriori esami, ma viene anche condannato a farsi fare una perizia giurata da un ragioniere iscritto ad apposito albo ogni volta che nella vita dovesse trovarsi costretto ad eseguire un calcolo di qualsiasi sorta. Il candidato, inoltre, nell'eventualità appena considerata, e prima di essere cacciato dalla sala lauree, viene dichiarato dalla Commissione "individuo dalla elevata pericolosità per il genere umano", gli viene rilasciato apposito tesserino e gli vengono interdetti a vita tutti i mestieri, tranne quelli manuali, nel rango di sotto-manovale.

Penso che un tale pre-esame garantirebbe la formazione di economisti – non dico certo come Herman Daly e Joergen Randers – ma almeno all'altezza della situazione che si sta delineando nel mondo, ... anche se purtroppo, così facendo, di economisti... ne rimarrebbero pochini.

Beh, che ne dite? Lo proponiamo al Parlamento per fare un ddl, oppure al Governo per un decreto legge? Visti i peggiori scenari di global change in atto e previsti, l'urgenza ci sarebbe e penso che il Presidente Napolitano non si opporrebbe... Il problema è che tale legge dovrebbe essere varata anche da tutti gli altri circa 180 paesi aderenti alle UN... E l'Assemblea Generale dovrebbe anche – di conseguenza – sciogliere la WB (la Banca) e lo IMF (il Fondo
Monetario)...

P.S.: non propongo un analogo test per politici, non perché i politici comprendano già i dilemmi dell'umanità connessi alla crescita illimitata e alle sue conseguenze, ma molto più banalmente perché come noto essi non devono sostenere alcun esame, e la loro "preparazione" è nelle mani del fato…..

Saluti, Alberto Di Fazio

Dr. Alberto Di Fazio
senior scientist,
National Institute of Astrophysics/Astronomical Observatory of Rome
member of the CNR/IGBP Italian National Commission on Global Change
Italian Focal Point of the IGBP/AIMES Core Project (ex-GAIM)(Analysis,
Integration, and Modeling of the Earth System)
president Global Dynamics Institute
permanently accredited to the COP under the UNFCCC as observer scientist

domenica, giugno 22, 2008

"Rifiuti", se ci siete battete un colpo


In questo post inserirò la parola "rifiuto" rigorosamente tra virgolette, in quanto ho delle difficoltà a riconoscerne l'esistenza.

L'etimologia della parola "rifiuto" evoca un "atto di diniego e di disconoscimento" ; un suo sinonimo molto usato è "immodizia" che, ancora, significa "del non-mondo", "non pulito".

Ora, proviamo a fare un po' di razionalizzazione.
A parte per quei materiali (prodotti dalla trasformazione civile/agricola/industriale) le cui caratteristiche chimico-fisiche non sono particolarmente benevole, sia per tipo che per intensità (radioattività, tossicità, instabilità ...), per tutti gli altri è possibile attivare già oggi dei recuperi sfruttando processi meccanici, magnetici, a filtrazione, biochimici, elettrochimici e chi più ne ha più ne metta.
Lo scopo di questo recupero non vuole essere l'accattonaggio istituzionalizzato, ma l'attuazione delle tecniche più convenienti (energeticamente) per evitare che preziosi elementi vengano dispersi.

[si veda a tal proposito il post di Ugo Bardi e i link a Pagani-Bardi a "La macchina mineraria universale" ]

Il modello è quello dell'ago nel pagliaio: se disperdiamo i minerali nell'aria e negli oceani, riottenerli da essi sarà molto più difficile che non estrarli dalle miniere nel modo in cui siamo abituati. Quando andrà bene sarà un processo lento, delicato ed energivoro; nei casi più disperati (diluiti) la manovra sarà al limite tra la disperazione e la non-fattibilità tecnologica.


Finora l'economia moderna (almeno, quel sottoprodotto di essa che si limita ad essere "scienza della comodità" ma che fa la voce grossa ) ha vissuto sul concetto di "rifiuto", semplicemente grazie al fatto che le dimensioni dei grandi reservoir petroliferi rendono (rendevano) trascurabile il volume di "scarti" che da essi discendono. Ma, noi si sa, in un sistema dinamico con migliaia di equilibri in gioco avvengono continue trasformazioni, tempo qualche decina di anni e ... zac! le cose cambiano.

Se da una parte lo smaltimento dei materiali a "basso valore aggiunto" sta diventando un problema nelle aree più popolose del mondo (megalopoli), dall'altra i giacimenti di idrocarburi mostrano difficoltà oggettive a mantenere il trend nei flussi, dunque è ostacolata anche la produzione stessa dei cosidetti "rifiuti" [cfr. Ugo Bardi in "Il picco dei rifiuti"]

Il vero problema è che le stesse dinamiche esponenziali che hanno regolato lo sviluppo tumultuoso negli ultimi 50 anni stanno imponendo ora dei freni piuttosto "potenti", in quanto anch'essi di natura esponenziale.

[si veda il recente post di Terenzio Longobardi "Come affrontare la crescita esponenziale dei prezzi petroliferi"].

E' molto difficile che ci sarà una frenata dolce; la speranza è comunque quella di costruire (in tempo utile, tra l'altro) una qualche forma di ABS che riduca gli sbandamenti. Nel frattempo, il confine tra "rifiuti" e Materie Prime diventa sempre più sfumato.

venerdì, giugno 20, 2008

Toscana ecoefficiente: premiata la casa di Archimede e il cinquino elettrico



Fra le tante cose che mi sono capitate ultimamente, mi è arrivato anche di essere fra i premiati dell'iniziativa "Toscana ecoefficiente" di quest'anno per le soluzioni energetiche di casa mia, ormai detta comunemente "la casa di Archimede Pitagorico".

Ovviamente, la cosa mi fa molto piacere e ringrazio la regione Toscana per il premio. Gli organizzatori hanno evidentemente apprezzato il concetto di fondo che sta dietro quello che ho fatto; ovvero enfatizzare l'uso degli spazi domestici per produrre qualcosa, piuttosto che, come si è fatto spesso fino ad oggi, concentrarsi soltanto sul risparmio. Così, casa mia produce energia elettrica, acqua dall'umidità atmosferica, compost dai rifiuti domestici e, persino, pipistrelli da usarsi contro le zanzare.

Il concetto di soluzioni attive ai problemi, la regione Toscana lo ha anche premiato con il cinquino elettrico di Pietro Cambi. Anche quella è un'idea che, piuttosto che costringerci a delle rinunce, utilizza metodi innovativi per mantenere un certo livello di mobilità riducendo i costi e azzerando l'inquinamento.

Altre eccellenti iniziative sono state premiate; per esempio la vendita del latte direttamente dal prudottore ai cittadini realizzata dal comune di Capannori. Altre, le si possono considerare lodevoli anche se forse un po' debolucce, come quella del premio dato a un campeggio che invita gli ospiti a differenziare i rifiuti e fornisce un "ecogame" ai bambini.

Nel lodare questa iniziativa, non posso fare però a meno anche di fare qualche critica, per la quale spero che gli organizzatori non me ne vorranno. La critica va alla cerimonia della premiazione di sabato 24 Maggio 2008 dove Mario Tozzi che presentava faceva un po' la parte del mago Zurlì in uno zecchino d'oro dei buoni sentimenti. Fra le altre cose, premiando qualcuno che aveva installato dei pannelli fotovoltaici, Tozzi ha fatto un discorso che riassumo come, "Beh, tutti sappiamo che l'energia fotovoltaica non può fare più di tanto; per esempio come farebbe la Fiat a produrre automobili con l'energia fotovoltaica? E' impossibile, ovviamente. Però per le necessità domestiche, allora si, l'energia fotovoltaica può dare un certo contributo."

Bene, con tanta fiducia nell'energia fotovoltaica da parte di quelli che ne dovrebbero essere i fautori, non c'è da stupirsi se tutti vogliono le centrali nucleari.

Comunque, non voglio fare la parte di quello che non è mai contento. Ripeto che, a parte qualche caduta di tono alla cerimonia della premiazione, Toscana Ecoefficiente è un'ottima iniziativa che premia e da visibilità alle buone idee. Quest'anno, ASPO-Italia ha dominato con due soci premiati, io e Pietro Cambi. Se avete qualche buona idea, cominciate a prepararvi per l'anno prossimo!

giovedì, giugno 19, 2008

Ma come avviene un cambiamento?

created by Armando Boccone



Emma Marcegaglia, il nuovo presidente di Confindustria, ha indicato con decisione quale è il problema dell’Italia: è la mancanza di crescita, anzi di una crescita sostenuta.
La crescita, come valore culturale, affonda le radici in tutta la storia umana: si stava bene quando si possedeva di più. Non è facile cambiare idea. Non è facile prendere coscienza che non è più possibile andare avanti con lo stesso modello di vita a fronte dell’esaurimento delle risorse energetiche e del pericolo del venire meno degli equilibri ecologici.


C’è sempre stato un incremento demografico o, quanto meno, l’incremento demografico è stato sempre effettivamente un fatto positivo. Non è facile entrare nell’ottica del decremento demografico. Anzi quest’ultimo fenomeno è sempre stato un fatto negativo nella storia passata. Non è facile prendere coscienza che ci sono dei limiti naturali alla continuazione del nostro modello di vita, fatto di consumi enormi di energia, di incremento demografico e di quant’altro, quando nella storia passata non ci sono mai stati tali limiti.

Ma come avviene un cambiamento?
Come sono avvenuti i grandi cambiamenti nel passato?
Come si è passati nell'antico Medio Oriente, per fare un primo esempio, dalla scrittura cuneiforme a quella alfabetica? Come si passati nella stessa area, per fare un secondo esempio, dalla metallurgia del bronzo a quella del ferro?
Questi cambiamenti sono avvenuti tutti e due nel periodo detto del "tardo bronzo" (circa XII sec. a.C ).

Sia la scrittura alfabetica che la metallurgia del ferro erano però conosciute da parecchi secoli (la metallurgia del ferro, sebbene forse fosse stata adottata per la prima volta in altre aree, nell'antico Medio Oriente fu il frutto di uno sviluppo interno a tale area): ma allora perché si diffusero solamente a partire da circa il XII secolo a.C.? Perché tale ritardo? Cosa impedì che queste due importanti scoperte per l'umanità tardarono così tanto prima di affermarsi? Cosa impedì che la scrittura alfabetica, con la sua maggiore semplicità di utilizzo e con la sua maggiore capacità di trasmissione della conoscenza, si diffondesse? Cosa impedì che la metallurgia del ferro, che portava alla produzione di utensili con caratteristiche tecniche enormemente superiori al bronzo, si diffondesse?
Il motivo è che sia la scrittura alfabetica che la metallurgia del bronzo erano legate ad una struttura sociale che ne impedì la diffusione in precedenza. Gli scribi rappresentavano un ceto sociale molto forte ed i suoi privilegi erano inscindibili dalla loro professione, che era la scrittura, o meglio era la scrittura cuneiforme. Tale professione era basata su una tradizione e su conoscenze che si tramandavano solamente per linee interne, come, per esempio, la trasmissione di padre in figlio dell’incarico di scriba. Costituivano una casta piena di privilegi.
Per quanto riguarda il ferro bisogna fare un discorso quasi simile. I ceti di mercanti e l'organizzazione palatina (cioè tutto ciò che gravitava intorno al "palazzo" [gli stessi scribi facevano parte dell’organizzazione palatina]) erano legati al commercio dello stagno e del rame (il primo sembra che provenisse dagli altopiani indo-iranici mentre il secondo sembra provenisse dall’Anatolia).

Come si vede il mantenimento in vita della scrittura cuneiforme e della metallurgia del bronzo avevano una spiegazione sociale (sarebbe sbagliato parlare di contrapposizione di interessi di "classe" perché mancava la condizione per l'esistenza delle classi cioè la prospettiva di una struttura socio-economica alternativa e superiore a quella esistente di cui una ipotetica classe sociale si sarebbe dovuta fare portatrice).
Ciò che portò all'affermarsi della scrittura alfabetica e della metallurgia del ferro fu la profonda crisi che interessò buona parte dell'area dell'antico Medio Oriente nei secoli precedenti il Bronzo finale (XIV e XIII secolo a.C. soprattutto). Interessò soprattutto l’area anatolica e l’area siro-palestinese perché queste aree subirono anche l’aggressione da parte dei “popoli del mare” provenienti dalla penisola balcanica mentre l’area mesopotamica e l’Egitto furono invece interessate marginalmente e indirettamente. Per l’Egitto e la Mesopotamia le conseguenze furono solamente la perdita di territori e popolazioni di quelle zone che erano sotto il loro controllo (nel senso che gli erano tributari, cioè che gli versavano dei tributi). L’aggressione da parte dei “popoli del mare” fu però solamente la goccia che fece traboccare il vaso perché le aree in questione, da almeno due secoli, erano in profonda crisi. Fu una crisi che portò allo svuotamento delle città (in seguito distrutte dai popoli del mare), alla regressione della vita economica, al crollo demografico, alla disgregazione delle organizzazioni amministrative, ecc. Vennero così meno i portatori di interessi legati alla persistenza della scrittura cuneiforme e della metallurgia del bronzo, cioè gli scribi con le loro scuole e i loro privilegi, i ceti dei mercanti e l'organizzazione palatina nel suo complesso.

Prima di proseguire nell’analisi è interessante fare una considerazione sulla relazione fra la scrittura alfabetica e la metallurgia del ferro da una parte e la scrittura cuneiforme e la metallurgia del bronzo dall’altra.
Questa relazione ricorda tanto la relazione fra le fonti energetiche rinnovabili e le altre fonti (dal petrolio all'uranio): le prime sono diffuse sul territorio e sono tecnologicamente accessibili mentre le seconde sono concentrate in alcuni punti del pianeta e richiedono tecnologie complesse. La scrittura alfabetica infatti, diversamente dalla scrittura cuneiforme, è di più facile uso; il ferro, diversamente dallo stagno e dal rame, era molto diffuso in Medio Oriente (sebbene non in grandi quantità) e la sua metallurgia era più facile di quella del bronzo.

Dopo avere trattato del passaggio dalla scrittura cuneiforme a quella alfabetica e dalla metallurgia del bronzo a quella del ferro bisogna chiedersi se sia possibile fare un parallelo fra questi due casi trattati di cambiamento e la situazione attuale.
Un nuovo corso della storia necessita di un crollo di tutti i gangli della struttura sociale, economica e ideologica preesistente? Oppure è possibile gradualmente sostituire la struttura attuale con una nuova struttura? Il punto più basso della probabile futura crisi potrà consentire una ripresa a livelli di vita accettabili?

La risposta alla prima delle domande poste (Un nuovo corso della storia necessita di un crollo di tutti i gangli della struttura sociale, economica e ideologica? ) dovrebbe essere negativa perché adesso, con tutte le limitazioni possibili, c’è la democrazia. E’ necessaria una presa di coscienza della necessità di una cultura adeguata a risolvere i problemi connessi alla prospettiva di scarsità di risorse energetiche e del rischio del venire meno degli equilibri ambientali.
Cosa potrà mai portare la "gente", nei tempi in cui viviamo, a prendere coscienza della gravità del problema dell'esaurimento dei combustibili fossili, dei cambiamenti climatici e del problema demografico e, soprattutto, a mettere in campo le necessarie misure per risolvere i suddetti problemi. Ricordo che una coppia di miei amici trovava difficoltà a fare capire al loro bambino (che non si poneva limiti nell’indicare ciò che babbo natale e la befana avrebbero dovuto portargli in regalo) che babbo natale e la befana erano i suoi genitori. Il bambino non voleva conoscere ragioni. Credere in babbo natale e nella befana è sicuramente legata all’età ma il fatto che questi gli portassero regali aiutava certamente nella persistenza della sua credenza.

Un primo quesito che dovremmo porci è il seguente: é possibile a tale riguardo fare un discorso di classe? è possibile cioè vedere uno scontro di interessi fra classi capitalistico-imprenditoriali, che vogliono la persistenza dell’attuale modello di sviluppo, con tutti i valori a questo connessi, e ceti “popolari” o, forse, “maggioritari” che, invece, portatori di interessi diversi, vorrebbero un modello di sviluppo diverso, anzi che vorrebbero un modello di vita diverso?
Penso che la risposta sia in buona parte negativa (almeno per quanto riguarda il mondo sviluppato): non ci siano notevoli differenze di valori all’interno delle persone che costituiscono le attuali società.
Un imprenditore, indipendentemente dal soddisfacimento dei suoi bisogni personali, cerca di massimizzare il profitto. Un qualsiasi cittadino cerca di farsi la seconda casa in montagna e una terza casa al mare, cerca di acquistare l’ultimo modello di autovettura oppure l’ultimo modello di televisore o di telefonino, indipendentemente dal soddisfacimento di bisogni concreti. Al di sopra di un certo livello di reddito si può dire che si ricercano altri valori che non hanno niente a che vedere con i bisogni concreti. Al di sopra di un certo livello di reddito si vuole soddisfare solo il bisogno di avere qualcosa e/o di raggiungere un obiettivo, come, per esempio, una migliore posizione all’interno della gerarchia sociale.

Un’ultima considerazione: è possibile stabilire una relazione fra la crisi che investì il Medio Oriente antico nel tardo bronzo e la crisi che probabilmente investirà l’attuale civiltà. Nel tardo bronzo la crisi ebbe motivazioni interne (la regressiva e complessa dinamica socio-economica-organizzativa ed ecologica che agiva nella zona in quel periodo) e motivazioni esterne (l’invasione da parte dei popoli del mare).
Forse la dinamica sarà ancora più complessa ma per quanto riguarda le motivazioni esterne indicate a proposito della crisi del Medio Oriente antico a cui si è fatto riferimento, il pensiero non può che correre alle imponenti migrazioni che, partendo dal terzo mondo, hanno investito e che, probabilmente, ancora di più investiranno il mondo sviluppato.
Per quanto riguarda le motivazioni interne esse saranno determinate quasi sicuramente dall’enorme consumo di risorse energetiche e dalle difficoltà nel loro approvvigionamento.

martedì, giugno 17, 2008

Cala la produzione di energia elettrica nucleare



Arriva da "World Nuclear News" la notizia che la produzione di energia elettrica da fonte nucleare nel mondo è calata dell'1.9% nel 2007.

Il calo è lieve, ma la notizia è interessante per vari motivi; principalmente perché conferma una situazione che è stata fatta notare più volte dagli esperti: il parco delle centrali nucleari esistenti è formato da impianti vecchi e prossimi ad andare in smantellamento. In altre parole, i nuovi impianti non ce la fanno a compensare l'obsolescenza dei vecchi. La vetustà di questi reattori si manifesta sia come dismissioni definitive, sia come una serie di problemi di manutenzione che hanno costretto diversi impianti ad andare fuori rete nel 2007. C'è stato anche il terremoto in Giappone che ha costretto a spegnere temporaneamente una centrale ma non è stato il motivo principale del calo produttivo.

Tutto questo non vuol dire che l'industria nucleare sia moribonda, solo che tuttora non si vede una ripresa che interrompa la stasi sostanziale degli ultimi 20 anni. Cambieranno le cose nel futuro? Difficile dirlo; evidentemente c'è un tentativo di riprendere a costruire centrali nucleari nel mondo, ma i costi e la complessità dell'impresa sono problemi che si fanno sentire e, per il momento, il numero di nuove centrali in costruzione è appena sufficiente (e forse insufficiente) per compensare il declino dei vecchi impianti.

Questa situazione di difficoltà dell'industria nucleare è un'altra indicazione, semmai ce ne fosse stato bisogno, che sostituire il petrolio con altre fonti non sarà automatico e nemmeno rapido. Non ci sono soluzioni tecnologiche miracolose e, indipendentemente dalle scelte che faremo, dovremo adattarci a un periodo di transizione che durerà perlomeno qualche decennio. Speriamo di fare le scelte giuste, ma l'importante e muoversi subito verso la sostituzione dei combustibili fossili.

lunedì, giugno 16, 2008

Il picco dell'Uranio francese

La storia dell'estrazione dell'Uranio francese è di considerevole interesse per tutti i "picchisti". Il grafico qui sopra mostra la produzione annua nazionale dal 1956 al 2006 (dati ONU dal 1990 al 2006, The Oil Drum per il periodo precedente). Dopo un primo picco negli anni '60 la produzione ha avuto il suo picco principale nel 1988, con una produzione annua di 3300 t. Oggi, dopo aver estratto oltre 75000 t, la produzione è inferiore alle 10 tonnellate annue. Il fit logistico con due curve descrive abbastanza bene l'andamento della produzione, cosa degna di nota se si tiene conto che si tratta di un mercato piccolo (la produzione cumulativa francese rappresenta circa il 4% di quella mondiale) e sostanzialmente monopolistico.

In questo secondo grafico è invece rappresentata l'estrazione complessiva di Uranio; i punti blu rappresentano la stima di URR (Ultimately Recoverable Resource) determinata in base i valori delle riserve pubblicate dalle autorità francesi nel corso degli anni (per i dati ho fatto riferimento a quelli indicati da Hydraulics nel suo commento a questo post di Ecoalfabeta; i valori del 1985 e 2002 sono di questa fonte, quello del 1999 di quest'altra). La stima ufficiale dell'URR è variata in modo considerevole negli anni, aumentando da 120 kt a quasi 200, per poi diminuire fino a 80, che è poco più della quantità estratta fino ad oggi. Si tratta quindi di numeri del tutto inaffidabili.
Se un picchista hubbertiano avesse invece analizzato i dati nel 1988, al momento del massimo fulgore estrattivo, avrebbe potuto prevedere il picco più o meno per quell'anno, stimando una URR di 84 kt, un valore molto, molto più realistico delle 200 kt ufficiali.
Un ringraziamento a Francesco Aliprandi per i dati sulle riserve.
Vedi anche La curiosa storia delle riserve di Uranio francese.

sabato, giugno 14, 2008

Space Warp to Capannori



Il rettilineo che porta a Capannori, provincia di Lucca. Non vi sembra che manchi qualcosa?


Arrivando a Capannori, comune in provincia di Lucca, l'impressione è che sia cambiato qualcosa; che uno sia stato catapultato dall'universo normale a un altro universo da uno space-warp da fantascienza.

Ci vuole un attimo per rendersi conto di cosa manca, ma poi te ne accorgi. Mancano i cassonetti. Eh, si. Quei bei cassonetti blu, verdi, gialli che sono tanto comuni che non ci facciamo più caso. Ovvero, ci facciamo caso quando mancano. E questo è il caso di Capannori. Evidentemente un pianeta diverso dal nostro.

Se vi capita di girellare per la città, vi accorgerete di altre caratteristiche di questo mondo alieno. Per esempio, sul tetto del comune si vedono chiaramente delle file di pannelli fotovoltaici. Ohibò, il sindaco deve essere veramente un alieno. In Toscana (il pianeta in cui vivo normalmente) è già tanto se il comune non ti mette i bastoni fra le ruote; figuriamoci se li fa mettere proprio sul tetto del palazzo comunale.

In realtà il sindaco di Capannori non ha un aspetto particolarmente alieno. Mi è capitato di incontrarlo in questo viaggio. L'incontro è avvenuto al convegno "Capannori rifiuti zero" che si è tenuto il 27 Aprile su quello strano pianeta alieno di cui vi stavo parlando.

In effetti, il convegno mi è parso popolato da alieni. Non avviene spesso sul nostro pianeta di vedere un convegno sui rifiuti dove non ci sono i soliti tizi che ti dicono che non si può fare altro che incenerire. Qui, c'erano quattro esperti di rifiuti americani, tutti passati probabilmente attraverso lo stesso space warp, che hanno raccontato delle loro esperienze con i rifiuti negli Stati Uniti. Apparentemente, su questi pianeti lontani, si possono trattare i rifiuti senza bisogno di incenerirli e ci si guadagna sopra, anche. Parlano addirittura di "rifiuti zero". Alieni.

Curioso: il sindaco di questo pianeta-Capannori dice bene dei comitati dei cittadini e non li accusa di "non volere le cose nel loro cortile" ("nimby"). Anzi, il sindaco loda i comitati per le loro proposte e i comitati lodano il sindaco per averle messe in pratica. Siamo veramente su un pianeta alieno - perlomeno a diversi anni luce di distanza.

La cosa aliena che hanno fatto sul pianeta Capannori è la raccolta differenziata porta-a-porta. Si, proprio quella cosa che sul nostro pianeta non si riesce a fare perché, come sanno tutti, i terrestri non sono capaci di farla, non la vogliono e poi costa troppo, ed è comunque una fesseria: non è tanto meglio bruciare tutto? Si vede che qui sono veramente degli alieni, perché pare che i cittadini del pianeta siano entusiasti del nuovo metodo che li fa rispiarmiare e anche di essersi tolti dalle scatole quei cassonetti ingombranti e puzzolenti.

Viene a parlare al microfono il presidente dell'azienda locale che gestisce la raccolta porta a porta. Dice che non è costata più cara della raccolta tradizionale e che funziona benissimo. Strano che non è tutto verde e non ha nemmeno le antenne; sembrerebbe proprio un terrestre. Ma deve essere per forza un alieno se dice queste cose.

L'ultima cosa che viene detta al convegno è preoccupante: la raccolta porta-a-porta funziona talmente bene che la stanno espandendo anche oltre il pianeta Capannori; verso i pianeti vicini. Questi alieni ci invadono!! Chissà che non ci tocchi fare la raccolta porta a porta anche a noi terrestri!

Per saperne di più, leggete il Resoconto del convegno

Fino ad ora abbiamo scherzato; ovvero: quando i duri cominciano a giocare.

Frazione del PIL mondiale corrispondente alle spese petrolifere. Da "The Oil Drum" che riproduce una figura da un articolo di R.F. Wescott dell'aprile del 2006.



La questione di come correggere i prezzi petroliferi per l'inflazione è complicata. Eppure è molto importante perché ci serve per comparare i prezzi odierni con quelli della grande crisi petrolifera degli anni 1970. C'è un generale accordo che i prezzi degli ultimi tempi sono comparabili a quelli del periodo più difficile della crisi di quel tempo. Ma l'inflazione viene misurata attraverso i beni del cosiddetto "paniere" che sono cose opinabili e poco rigorose.

Vedo invece su "The Oil Drum" un grafico che mi sembra illuminante. Rapporta le spese petrolifere globali con quelle del PIL globale. E' una misura molto più rigorosa in quantoè un rapporto di due grandezze entrambi nella stessa unità di misura: il dollaro. Ci dice, in sostanza, quanto il petrolio incide sull'economia.

Teniamo conto che questi dati di Wescott sono del 2006; quando lui si era messo a descrivere uno scenario ipotetico (per allora) in cui il petrolio sarebbe salito a 120 dollari al barile nel 2007. Oggi siamo nel 2008, il dollaro vale un po' meno di quanto non valesse nel 2006 ma, nel complesso, i dati della figura non possono essere troppo distanti da quelli attuali. Ovvero, siamo al massimo storico delle spese petrolifere.

In effetti, si comincia soltanto oggi a vedere gli effetti della crisi; prima, avevamo scherzato. Ora, è il momento in cui i duri "cominciano a giocare"; ovvero la faccenda si sta facendo dura. Negli anni '70 l'effetto di prezzi leggermente inferiori agli attuali aveva avuto effetti più spettacolari di quelli che vediamo oggi. A quell'epoca c'erano razionamenti, code ai distributori, domeniche senz'auto e cose del genere. Oggi, ufficialmente siamo ancora in una condizione di "non-crisi"; crisi temporanea, crisi risolvibile semplicemente riducendo le accise sui carburanti. Evidentemente, negli anni '70 avevamo avuto meno remore a renderci conto di una condizione che, oggi, per qualche ragione, rimane politicamente scorretto menzionare.

Ma da ora in poi si comincia a fare sul serio. Fino ad ora, in effetti, non avevamo visto ancora niente!


[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]