sabato, maggio 31, 2008

I rifiuti di Granada II


Ulivi a perdita d'occhio fotografati dall'aereo in avvicinamento verso Granada


Ero curioso di vedere la Spagna dall'alto, e vi posso dire che non è una vista particolarmente bella. Sapevo che era malridotta dall'erosione e, in effetti, si vedono montagne brulle e desolate un po' dappertutto. Non è che manchi l'acqua, o perlomeno non sembra: ci sono dei bacini pieni e, dove si sono decisi a piantare degli alberi, si vede che crescono rigogliosi. Dicono che la Spagna abbia distrutto le proprie foreste al tempo dell "invincibile armada" nel '600. Forse è un po' troppo pensare che una sola flotta abbia distrutto le foreste spagnole, comunque è probabile che
sia stato a quel tempo che le foreste sono state tagliate e non sono più ricresciute. Adesso è quasi tutto ulivi, e dove non ci sono ulivi, è deserto.

Sull'aereo, ho dato un'occhiata di straforo ai giornali italiani; paginate intere a magnificare l'energia nucleare. Sui giornali spagnoli, invece, si lamentano perché l'energia nucleare costa un sacco di soldi e produce poco. Sono preoccupati anche dell'ondata di razzismo in Italia. Sul giornale che ho letto, c'erano due articoli in proposito

Di Granada e del convegno sui rifiuti, per ora vi posso dire poco. Domani, il primo contatto con i "rifiutologi", Vi racconterò.

venerdì, maggio 30, 2008

I rifiuti di Granada



Sono in partenza questo sabato per Granada, in Spagna, per partecipare alla conferenza "Gestione dei Rifiuti 2008". Si preannuncia un convegno molto interessante; tre giorni di immersione totale nei rifiuti, cosa per fortuna da non intendersi in senso letterale.

Al convegno presenterò uno studio fatto in collaborazione con Alessandro Lavacchi che è una visione "picchista" della generazione dei rifiuti. Secondo i nostri dati e la nostra interpretazione degli stessi, siamo davanti a un "picco dei rifiuti" che si è già verificato nell'Unione Europea. In Italia, come al solito in controtendenza su tutto, la produzione dei rifiuti sta ancora aumentando.

Se riesco a connettermi da Granada, vedrò di farvi una cronaca delle cose più interessanti che verranno fuori al convegno.


[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

giovedì, maggio 29, 2008

Umberto Veronesi e il nucleare

Qualche giorno fa ho inviato per conto di Aspoitalia a "La Repubblica", un commento sulla recente posizione a favore del nucleare da parte di Umberto Veronesi, che il quotidiano diretto da Ezio Mauro si è guardato bene dal pubblicare. Lo ripropongo qui a un pubblico molto meno vasto ma sicuramente più attento.

Gentile Direttore, sulla Repubblica di sabato 24 maggio è apparso un articolo di Umberto Veronesi sul nucleare, nel quale il celebre chirurgo ritiene inevitabile per l’Italia il ritorno all’energia nucleare, per almeno tre motivi. A mio parere, il primo motivo citato da Veronesi è totalmente infondato perché deriva da premesse errate. Egli afferma: “le fonti di energia che oggi utilizziamo sono esauribili: i combustibili fossili, petrolio in primis, e il carbone, finiranno fra qualche centinaio di anni, e non c’è spazio né discussione, né di intervento su questa scadenza.”
Intendo precisare innanzitutto che anche l’uranio, l’elemento fissile usato nelle centrali nucleari, è presente in quantità limitate sul pianeta ed è destinato ad esaurirsi, al pari dei combustibili fossili. Ed in tempi dello stesso ordine di grandezza. Si stima che le riserve note di uranio potrebbero alimentare l’attuale parco di centrali al massimo per qualche decennio. Se si dovesse aumentare il numero di centrali a coprire completamente la produzione di energia elettrica mondiale, le risorse uranifere note non potrebbero durare più di qualche anno. Al momento, la produzione minerale di uranio è di circa 40.000 tonnellate all’anno, insufficiente per coprire il consumo delle circa 430 centrali esistenti (circa 65.000 tonnellate/anno). La differenza viene coperta usando uranio previamente immagazzinato, in gran parte recuperato da vecchie testate nucleari sovietiche. E’ possibile che nel futuro si riuscirà a sfruttare risorse uranifere al momento non utilizzabili, ma comunque esistono serie preoccupazioni sul fatto che la produzione di uranio minerale riesca a soddisfare le centrali esistenti nei prossimi anni. A maggior ragione, si pone il problema di alimentare un’espansione sostanziale della produzione di energia nucleare.

In secondo luogo, come rappresentante di un’associazione che studia la dinamica di produzione e consumo dei combustibili fossili, vorrei precisare che i tempi di esaurimento delle risorse fossili indicati da Veronesi sono purtroppo molto ottimistici. La nostra previsione colloca nella seconda metà di questo secolo l’esaurimento fisico di queste risorse, ma i problemi ci saranno molto prima e li stiamo già vivendo in questi giorni. L’andamento della produzione dei combustibili fossili segue una curva a campana, con un massimo localizzato al momento dell’estrazione della prima metà della risorsa, oltre il quale la produzione inizia un declino irreversibile, impedendo all’offerta di soddisfare una domanda in crescita. ASPO colloca il picco globale del petrolio nel 2010 e quello del petrolio convenzionale dovrebbe essere già avvenuto nel 2007. La crescita esponenziale dei prezzi del greggio innescatasi da qualche anno, denuncia proprio la difficoltà dell’offerta di stare dietro alla domanda, tipica delle situazioni di picco. Infine, per quanto riguarda l’insieme dei combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone) il picco dovrebbe collocarsi, secondo le nostre stime, intorno al 2025.

Per i motivi precedenti e per la altre considerazioni contenute nel nostro documento disponibile all’indirizzo http://www.aspoitalia.net/images/stories/ugo/aspoitalianucleare.pdf riteniamo perciò che l’ipotesi di un ritorno al nucleare del nostro paese sia poco più di un’illusione, che rischia di alimentare false aspettative nell’opinione pubblica. Altre sono a nostro parere le priorità per affrontare il problema dell’incombente scarsità delle risorse energetiche: la promozione e lo sviluppo della ricerca nel campo delle fonti rinnovabili, l’uso efficiente dell’energia in tutti i settori di consumo, il controllo delle nascite, la riconversione di un modello di sviluppo insostenibile fondato sulla crescita illimitata.
Quest’anno ricorre l’anniversario della nascita di un grande italiano, Aurelio Peccei. Non sarebbe male riprendere e analizzare con meno superficialità le conclusioni profetiche dello studio “I limiti della crescita” promosso agli inizi degli anni 70’ proprio dal Club di Roma.

mercoledì, maggio 28, 2008

Il futuro è tutto rinnovabile, II


Nel mio post precedente intitolato "Il futuro è tutto rinnovabile" avevo descritto come 12.000 famiglie tedesche avessero consumato per un anno soltanto energia rinnovabile che era risultata sufficiente per il 100% delle loro esigenze.

Il post ha generato una discussione e anche qualche perplessità. E' sufficiente questo esperimento fatto in Germania per provare che le rinnovabili sono sufficienti a soddisfare tutte le nostre esigenze di energia?

La risposta è si: il futuro è veramente tutto rinnovabile. Però va anche detto che ci vorranno ancora tempo e investimenti prima che le rinnovabili possano produrre il 100% di energia per tutte le esigenze della nostra società.

Quello che l'esperimento tedesco dimostra è che il problema dell'accumulo di energia prodotta dalle rinnovabili è risolvibile senza bisogno di innovazioni radicali. Ovvero, la tecnologia rinnovabile è a uno stadio di maturità ben superiore di altre tecnologie che vanno per la maggiore, per esempio il sequestro della CO2 in depositi geologici che, per il momento, è una cosa tutta da sperimentare e da verificare.

Questo non vuol dire che non sarebbe utile inventare qualcosa di nuovo e di spettacolare per rendere l'energia delle rinnovabili accumulabile e utilizzabile in qualsiasi momento. Magari una super-batteria che si carica ad agosto e si scarica per tutto l'inverno (come il Winchester del Far West, il fucile che si caricava la domenica mattina e sparava per tutta la settimana).

In pratica, non è probabile che si riesca a inventare qualcosa del genere in tempi brevi, ma l'esperimento tedesco ci mostra che ci possiamo arrangiare con le tecnologie che abbiamo. Una di queste è l'accumulo in bacini idroelettrici. In più, abbiamo almeno due tecnologie che non richiedono particolari sforzi per essere utilizzate da subito: l'accumulo con aria compressa (CAEN) e idrogeno accoppiato con motori termici.

Le rese di ciclo di queste tecnologie vanno da oltre il 70% per l'idroelettrico un po' meno buone per il CAEN e per l'idrogeno/motori termici (probabilmente intorno al 40%-50%). Sono comunque rese sufficienti per stoccare energia e recuperarla quando ci serve, anche a distanza di mesi da quando sono state accumulate. A queste tecnologie, possiamo aggiungere quelle rinnovabili che per loro natura possono produrre in continuo o su domanda: il biogas (anche questo usato dai tedeschi) e l'energia geotermica. Queste sono tecnologie disponibili subito. Infine, il tanto bistrattato nucleare può produrre "base load" ancora per decenni senza aver bisogno di combustibili fossili e emettere gas serra.

Ma notate bene che queste tecnologie non ci servono a niente se non le utilizziamo correttamente. E' questo il punto fondamentale del concetto di "rete intelligente" che gestisce le varie fonti tenendo conto sia delle variazioni della domanda sia di quelle dell'offerta. Questo concetto apre un'era in cui l'offerta di energia sarà molto articolata in termini di prezzi e questo permetterà di gestire la domanda in modo che non ci si trovi mai in una situazione di carenza imprevista. L'energia sarà sempre disponibile, ma in certi momenti costerà più cara; anche parecchio più cara.

Oggi, esiste già una differenziazione embrionale nel senso che l'energia elettrica costa meno di notte. Ma, nel futuro, dovete pensare a un mercato dell'energia sotto certi aspetti simile a come sono organizzate oggi le compagnie aeree. Non vi aspettate di presentarvi all'aeroporto senza preavviso e partire per New York entro mezz'ora; dovete programmare prima e se avete veramente molta fretta dovete rassegnarvi a pagare parecchio di più. D'altra parte, se programmate con molto anticipo, potete anche andare a New York a prezzi molto bassi. La differenza fra un posto in prima classe e un posto economico su un aereo può essere di un fattore 10 e anche di più. In questo modo, gli aerei sono sempre al 100% pieni; le compagnie aree hanno ottimizzato la produzione di quella che, come l'energia elettrica, è una risorsa difficile da stoccare: i posti in un aereo.

E' possibile che nel futuro vedremo qualcosa di simile in campo energetico. Oggi siamo abituati male col fatto di attaccare la spina e avere tutta la potenza necessaria quando ci sembra di averne bisogno. Ma potrebbe succedere che accendere o no la lavatrice sarà una cosa da decidere in termini dei costi dell'energia elettrica. Già oggi, in Germania, ci sono sistemi di gestione che suggeriscono agli utenti quando è il momento migliore (ovvero a costo più basso) per utilizzare gli elettrodomestici. Se l'energia costerà molto più cara di oggi, come è probabile che avvenga, può darsi che in certi momenti della giornata sarà bene tenere la lavatrice ferma.

L'epoca dell'energia facile e a buon mercato sta passando rapidamente e non tornerà mai più. L'esperimento tedesco ci dimostra che c'è una strada che ci può portare a un mondo in cui avremo comunque l'energia che ci serve, anche se dovremo fare più attenzione a evitare gli sprechi.

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martedì, maggio 27, 2008

I record eolici della Spagna e della Danimarca: un modello per l'Europa?



created by Eugenio Saraceno

Negli ultimi tempi gli impianti eolici spagnoli hanno guadagnato un certo spazio sui giornali specializzati per aver collezionato record sempre migliori in fatto di percentuale di energia prodotta sul totale nazionale in alcune particolari giornate molto ventose. "Qualenergia" riportava quanto segue:
<< Record eolici spagnoli ed europei.
Lo scorso 22 marzo alle ore 18 l’eolico spagnolo ha stabilito un nuovo record di copertura della domanda di elettricità: 40,8% con 9.862 MW in funzione. >>

E' noto che l'eolico e il solare sono fonti energetiche intermittenti e che le reti elettriche, per come sono realizzate attualmente, rischiano l'instabilità se la quota di potenza prodotta da fonte intermittente supera un 10-20% della potenza totale. La ragione di ciò è che se la fonte intermittente varia drasticamente la potenza erogata (ad esempio bonaccia improvvisa o tempesta di vento che provoca il fermo delle pale in un impianto eolico) si crea un repentino squilibrio tra domanda e offerta di energia elettrica (che devono sempre bilanciarsi) e se il gestore della rete non fosse in grado di far partire rapidamente sufficiente potenza di soccorso da particolari impianti detti di punta (idroelettrico, turbogas, rotativo), il rischio di black out è molto elevato. Maggiore è la quota di potenza intermittente in un dato istante, maggiore è il rischio per il gestore di non avere potenza di riserva sufficiente da qui il limite di sicurezza sopra citato.

E’ necessario considerare anche altre condizioni al contorno quali l'interconnessione di una rete elettrica al proprio interno (tra subregioni elettriche) e con le reti estere che possono fornire istantaneamente un certo margine di potenza di soccorso diluendo l'ammanco su aree e potenze erogate molto grandi. In generale i paesi centro europei sono ben interconnessi con ciascun paese confinante, le isole e le penisole sono ben interconnesse solo nelle regioni più vicine ai confini
Ma allora, nel caso del record spagnolo, si è trattato di un colpo di fortuna o queste precauzioni sono troppo stringenti? E cosa dire dei Danesi che hanno una potenza eolica installata pari a circa il 25% del totale? L'esempio di Spagna e Danimarca può essere seguito dagli altri paesi europei?
Per rispondere a questi dubbi possiamo esaminare questo report delle capacità di generazione nel 2006 in 5 grandi paesi europei + Danimarca estratto da Eurostat.


Il punto forte della Spagna più che l'interconnessione con l'estero più problematica rispetto all'Italia (possibile solo da Francia verso Catalogna e paesi Baschi) è la buona capacità installata di generatori di punta sul totale installato (18 GW di idroelettrico, 1,8 di turbine a gas e ben 3500 di generatori rotativi - grandi motori a combustione interna da pochi MW installabili in modo diffuso con poco spazio ed anche senza acqua di raffreddamento). Al momento del record del 40% la rete richiedeva 25GW di cui una decina erano eolici variabili ed una quindicina carbone e nucleare costanti. Al gestore spagnolo bastava tenere in standby l'idroelettrico e i generatori rotativi al minimo per contrastare qualsiasi variazione drastica, anche del 50%, della potenza che ammontava al 2006 a circa 12 GW.

Ciò fa ben sperare per noi in quanto abbiamo una struttura simile, con molto idroelettrico, ma rispetto alla Spagna noi, oltre ai problemi di interconnessione con l'estero, abbiamo anche problemi di interconnessione tra le nostre subregioni elettriche, ad esempio tra i due lati dell'Appennino. Ciò implica che le due fonti che potrebbero controbilanciarsi, eolico ed idroelettrico, essendo concentrate geograficamente agli antipodi, a sud l'eolico, a nord il grosso dell'idroelettrico possono interagire con difficoltà. Se, per dire, sull'Appennino Apulo-Campano stessimo producendo 1 GW di potenza eolica e vi dovessero essere variazioni importanti, ad es. +/-300MW la potenza idroelettrica che potrebbe bilanciare non si trova nelle vicinanze, bensì sulle Alpi e se in quel momento l'interconnessione fosse satura non potrebbe veicolare la potenza necessaria a soccorrere. Un problema comune ad altre zone ricche di vento, le isole, dove anzi è anche più acuto. Per il nostro paese la soluzione per l'aumento dell'eolico è potenziare le interconnessioni (elettrodotti) , distribuire meglio i generatori (più impianti nel centro che importa da nord e sud intasando le linee) e potenziare gli invasi presenti nel centrosud e nelle isole (sempre che vi sia sufficiente acqua).

Altra importante differenza tra il potenziale eolico spagnolo e quello italiano è il fatto che i venti che spazzano la penisola iberica sono più costanti e prevedibili, quelli che investono la nostra penisola meno intensi e più caratterizzati da turbolenza (meno prevedibili). In ogni caso la potenza intermittente attualmente installata in Italia è ancora inferiore al 10% ed il gestore Terna ha gia provveduto a far partire i lavori di potenziamento degli elettrodotti, anche con lo scopo dichiarato di prevenire i rischi descritti. Un nuovo collegamento con l'estero (Tunisia) è in fase di realizzazione e può contribuire a sfruttare meglio le potenzialità eoliche e solari della Sicilia. Per cui l'apporto dell'eolico e del solare potrebbe crescere ancora in modo rilevante raggiungendo il 4% dei consumi odierni di energia anche senza superare il limite del 20% della potenza installata.

La Francia sembra non possa permettersi di mettere l'idroelettrico al servizio dell'eolico perchè ha già problemi con la flessibilità di bilanciamento della rete pressocchè nulla del nucleare, ciò si riflette nella poca potenza eolica installata. I Francesi potrebbero potenziare il loro parco turbogas ma sarebbe un beffardo destino per un paese che ha un surplus tanto rilevante di energia nucleare trovarsi costretto ad aumentare la dipendenza dal costoso gas proprio ora che è sempre più in dubbio il futuro approvigionamento di questo combustibile. Recentemente sulla stampa francese si è parlato di un grande progetto eolico del governo:. mulini eolici di grande taglia in tutte le regioni ventose (Nord e Provenza) per un totale di alcuni GW. Se la rete francese potrà tollerare questa nuova potenza, sarà grazie al fatto che è ben interconnessa al resto d'Europa. Un possibile rischio è che se contano sull'Italia per bilanciare una variazione improvvisa di vento in Provenza potrebbero avere qualche spiacevole sorpresa. Esiste un precedente ben documentato di black out con effetto domino dovuto al mancato apporto di potenza dall'estero (settembre 2003)

Il caso della Danimarca non è significativo, è realmente troppo piccola la potenza installata e troppo più grandi le inerzie delle reti tedesche e scandinave con cui è fittamente interconnessa che potrebbero produrre anche tutto con l'eolico vendendo e comprando energia dai vicini secondo necessità per bilanciare.

La Germania ha tanto eolico e poco idroelettrico ma ha una rete molto più sviluppata ed interconnessa con Francia, Europa centrale/orientale e Scandinavia. Per variare l'inerzia di quella rete ci vorrebbe un disastro, es. bonaccia completa e inattesa sul Baltico, cosa che è già successa e può succedere ancora, se non si prendono particolari provvedimenti il prezzo da pagare può essere qualche ora di blackout all'anno

Il Regno Unito ha una situazione peggiore della nostra, ha tanto vento ma in teoria non può permettersi di aumentare molto la potenza intermittente perchè ha troppo poco idroelettrico ed è mal interconnessa con il resto d'Europa, infatti hanno meno eolico di noi. Chi ha il pane non ha i denti verrebbe da dire. Per contro i venti sulle isole britanniche sono molto forti e persistenti e sono certo che i gestori della rete britannica sarebbero in grado di trovare soluzioni adeguate se indirizzati da una chiara politica governativa.



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domenica, maggio 25, 2008

Nucleare: il grande pendolo


Curioso paese l'Italia; sempre in controtendenza rispetto al resto del mondo. Come un grande pendolo, oscilla da un estremo all'altro senza mai riuscire a trovare un equilibrio. Una volta, l'Italia era chiamata "la Grande Proletaria", oggi abbiamo un tasso di natalità fra i più bassi del mondo. Una volta eravamo una terra di gente frugale, ora rischiamo di finere sommersi dai nostri stessi rifiuti. Una volta eravamo un paese di emigranti; oggi abbiamo trovato il modo di farci accusare di razzismo dai nostri vicini europei.

Ma l'Italia è un paese strano anche - e forse soprattutto - nei riguardi dell'energia: il "paese del sole" trascura l'energia solare e si lancia, invece, sul nucleare, pur essendo del tutto privo di risorse di uranio minerali. Il paese che negli anni '50 e '60 aveva un programma nucleare all'avanguardia è stato l'unico paese al mondo che ha chiuso i reattori nucleari per referendum popolare. E' un paese dove, al tempo del referendum, nel 1987, tutte le forze politiche di quello che si chiamava allora "l'arco costituzionale" erano contro il nucleare e dove, oggi, è esattamente il contrario per tutte le forze politiche rappresentate in parlamento. E' proprio un pendolo che oscilla.

Il pendolo oscilla per tante ragioni; principalmente perché avevamo esagerato negli anni '80 nel demonizzare il nucleare. Gli ambientalisti italiani erano caduti nella trappola di credersi fautori e vincitori di un referendum che aveva ben altre origini e motivi ben più oscuri di quello di far trionfare le "energie verdi". Ora, si trovano vittime della la sindrome della "pugnalata alla schiena", qualcosa di simile all'accusa che i socialisti tedeschi si trovarono a fronteggiare dopo la prima guerra mondiale. Il tanto vituperato nucleare ha oggi il sapore del frutto proibito che non avevamo mai assaggiato; l'aspetto dell'erba del vicino che ci sembra sempre più verde.

Perciò, era inevitabile che prima o poi si arrivasse a qualcosa come la presa di posizione del governo che annuncia il ritorno al nucleare. Come tutte le cose inevitabili, non poteva essere evitata e il pendolo deve ora fare la sua oscillazione all'indietro. Notate però come funziona un pendolo; quando passa dal punto più basso viaggia alla massima velocità e sembra che debba salire fino a chissà dove, ma poi rallenta fino a fermarsi. Il programma nucleare prospettato da Scajola parte con molto entusiasmo, ma fronteggia delle difficoltà immense. Già a breve termine, le incertezze sono notevoli, come ha ben riassunto, fra gli altri, Carlo Stagnaro. Ma è soprattutto più avanti nel futuro che le cose si fanno oscure.

Il futuro dell'energia nucleare è estremamente incerto in un mondo che ha già scavalcato il picco del petrolio e che si appresta a scavalcare quello degli altri combustibili fossili. Nel turbine del grande cambiamento, l'energia nucleare mostra segni di ripresa dopo una stasi che era durata decenni. Ma è una ripresa molto debole. Se dovessimo coprire con l'energia nucleare anche solo le forniture di energia elettrica mondiali, dovremmo costruire oltre 2000 nuove centrali; molte di più se volessimo coprire il fabbisogno di energia primaria mondiale. Ma, in tutto il mondo, ci sono oggi solo 35 nuove centrali nucleari in costruzione. Ammesso che le si costruiscano veramente, basteranno a malapena per sostituire i vecchi impianti che hanno terminato la loro vita operativa. La stasi dell'energia nucleare continua.

Ci sono molte ragioni per questa stasi: incertezze sulla sicurezza, sui costi, sulla gestione delle scorie, sulla disponibilità di uranio fissile, sulla problematica strategica e altre. Quella della fissione nucleare è una tecnologia complessa e difficile che implica enormi costi di investimento con ritorni lontani nel futuro. E' quasi impossible che gli investitori si lancino in un'impresa così difficile e incerta senza un pesante intervento finanziario istituzionale. Un intervento del genere sembra piuttosto difficile nell'attuale situazione di ristrettezze economiche generalizzate. Nel frattempo, i progressi dell'energia rinnovabile potrebbero rendere la fissione nucleare obsoleta come le locomotive a vapore.

Queste difficoltà sono percepite dall'industria nucleare che sta facendo uno sforzo per migliorare la tecnologia con le centrali cosiddette di terza e quarta generazione che potrebbero risolvere, o perlomeno alleviare, problemi come le limitate risorse di uranio minerale. Ma anche per questi miglioramenti occorrono investimenti giganteschi, i tempi necessari sono molto lunghi e le incertezze sono tante. Entro i prossimi 10-20 anni, il massimo che ci possiamo aspettare è che l'energia nucleare mantenga la posizione che ha adesso fra le fonti energetiche mondiali. In un futuro più lontano, le nuove tecnologie di fissione, o forse la fusione, potrebbero portare a una rinascita dell'energia nucleare, ma ne potremmo anche vedere l'estinzione definitiva.

Di fronte a questa situazione, l'Italia si trova in una situazione particolarmente difficile per due motivi. Il primo è che non possiede risorse proprie di uranio minerale. Arrivati a completare le centrali proposte, potremmo trovarci a non essere in grado di alimentarle in una situazione di competizione internazionale per accaparrarsi le risorse di uranio disponibili. Il secondo è che il sistema industriale italiano è tutto basato sui combustibili fossili ed è particolarmente fragile di fronte a una crisi già in atto e che non può che peggiorare. Le nuove centrali arriverebbero troppo tardi per alleviare il problema; non potrebbero cominciare a produrre energia prima del 2020, circa. Ben prima del 2020 potrebbe diventare impossibile trovare le risorse necessarie per completarle. Le nuove centrali italiane potrebbero diventare archeologia industriale ancor prima di nascere.

Pur di fronte a queste difficoltà, va anche detta una cosa a favore della presa di posizione di Scajola: ha avuto il risultato di mettere in luce l'importanza del problema energetico in Italia e di evidenziare la necessità di fare delle scelte radicali e di farle subito. Se non altro, ha dato una bella scossa a certi settori dell'ambientalismo italiano che ancora si gingillano con l'idrogeno di Rifkin e con l'infinita pletora di aggeggi definiti con il prefisso "eco-", quasi tutti delle ecoballe.

Chi si dichiara contro il nucleare, a questo punto, deve proporre delle alternative serie. Non ci si può più limitare a propugnare soltanto soluzioni "deboli" basate sul risparmio. Ben vengano doppi vetri e lampadine a basso consumo, ma bisogna anche porsi il problema di produrre energia. Se non si produce qualcosa, non si può risparmiare niente.

Abbiamo un'alternativa seria al nucleare: sono le rinnovabili, una serie di tecnologie in rapidissima crescita che non hanno problemi strategici, di scorie, o di disponibilità di combustibili. Con le rinnovabili possiamo contrastare la crisi del petrolio da subito. Purtroppo, però, le rinnovabili sono state colpevolmente trascurate e oggi abbiamo accumulato un ritardo spaventoso nei riguardi degli altri paesi europei, come la Germania. Su questo ritardo, l'ambientalismo italiano ha delle gravi responsabilità. A parte alcune lodevoli eccezioni, gli ambientalisti hanno sistematicamente trascurato il problema della produzione energetica. Ma tutti i governi degli ultimi decenni hanno trascurato il problema e, in generale, tutta la società italiana si è dimostrata refrattaria all'innovazione e ancorata al paradigma petrolifero.

Ma non è troppo tardi e le rinnovabili si stanno facendo strada come una soluzione reale ai problemi che abbiamo. Anche per le rinnovabili, il pendolo deve fare la sua oscillazione e l'Italia può ancora mettere in pratica la sua vocazione di paese del sole. Perché no? Il pendolo si sta già muovendo in quella direzione.



Per approfondire, potete consultare il documento di ASPO-Italia che riassume i pro e i contro dell'energia nucleare.

sabato, maggio 24, 2008

La storia del mondo riassunta in un solo grafico

da The Oil Drum
"Coal": carbone; "domestic oil": petrolio nazionale; "nuc": nucleare "firewood": legna da ardere; "hydro" : idroelettrico; "windmill": eolico; "p.voltaic": fotovoltaico. Scala delle X: energia in exajoules, scalla delle Y, resa energetica dell investimento, EROI


Guardate il grafico qui sopra, dovuto a Charles Hall e pubblicato su "The Oil Drum". Riassume in un'unica immagine tutto il problema che ci troviamo di fronte. Tutti parlano di "esaurimento del petrolio" ma non è quello il problema. Il problema è quello che vedete: non si esaurisce niente ma la resa energetica (EROI o EROEI) sta calando.

La resa energetica si definisce come il rapporto fra l'energia prodotta e l'energia investita in un certo impianto o tecnologia durante tutta la sua vita operativa. Occorre energia per costruire l'impianto, manutenzionarlo, e fornire combustibile. Se ci vuole più energia per queste cose di quanta l'impianto non possa produrre, (ovvero EROI minore di 1), allora non serve a niente.

Charles Hall, professore di economia all'università di New York, ha preparato questo grafico come riassunto di una revisione completa degli EROI di tutte le tecnologie energetiche note. Lo ha presentato con il valore dell'EROI sull'asse Y e la quantità totale di energia prodotta al mondo sull'asse X. Le tecnologie migliori sono quelle che stanno più in alto nell'asse delle Y, ovvero quelle che hanno l'EROI maggiore. Le tecnologie più importanti sono quelle che stanno molto a destra sull'asse delle X. Esaminando il diagramma, vediamo una serie di cose estremamente interessanti.

La prima è a proposito del petrolio che, negli anni 1930 negli Stati Uniti, aveva la resa energetica massima osservata nella storia per qualsiasi tecnologia energetica: circa 100. Notate anche come questa resa sia calata nel tempo. Negli anni '70 era già sotto il valore di 40. Oggi è scesa sotto il valore di 20 e possiamo presumere che continui a scendere. Questi valori sono solo per gli Stati Uniti ma possiamo presumere che la stessa tendenza sia in atto in tutto il mondo. In altre parole, il petrolio sta terminando il suo ciclo non perché non ci sia più petrolio da estrarre, ma perché la resa energetica sta scendendo sotto valori interessanti.

Cosa troviamo al posto del petrolio? Vediamo che l'EROI del gas naturale è leggermente superiore a quello del petrolio ed è probabilmente per questa ragione che si tende a sostituire il petrolio con il gas; ma la resa del gas è comunque bassa. Molto migliore sembra essere quella del carbone ma, attenzione, la resa del carbone dipende criticamente dalla distanza alla quale viene trasportato. Se si costruisce una centrale elettrica sopra la miniera di carbone, allora la resa è buona. Ma se lo si deve mettere su un treno e trasportare a lunga distanza, la resa scende drammaticamente. Quindi, non vi aspettate miracoli dal carbone per un paese, come l'Italia, che non ha carbone sul territorio nazionale. E questo non tiene conto dei danni all'atmosfera che fa il carbone, come pure del fatto che la resa energetica del carbone scende drammaticamente se si inseriscono nel calcolo i costi per il sequestro geologico del biosssido di carbonio emesso. In un puntino in basso a sinistra, trovate le sabbie bituminose: un valore dell'EROI ben sotto l'unità; da non pensarci neanche.

Per quanto riguarda le tecnologie non basate sui fossili, vediamo che la migliore è nettamente l'idroelettrico. Ma notate anche che la quantità di energia prodotta dall'idroelettrico è modesta: purtroppo esiste soltanto un potenziale limitato per l'energia elettrica nel mondo. Lo stesso vale per la legna da ardere, che rende bene in quanto tale, ma che non può fare più di tanto semplicemente perché non ci sono abbastanza alberi. Scendendo giù nella scala dell'EROI, troviamo l'eolico come la migliore delle rinnovabili. Segue il tanto decantato nucleare, che rende piuttosto poco nel complesso. Circa alla stessa altezza del nucleare troviamo il fotovoltaico che però ha il vantaggio di essere una tecnologia giovane e in pieno corso di miglioramento. Per quanto riguarda biodiesel e bioetanolo, siamo su valori bassissimi; probabilmente nettamente inferiori a 1. Neanche lontanamente da pensarci.

Il grafico di Hall contiene anche alcune "chicche" interessantissime. Notate la linea orizzontale tratteggiata in basso, definita come "limite necessario per la civilizzazione". Non si sa quale sia esattamente il valore dell'EROI corrispondente a questa linea, ma è chiaro che ogni civilizzazione ha bisogno di un certo surplus energetico per esistere. Niente surplus, niente civilizzazione. Per il petrolio, gas e altre cose, ci stiamo pericolosamente avvicinando a quello che potrebbe essere il limite minimo di sopravvivenza. Notate anche le linee tratteggiate verticali. Quella più a sinistra è il "potenziale delle foreste" ovvero il limite massimo di energia che potremmo produrre sfruttando le foreste in modo sostenibile. Vedete che è molto basso; impossibile pensare a una civilizzazione come la nostra basata soltanto sulla biomassa. La linea verticale più a destra, invece, è l'energia totale connessa a tutta la fotosintesi terrestre. Notate come i consumi degli Stati Uniti, da soli, sono oltre quel limite. Quando si dice insostenibilità!

Il grafico ci riassume con molta chiarezza gli eventi degli ultimi decenni: il declino del petrolio, il parziale ritorno del carbone, la difficoltà per tecnologie come il nucleare e le rinnovabili di soppiantare il petrolio e gli altri fossili. Nel futuro, le stesse tendenze si faranno sempre più nette e già ora i tempi sembrerebbero maturi per sostituire i fossili con un misto di nucleare e di rinnovabili. Il problema è che abbiamo cominciato tardi. Abbiamo aspettato che l'EROI dei fossili scendesse a livelli tali da rendere assolutamente necessaria la sostituzione. Ma, allo stesso tempo, in questa fase abbiamo bisogno di energia dai fossili per rimpiazzare i fossili. Con l'EROI in picchiata, però, questa energia diventa sempre più cara e questo ci mette in difficoltà. Faremo in tempo a sostituire i fossili, o il nostro destino sarà scendere sotto quella linea di "minimo indispensabile per la civilizzazione"? Ancora ce la potremmo fare, forse........


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giovedì, maggio 22, 2008

A qualcuno piace caldo

Ogni tanto, ti capita in mano un libro che vorresti aver scritto tu. Questo è il caso del lavoro di Stefano Caserini "A qualcuno piace caldo"dedicato a sbugiardare i negazionisti climatici. E' una cosa che veramente vorrei aver scritto io ma che, ovviamente, Caserini ha scritto molto meglio di quanto avrei potuto fare io.

"A qualcuno piace caldo" è dedicato alle infinite fesserie sul cambiamento climatico profferite da un gran numero di persone di scarsa competenza ma di robuste doti sproloquiatorie. Una fesseria ogni tanto, la puoi ignorare. Alle volte, quando viene detta con grande insistenza, ti fa arrabbiare. Ma vederne tante tutte insieme come Caserini con pazienza raccoglie ti da un quadro allo stesso tempo esilarante e sconfortante della situazione. Particolarmente gustose sono le note sulle "Zichicche"e sul "Clima di Battaglia". Viene da dire, veramente, ma in che mani siamo messi?

Purtroppo, per quanto sia divertente leggere queste cose, è un fatto che il dibattito sul riscaldamento globale sta degenerando. Chi interviene, sembra che non riesca a rendersi conto che stiamo parlando di una cosa seria dalla quale dipende il nostro futuro e quello di chi ci seguirà. Non è un dibattito politico che si possa risolvere con la solita propaganda e poi si va a votare e la maggioranza vince. Anche se la maggioranza pensasse che il riscaldamento globale non esiste, o che non è causato dall'uomo, questo non farebbe sparire il problema.

Quindi, è utile e necessario che un libro come quello di Caserini metta in luce i bassi trucchi che si stanno utilizzando per confondere la gente sull'argomento. Assolutamente da leggere.



Il libro sarà presentato alla manifestazione "Terra Futura" a Firenze, il 23 Maggio 2008 dall'autore insieme con Ugo Bardi, Domenico Gaudioso e Teodoro Georgiadis. Ore 15:00 spazio Media-Eventi, padiglione Spadolini.




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mercoledì, maggio 21, 2008

130 dollari al barile: troppo in fretta



Quello che sta succedendo, ASPO l'aveva previsto già da un pezzo. Ma devo confessare che gli aumenti dei prezzi degli ultimi tempi stanno prendendo di sorpresa anche me. I 130 dollari al barile sono arrivati con una rapidità impressionante. Non mi aspettavo che le cose cambiassero così in fretta.

Ho provato a interpretare la situazione sulla base di certi dati storici sulla produzione dell'olio di balena in un post che ho pubblicato la settimana scorsa su "the oil drum". Sembrerebbe che siamo di fronte a un'oscillazione violenta che potrebbe andare ancora molto in alto per poi precipitare insieme alla recessione dell'economia. Non si sa dove potrebbe arrivare: 150, 200 dollari al barile o anche di più. Oppure potrebbe crollare dando - per un breve periodo - l'illusione che il peggio è passato. Chi può dirlo?

Comunque la si voglia vedere, i prezzi stanno facendo il mestiere che ci si aspetta che facciano in un libero mercato. La produzione petrolifera è piatta ma le esportazioni sono in diminuzione a causa degli aumenti dei consumi interni dei paesi produttori. Se diminuisce l'offerta, i prezzi devono aumentare. Qualcuno deve stringere la cinghia e consumare meno.

La stretta alla cinghia, con i prezzi che vediamo, sembrerebbe piuttosto brutale: una cura dimagrante di quelle tipo "sette chili in sette giorni". Ma, ricordiamoci anche che, per fortuna, i 130 dollari al barile si riferiscono a un petrolio "convenzionale", un petrolio di carta che si scambia nelle varie borse petrolifere mondiali. Il petrolio quello vero, per ora nessuna raffineria lo ha pagato 130 dollari al barile. La benzina che compriamo, la plastica, i fertilizzanti e tutto quello che viene dal petrolio e che è oggi in vendita non hanno ancora risentito del balzo in avanti dei prezzi. Il colpo viene anche attutito da contratti a lungo termine che, per esempio, fanno le compagnie aree per assicurarsi carburante.

Però, se le cose rimangono così, alla fine le raffinerie dovranno comprare il petrolio a questi prezzi e passare gli aumenti ai loro clienti. A questo punto, molte cose non potranno sopravvivere. I viaggi aerei a buon mercato, per esempio. L'Alitalia potrebbe essere la prima vittima. Ma l'Alitalia potrebbe essere soltanto il "canarino della miniera" di tutta l'economia industriale italiana che è nata con il petrolio a basso prezzo e potrebbe non sopravvivere nelle nuove condizioni. Non sono solo i viaggi a Sharm el Sheik che sono in pericolo. E' tutto un modo di vivere al quale siamo abituati e che, fino ad ora, c'era sembrato il naturale ordine delle cose.

Può darsi che le cose si calmino e che il mercato ci dia un po' di respiro per prepararsi meglio. Ricordiamoci che, nonostante tutto, siamo oggi pur sempre al massimo storico mondiale della produzione petrolifera. La fine del petrolio è ancora lontana decenni e ancora per diversi anni potremo mantenere la produzione a livelli non diversi dagli attuali. Se non ci facciamo prendere dal panico, possiamo reagire. Ci sono soluzioni; purché abbiamo il coraggio di dominare il cambiamento e non - come abbiamo fatto fino ad ora - esserne dominati.





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martedì, maggio 20, 2008

L'Energia nucleare secondo Luigi Sertorio

Questo è un guest post di Luigi Sertorio autore, fra le altre cose, dell'interessantissimo libro "storia dell'abbondanza" e il recente " Cento watt per il prossimo miliardo di anni.



L'ENERGIA NUCLEARE
Luigi Sertorio
Dipartimento di Fisica Teorica
Università di Torino
sertorio@to.infn.it
Marzo 2008


Le risorse naturali si dividono innanzitutto in due categorie: risorse di miniera e risorse di flusso. Esempi della prima categoria sono per esempio il marmo, i diamanti, i metalli preziosi. L'esempio più importante della seconda categoria è l'acqua che scorre continuamente dalle montagne a valle e può essere usata per bere, o lavare, o altre attività, tanto che gli insediamenti umani continentali si sono sviluppati accanto a un torrente o fiume o lago. Quella che non fluisce come torrente cade come pioggia e così sostiene il rifornimento, accoppiandosi all'anidride carbonica, della vita fotosintetica.

Le risorse energetiche sono un sottocaso delle risorse naturali e si dividono anch'esse in miniera e flusso. Sono quelle risorse dalle quali si può ottenere energia sotto forma di lavoro utilizzabile. Queste parole appartengono alla termodinamica, che ha insegnato a distinguere fra tre forme di energia: energia interna, calore e lavoro. La termodinamica nasce fra la fine del Settecento e l'Ottocento. Si noti che l'energia sotto forma di lavoro è importante per tutti gli organismi viventi. Ogni organismo ha un metabolismo, consuma energia solo per il fatto di vivere, ma in più esercita un lavoro sull'esterno. Il leone corre per acchiappare la preda e la preda corre per sfuggire. Entrambi sono macchine capaci di dare lavoro esterno, che viene messo in opera in maniera intermittente a differenza del metabolismo che è uniforme e costante. La media del lavoro esterno, calcolata sull'arco della giornata, è una piccola percentuale dell'energia consumata nel metabolismo.

L'uomo è speciale perché sa costruire motori che gli servono per amplificare le sue attività esterne, facendo tante cose che gli altri animali non sanno fare. La teoria dei motori termici nasce con il fisico Carnot (1796-1832); prima di lui c'erano i motori eolici, le navi a vela e i mulini a loro volta azionati dal flusso solare. Osserviamo incidentalmente che oggi si parla di energia solare come novità, ma è proprio questa la prima forma di risorsa energetica di flusso che l'uomo ha imparato a usare, e fin dai tempi più antichi.

I motori termici necessitano di un combustibile, che nell'atto della combustione genera energia sotto forma di calore, poi il motore termico trasforma una certa percentuale del calore in energia sotto forma di lavoro. Il rendimento è il rapporto fra lavoro e calore ed è un numero sempre minore di uno. Questo è un concetto che discende dai principi fondamentali della fisica (ciclo ideale e teorema di Carnot). Il rendimento è basso, vicino a zero, se la temperatura di combustione è vicina alla temperatura dell'ambiente (la temperatura media della superficie terrestre, per fissare le idee). E' alto, vicino a uno, se la temperatura di combustione è molto più alta della temperatura ambiente. Quindi la combustione ad altissima temperatura è pregiata. Per cominciare, però, occorre sempre avere l'energia generata dalla combustione. Se prendiamo come unità l'energia erogata da una reazione chimica si trova che l'energia erogata da una reazione nucleare del tipo fissione è un milione di volte più grande, se è del tipo fusione è dieci milioni di volte più grande.

Ciò premesso passiamo a considerare i motori. Partendo dal petrolio si possono fare motori a pistoni delle più svariate dimensioni e potenze: dallo scooter alla nave da guerra. Con le turbine si possono azionare oltre alle grandi navi anche i generatori elettrici e alimentare le reti elettriche delle città. I motori a combustibile chimico sono dunque flessibili: non solo possono essere costruiti per erogare tutte le potenze che si vogliono, ma possono essere accesi e spenti a volontà. Il motore alternativo azionato dalla combustione nucleare sarebbe bello e, come visto sopra, efficientissimo secondo Carnot, ma non può esistere, perché ogni atto di combustione nucleare eroga energia ad altissima temperatura, temperatura incompatibile con l'esistenza della struttura del motore stesso. Nelle esplosioni nucleari a fissione o fusione si hanno appunto codeste temperature, ma chiaramente non si possono fare motori che ad ogni ciclo del pistone usassero una piccolissima bomba atomica; sarebbe una meraviglia, sarebbe l'analogo della fase di scoppio dei motori d'automobile, che sono astutissimi, ma non è cosa realizzabile per il semplice motivo che tale motore sarebbe vaporizzato ad ogni atto di esecuzione del ciclo.

Dunque occorrono "reattori", cioè macchine nelle quali con artifici di ingegneria si controlla la combustione nucleare rendendola lenta e lontanissima dall'esplosione, quindi non cercando di ottenere il massimo lavoro ma creando invece un passo intermedio, la produzione di vapor d'acqua a temperatura domabile tecnologicamente, vapore che infine aziona una turbina a vapore, la quale a sua volta aziona come ultimo passo una dinamo. Dalla dinamo parte l'immissione della corrente elettrica nella rete di distribuzione cittadina. In conclusione le macchine nucleari sono perfette per azionare generatori elettrici ma incompatibili con l'idea di fare motori del tipo "endotermico", quello delle automobili e degli aerei. Se si vuole a ogni costo passare ai motorini qualsivoglia partendo dall'energia nucleare occorre dunque postulare la realizzabilità tecnica di artifici come, per esempio, l'idrogeno estratto dalla molecola d'acqua, messo in serbatoio e poi utilizzato come carburante, con tecniche che però non esistono ancora.
Infine tutti i passi dell'ingegneria nucleare sono caratterizzati da due proprietà di importanza sociale e politica. A seconda dell'ingegnere a cui si affida il lavoro progettuale si possono avere bombe o centrali civili. La fisica da conoscere è sempre la fisica nucleare e non si può dividere in due parti non comunicanti il cervello dei fisici, o degli ingegneri nucleari.

Ne segue che la gestione della produzione di energia nucleare "deve" essere affidata a mani militari, quelle educate alla rigorosa disciplina di controllo ed esecuzione. Figuriamoci se la preparazione del combustibile, il processo di arricchimento, la gestione delle fabbriche che costruiscono da una parte le bombe e dall'altra le centrali civili, se la gestione delle centrali elettronucleari, se la gestione dei siti radioattivi alla fine della vita delle centrali stesse fosse affidata a organismi permeabili alla corruzione o anche solo prone alla gestione allegra.
La fisica è bella, la tecnologia è difficile, l'insipienza umana è pericolosa. Sono queste le cose da sapere e su cui meditare quando si parla di strategie energetiche intese a sostenere la dinamica del consumismo.


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sabato, maggio 17, 2008

Siamo tutti incompetenti



"Dilbert", la striscia creata da Scott Adams, genera il suo umorismo dall'incompetenza rampante in ufficio.
"Il nostro piano di salvataggio di emergenza" "AIUTO, AIUTO!"


Anni fa, la morte del professor S. mi fu annunciata da uno dei suoi allievi. "Povero professor S.", mi disse, "ci teneva tanto ad arrivare a pubblicare mille articoli, e invece non c'è riuscito." Da allora, mi è rimasta in mente l'immagine dell'anziano professore sul suo letto di morte che, con occhi spiritati, pronuncia le sue ultime parole, "Soltanto 999......."

Questa storia da una certa idea dell'importanza che gli scienziati danno alla pubblicazione di articoli scientifici, una cosa che in inglese si dice a volte con l'espressione "pubblica o muori" ("publish or perish"). Il numero di articoli pubblicati, e il numero di citazioni che ricevono in altri articoli ("impact factor") è oggi quasi il solo criterio di giudizio per la carriera di un accademico.

Tuttavia, ci possiamo anche domandare se questo sia veramente un criterio per giudicare la competenza di un accademico. Pensando al caso del buonanima professor S., certamente era competente nel mestiere di pubblicare articoli scientifici; ma era veramente un bravo scienziato? Forse, ma va anche detto che i suoi lavori non hanno lasciato traccia nella scienza, nemmeno nel campo specifico in cui lavorava. Possiamo dire che perlomeno insegnava bene ai suoi studenti? Mah? Questo certamente non dipende dal numero di articoli pubblicato.

Ho il dubbio che il caso del prof. S. non sia isolato e che molti accademici passino la loro vita a pubblicare articoli, senza preoccuparsi troppo che quello che pubblicano sia utile a qualcun altro. Quello degli accademici e della loro ossessione con il "publish or perish" è solo uno dei casi in cui la competenza di qualcuno viene calibrata su elementi che poco hanno a che fare con la capacità di quel qualcuno di far bene il suo mestiere. Pensate a uno studente che viene giudicato dalla capacità di ripetere quello che ha letto nelle dispense; ma ha veramente capito quello che ha studiato? Oppure pensate a quante volte si giudica qualcuno in base al numero di ore che sta in ufficio, o un manager sulla base della sua capacità di fare buone "pubbliche relazioni" Per quanto riguarda l'incompetenza in ufficio, vi potete leggere le strisce di "Dilbert" che sono molto divertenti perché, alla fine dei conti, quello che raccontano non è poi tanto diverso dalla realtà.

Un caso eclatante di incompetenza dirompente è quello dei politici, di cui più o meno si lamentano tutti. Non c'è da stupirsene troppo. La competenza di un politico di successo sta tutta nel riuscire a farsi eleggere. Questo implica essere in grado di raccogliere le risorse economiche necessarie per una campagna elettorale e apparire in TV dicendo cose banali con la massima serietà. Quanto poi a essere bravo a amministrare la cosa pubblica, beh, questo ha importanza soltanto per l'elezione successiva e comunque viene presto dimenticato nella nuova campagna elettorale.

Perché questa incompetenza dilagante? Beh, probabilmente c'è una ragione abbastanza semplice. Il mondo diventa sempre più complicato, mentre le nostre teste rimangono quelle che sono. E' già difficile fare la ricerca scientifica, figuriamoci amministrare un comune, una regione, o un paese di quasi sessanta milioni di persone. Certo, però, qualche volta mi sembra che ci sia anche chi esagera....


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venerdì, maggio 16, 2008

ASPO - 2 : il Cristiano di fronte alla crisi delle risorse


Il convegno ASPO-2 del 3 maggio ha ospitato nella sessione pomeridiana l'intervento di alcuni oratori, che hanno animato il dibattito sulla risposta umana e etica al picco del petrolio. Tra questi è intervenuto don Gabriele Scalmana, sacerdote, pensatore ecologista e docente di etica ambientale.

Diversamente da alcuni gruppi di ispirazione cattolica, che manifestano una sorta di rifiuto a certe argomentazioni oggettive e a base scientifica, don Gabriele introduce i concetti di limite e di uso razionale delle risorse. L'Uomo non è il padrone dell'ambiente, ma è nell'ambiente ed è in esso armonicamente integrato, senza alcun rapporto di dominanza nè di sudditanza. Dal punto di vista della scienza del 20° secolo, questo concetto di integrazione coincide con la complessità delle interazioni dinamiche che si manifestano tra le popolazioni biologiche, in seno agli ambienti terrestre, marino e atmosferico.
Molto dense le argomentazioni che fanno capo a san Francesco d'Assisi (tra l'altro citato l'anno scorso anche da Ali Morteza Bakhtiari) quale modello di sobrietà, e al secondo libro della Genesi, in risposta a una domanda sulla posizione della Chiesa circa l'asserto "crescete e moltiplicatevi". Come don Gabriele ha scritto in altri suoi pensieri (facilmente reperibili via google), la Bibbia non è un testo scientifico e nemmeno storico, ma appartiene alla mitologia. E' indiscutibilmente un libro vivo, ricco di insegnamenti, in cui gli episodi vanno letti in chiave opportuna e non presi alla lettera, vanno inquadrati nella cultura e nel contesto di migliaia di anni fa. Mi viene da pensare quanto fosse difficile per una famiglia del tempo coltivare la terra se non si avevano figli (la massa critica delle famiglie-comunità rurali arriva a numeri a due cifre). Ad oggi il fenomeno è esattamente l'inverso, e assistiamo a una pressione demografica molto elevata nelle megalopoli, estremamente dipendenti da flussi energetici ininterrotti e abbondanti.

Qui sotto trovate la traccia che il sacerdote ha seguito durante il suo intervento.

Grazie Gabriele per il tuo prezioso contributo (FG)


Introduzione
Parto da una premessa necessaria per comprendere il mio intervento: la cultura umana è di grande aiuto alla Chiesa (cfr. Gaudium et Spes, n. 44, 1965).
In particolare, l'ecologia è una scienza (recente!), ma è anche un “luogo” di riflessione teologica, a partire dai suoi due principi fondamentali:
- la relazionalità (sistemicità, complessità) → la Trinità, l'Incarnazione, l'amore
- il limite (donde la crisi delle risorse) → la creaturalità (in ambito teologico) e la povertà (in ambito morale)
L'anno cruciale: 1971 → Limiti dello sviluppo, prima proposta di Gaia (J. Lovelock), lettera apostolica di Paolo VI Octogesima adveniens (n. 21)

Quali virtualità teologiche ed etiche sono presenti nel concetto di limite?

Aspetto teologico: l'idea di creazione
La creazione non è tanto il “fare iniziale di Dio” (problema più scientifico che teologico). L'idea di creazione comprende due concetti che le scienze moderne ci hanno permesso di riscoprire.
1. Dio è il “fondamento” di ogni esistenza: solo Dio è “assoluto”, il mondo (e con esso l'uomo) non ha in sé la ragione del suo esistere, è “creatura” e non “creatore”, è limitato, è un “umile” (da humus, terra, adamah), è un “povero ontologico”. Una icona biblica (che riprende un antico mito, per i credenti fonte di rivelazione divina, per i non credenti custode della sapienza degli antichi) illustra bene creaturalità dell'uomo: la torre di Babele (Genesi 11); il racconto insegna che il mondo non è infinito, che vi è un limite fisico imprescindibile. Pensiamo anche al precetto del riposo: la terra deve riposare (sabato, anno sabbatico e giubilare; la nostra domenica)
2. Dio accompagna la storia del mondo (anche quella naturale) e ci dona speranza: se esiste un creatore, la creazione non può fallire! Anche gli scienziati, soprattutto gli scienziati dell'ambiente hanno bisogno di speranza! E così il circolo virtuoso si chiude: la scienza offre alla teologia materia di riflessione e la teologica ridona alla scienza il senso della sua ricerca.

Aspetto etico: la povertà come beatitudine
La discussione sulla beatitudine della povertà (Matteo 5,3) è antica: cosa significa? Oggi viene riscoperta come sobrietà più giustizia.
La sobrietà è dettata dai limiti del mondo: non solo nelle risorse (energetiche o minerali), ma anche negli equilibri globali (esempio: i cambiamenti climatici), nella biodiversità (scomparsa di specie viventi). Sobrietà personale, famigliare, professionale, sociale...
La giustizia è imposta dalla globalizzazione economica e informatica: i popoli della fame, della sete, dello sfruttamento umano e naturale (esito nefasto del liberalismo mercantile) ci accusano; sia la giustizia che l'ecologia richiedono un nuovo modello economico (la decrescita?).
La povertà è “beata” perché traccia l'unico percorso possibile, onde assicurare un presente e un futuro felice alla terra (sostenibilità).

L'impegno della Chiesa cattolica
La Chiesa sta percorrendo un cammino di maturazione non ancora compiuto (e non privo di contraddizioni, come la posizione [comunque provvisoria] sul nucleare o sulle biotecnologie).
Alcuni risultati emergono: vari interventi del magistero (Papa, vescovi), il Compendio di dottrina sociale della Chiesa (in particolare, il cap. X e il n. 462), la giornata annuale del creato in settembre (tema 2008: Una nuova sobrietà per abitare la terra).
La pastorale diocesana del creato (a Brescia e in altre diocesi): contatti con i gruppi di base, sensibilizzazione di preti e laici, adeguamento ecologico delle strutture, preghiera e contemplazione...


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giovedì, maggio 15, 2008

Non si può fare la cena con le briciole del pranzo


L'inceneritore di Spittelau, Vienna

Nota: questo post era stato originariamente pubblicato il 26 Marzo 2008. Lo ripropongo in una versione aggiornata che tiene conto di nuovi dati che mi hanno portato a ridimensionare ulteriormente la già bassa frazione di energia elettrica che avevo calcolato come il comtributo degli inceneritori alla rete elettrica nazionale. Ringrazio Lisa Iotti, giornalista di La7, per avermi fatto notare che alcuni dei dati sull'energia generata dagli inceneritori che si trovano su internet erano sbagliati.


In una recente trasmissione televisiva, il leader di uno dei raggruppamenti politici italiani ha detto che per risolvere il problema energetico bisogna, fra le altre cose, "fare i termovalorizzatori".

Un altro caso, di molti che ce ne sono, dove non bastano le formule magiche per risolvere i problemi. La parola "termovalorizzatore" è un termine impreciso per un entità che va sotto il nome corretto di "inceneritore con recupero energetico". Non c'è dubbio che gli inceneritori producono una certa quantità di energia. Non c'è nemmeno dubbio che questa produzione sia lucrativa se sostenuta con i contributi del cosiddetto "CIP6" che escono dalle nostre tasche. Ma quanto esattamente gli inceneritori contribuiscono, e potrebbero contribuire, al bilancio energetico italiano? Molto poco, come andiamo ora a vedere in dettaglio.

Consideriamo per prima cosa l'energia elettrica, quella "di pregio" e quella che da il nome di "termovalorizzatori" a questi impianti. Alla domanda di quanta energia elettrica generano gli inceneritori si può cercare di rispondere partendo dai che troviamo sul sito di Terna. Purtroppo, il sito non brilla per buona organizzazione e, fra le altre cose, qualcuno dovrebbe spiegargli che un impianto - come l'inceneritore - che brucia una quantità importante di plastica non può essere classificato fra le "rinnovabili".

Comunque, dopo un laborioso esame, troviamo questi dati


Produzione elettrica annuale in Italia (dati 2006)

Totale: 314.090 GWh


Di cui

Idroelettrico : 42565 GWh
Geotermico: 5527
Eolico : 2970


Quant'è il contributo degli inceneritori? Su questo punto, Terna riporta dei dati che sono definiti come "lordi" senza specificare che cosa si intenda esattamente come contributo lordo e quale potrebbe essere quello netto. Dati su questo punto si trovano sul rapporto congiunto ENEA-Federambiente dal quale si evince che l'energia lorda non considera gli autoconsumi e l'energia che l'inceneritore assorbe dalla rete. Gli autori del rapporto ENEA-Federambiente dicono che hanno avuto delle difficoltà a ottenere i dati dai gestori degli inceneritori nazionali e che, quindi, non sono in grado di fornire un valore affidabile per l'energia netta prodotta dagli stessi. Esaminando i dati, comunque, sembrerebbe possibile concludere che l'energia prodotta dagli inceneritori da rifiuti solidi urbani in Italia è di circa 1000 GWh. La produzione netta potrebbe essere intorno al 15% in meno, ovvero circa 850 GWh.

A fronte di una produzione totale di energia elettrica in Italia di 314.090 GWh, ne consegue che la frazione prodotta dagli inceneritori è 850/314090, ovvero lo 0.27% del totale. Contando anche l'incenerimento dei rifiuti industriali e agricoli, secondo i dati di Terna, si raddoppia circa. Ovvero si va allo 0.5% e questo potrebbe essere un dato ottimistico. Ora come possiamo valutare questo 0.27% di energia elettrica prodotta (o lo 0.5% considerando anche i rifiuti industriali e agricoli)? Per l'ottimista può essere un utile contributo, per il pessimista una frazione trascurabile. Certo, non è entusiasmante, comunque la si voglia vedere.

Fin qui, abbiamo parlato solo di energia elettrica; energia "di qualità", la più importante in un sistema energetico. Ma dobbiamo anche tener conto della frazione di inceneritori che lavora in cogenerazione, ovvero che recupera anche energia termica per il riscaldamento di abitazioni o impianti industriali. Cambia qualcosa se consideriamo anche questa frazione? Non molto.

Ci possiamo documentare sulla cogenerazione da in cenerimento sul sito di APAT (www.apat.it) dove leggiamo che nel 2006 circa il 65% degli inceneritori italiani lavorava in cogenerazione. Non si trovano dati sulla frazione di energia termica generata rispetto al totale, ma ce ne possiamo fare un'idea considerando che, secondo i dati del CEWEP (www.cewep.com), la frazione di energia esportata da un impianto di incenerimento in cogenerazione è di circa il 30% di quella totale generata dalla combustione. Considerando la frazione degli impianti che generano questa energia (65%) ci rimane circa il 20% dell'energia totale generata dai rifiuti. Ma dobbiamo anche considerare che questa energia è generata costantemente per tutto l'anno, mentre noi abbiamo bisogno di riscaldamento solo per alcuni mesi. Come minimo, dobbiamo ridurre di un fattore due questa frazione. In più, dobbiamo tener conto dell'efficienza, sicuramente non il 100%, con la quale questa energia viene trasferita alle abitazioni. Si arriva quindi a concludere che sicuramente meno del 10% dell'energia ricavata dalla combustione dei rifiuti viene utilizzata per scopi utili.

Da questo dato, vediamo che l'efficienza dell'inceneritore nel generare energia termica è circa la stessa di quella della generazione di energia elettrica (il 10% secondo i dati CEWEP). Allora, dato che sappiamo che nel totale dell'energia primaria utilizzata in Italia, energia termica e energia elettrica sono frazioni molto simili, possiamo concludere che anche in termini di energia termica, il contributo dell'incenerimento dei rifiuti in impianti di cogenerazione è dell'ordine di meno dell'1%. Come nel caso dell'energia elettrica, anche incenerendo tutto quello che si può incenerire non potremmo produrre più di qualche per cento dell'energia termica che utilizziamo oggi.

Questi sono calcoli, ovviamente, piuttosto approssimati ma ci danno un'idea di cosa possiamo fare e non fare utilizzando gli inceneritori come sorgenti di energia. In sostanza, siamo a valori ben sotto all'1% del totale per una frazione incenerita dei rifiuti in Italia che è oggi del 12% circa. Se volessimo fare di più, non solo non arriveremmo a valori significativi, ma ci troveremmo a distruggere alle radici l'industria del recupero delle materie prime dai rifiuti che si sta sviluppando molto bene e che è altrettanto importante per la nostra economia di quello che è il recupero di energia. Nel futuro, potremo ottimizzare il processo della produzione industriale con tecnologie dedicate di recupero sia di energia come di materie prime dai rifiuti. Ma dovremo arrivare a un concetto di rifiuto che lo veda come una risorsa e non più come qualcosa di seccante da far scomparire dagli occhi.

In sostanza, tutto questo ragionamento ci quantifica semplicemente un'osservazione ovvia. Ovvero, che non si fa la cena con le briciole del pranzo. Gli inceneritori intervengono sulle "briciole" del processo di produzione industriale e agricolo e lo fanno anche in modo poco efficiente. Ne riescono a tirar fuori un po' di energia che possiamo certamente considerare come utile, ma che non sarà mai sufficiente a risolvere, o nemmeno ad alleviare in modo consistente, il problema dell'energia in Italia. La vera risorsa energetica italiana è l'energia rinnovabile, abbondante e inesauribile se solo ci decideremo a sfruttarla seriamente.



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lunedì, maggio 12, 2008

ASPOItalia2 su The Oil Drum



Euan Mearns, il nostro ospite dall'estero, ha postato su "The Oil Drum" una versione bilingue italiano/inglese della sua presentazione sulla sicurezza delle forniture di gas in Europa. Sempre su "The Oil Drum" 'è anche una descrizione del convegno scritta dal sottoscritto (in inglese). Come sapete, "The Oil Drum" (TOD) è uno dei blog più seguiti a livello internazionale sulla questione del picco petrolifero e delle risorse. Insomma, ASPOItalia si fa conoscere anche a livello internazionale!


(ringrazio Maurizio Moretto per la traduzione del post di Euan Mearns)



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

domenica, maggio 11, 2008

ASPOItalia-2: per il centenario di Aurelio Peccei

Aurelio Peccei, 1908-1984


Uno dei motivi che ci ha spinto a tenere a Torino il secondo convegno di ASPO-Italia è stata la concomitanza con il centenario della nascita di Aurelio Peccei. Ci sarebbe piaciuto fare qualcosa di più formale per ricordarlo, ma nella pratica questo non è stato possibile. Ci siamo limitati a menzionarlo nelle presentazioni introduttive. E' già qualcosa per un uomo che è stato vituperato in tutti i modi possibili ma che noi consideriamo un po' l'origine di tutto quello che facciamo come ASPO.

Peccei, Torinese, è stato un grande pensatore; lo ricordiamo come il fondatore del Club di Roma, nel 1968 e come l'origine dello studio noto in Italia come "I Limiti dello Sviluppo" pubblicato nel 1972. Questo libro viene talvolta attribuito al Club di Roma, ma fu il lavoro di un gruppo di scienziati del Massachussets Institute of Technology che Peccei aveva incoraggiato e finanziato. Peccei stesso non era uno che costruiva modelli matematici, ma uno che intuiva le cose. I risultati dell'analisi dei "Limiti dello Sviluppo" lui li aveva già intuiti prima.

Peccei ci ha lasciato un libro intitolato "Prima che sia troppo tardi" pubblicato nel 1984, l'anno della sua morte. Questo libro lo possiamo leggere un po' come il suo testamento spirituale. Purtroppo, quello che lui paventava, ovvero che non si sarebbe fatto nulla prima che fosse "troppo tardi" sembra proprio che si sia verificato. Non abbiamo fatto quasi nulla per prevenire il disastro che ci sta arrivando addosso e che deriva alla pari sia dalla distruzione degli ecosistemi sia dal sovrasfruttamento delle risorse sia minerali che agricole.

Vediamo cosa scriveva Peccei nel 1984

La civilizzazione della quale siamo così orgogliosi, non solo idolizza l'uomo e lo esalta come padrone del mondo, se non dell'universo intero, ma anche perdona qualsiasi cosa che l'uomo faccia per asserire il suo primato e giustifica ogni mezzo per arrivare a questo fine. Sebbene teoricamente si affermi che l'uomo dovrebbe essere guidato da nobili principi basati su un corpo di virtù e valori spirituali, etici e morali, la nostra civilizzazione dominante ha delle basi così antropocentriche e centrate su se stessa che l'uomo ha in pratica la libertà di ignorare questi principi ogni volta che lo ritenga conveniente o che interferiscano con il suo immediato interesse o con l'adulazione del suo ego.

In sostanza, quello che Peccei ci dice è che non abbiamo un problema di risorse: abbiamo un problema con l'uso che facciamo delle risorse. Quando mi domandano se c'è abbastanza petrolio nel mondo, io rispondo che il petrolio è ancora abbondante ma che, se pretendiamo di usarlo come se fosse infinito, allora ce ne sarà sempre troppo poco.

I sistemi sono pigri


Quando, circa un paio di anni fa, mi sono avvicinato al "Picco del Petrolio", ho meditato una "classificazione dei mondi culturali", non da intendersi per far emergere qual è il "migliore", ma per tentare di fare a me stesso un po' di chiarezza sul perchè di alcune dinamiche.
I mondi culturali sono tutti ugualmente importanti. Forse, però, non risulta sufficientemente chiaro chi viene prima e chi viene dopo, in termini di rapporti causa-effetto, quali leggi possono essere violate e quali no, e via discorrendo. Va altresì detto che le ripartizioni sono strumenti di una certa pericolosità, perchè difficilmente si trovano nella realtà argomenti "impacchettabili" in topic puri. Finora, per quanto riguarda la mia organizzazione e l'interpretazione dei lavori altrui, ho trovato molto utile una tripartizione dei mondi culturali, che vi propongo:
1. mondo Scientifico - Tecnologico
2. mondo Economico - Giuridico
3. mondo Socio-Politico

A 1° piano ci sono le leggi inviolabili, ad esempio quelle della termodinamica, la conservazione di carica, massa, quantità di moto ed Energia, i teoremi dei sistemi meccanici rigidi, la meccanica celeste, le leggi della dinamica dei fluidi... Sempre a questo piano possiamo ritrovare le macchine e le infrastrutture, tutto ciò insomma che "funziona" su base scientifica;

Al 2° piano ritroviamo leggi dell'economia classica, come ad es. quella della domanda e dell'offerta, e le "leggi" propriamente dette, cioè le norme che fanno parte del sistema legale nazionale o sovranazionale.

Al 3° piano troviamo le leggi della sociologia, della psicologia, della percezione di massa, della lingua e cultura, delle scelte e delle abitudini di consumo, e il sistema politico sovrastante.

Naturalmente, non è la miglior classificazione possibile! Se ci sono lettori che ne hanno in mente altre sarò ben contento di conoscerle.

La cosa interessante della strutturazione che vi propongo è che evidenzia in modo piuttosto netto quella che è la pigrizia dei sistemi. In un mondo ideale il dialogo funzionerebbe nel modo seguente: in base alle leggi della natura si individuano le migliori tecnologie da adottare, per le quali si allocano risorse economiche e si redigono apposite leggi, allo scopo di garantire una società e un mondo politico sano.

Non vorrei apparire un "lagnone", ma le cose nella realtà non funzionano proprio così.

Alcuni esempi?

Mobilità: il motore elettrico è quello a miglior rendimento, tuttavia la sua diffusione è limitatissima

Trasporti: la "filiera corta" è vivamente consigliata, tuttavia assistiamo alla schizofrenia delle merci

Abitazioni: l'ipercementificazione è la maggiore imputata di dissesti idro-climato-geologici, eppure continuiamo a alimentare politiche di urbanizzazione, invece di ristrutturare le abitazioni esistenti con criteri di risparmio energetico

Imballaggi: per ridurre sprechi energetici e la messa in discarica si potrebbero limitare fortemente, ma non ce la stiamo ancora facendo

[...]

Assistiamo a una forte carenza di dialogo tra i mondi. Il mondo socio-politico è quello a più elevata inerzia, si tratta infatti di cambiare mentalità, abitudini, percezioni, privilegi, macrosistemi lavorativi. Il mondo economico e giuridico è a media inerzia: ad esempio agire sulla giurisprudenza è una cosa che richiede tempi lunghi. L'aumento dei prezzi di un bene, se non è pura speculazione o "bluffing", è un sintomo tardivo di carenza del bene stesso(o di "post-picco").

Il mondo scientifico e tecnologico è quello a maggiore reattività: le informazioni fluiscono con la massima rapidità (se non ci sono inquinamenti e distorsioni). La risalita al 2° e 3° piano, però, è lenta, troppo lenta. Aspettare poi il feedback dal 3°piano al 1° equivarrebbe, con una certa probabilità, a una condizione di guerriglia e di conflitti.

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venerdì, maggio 09, 2008

L'auto diesel fa male alla tasca e alla salute

Il picco del petrolio sta determinando una crescita costante dei prezzi dei carburanti che gradatamente influenzerà radicalmente le modalità di spostamento di miliardi di persone. In Italia, è notizia dei giorni scorsi che il prezzo del gasolio ha superato quello della benzina verde, gettando nello sconforto milioni di automobilisti italiani. Ma l’evento è poi così negativo? Se consideriamo l’impatto ambientale e sanitario dei motori diesel direi proprio di no. Come si vede nel grafico (fonte APAT), la principale causa delle emissioni di polveri sottili nelle aree urbane è il traffico autoveicolare e, al suo interno, i mezzi alimentati a gasolio. Infatti, un auto diesel produce 15 grammi di PM10 ogni cento chilometri, un furgone 36 grammi, un auto a benzina 0,1 grammi. Secondo lo studio “I costi sociali e ambientali della mobilità” degli Amici della Terra e delle Ferrovie dello Stato, “ogni anno in ambito urbano il trasporto su gomma provoca l'emissione di oltre 13 mila tonnellate di polveri. Di queste: quasi il 53% (7.171 tonnellate) è dovuto al trasporto merci (veicoli diesel); il 29% (3.923 tonnellate) alle autovetture diesel ad uso privato; il 9,6 % (1.305 tonnellate) alle autovetture alimentate a benzina; il 6% (832 tonnellate) ai mezzi di trasporto collettivo alimentati a diesel (autobus e pullman) e il restante 2,4% a motocicli e ciclomotori. Ridurre le emissioni di polveri, nel settore trasporti, richiede interventi strutturali soprattutto nella distribuzione delle merci”. Nella tabella qui accanto, sono sintetizzati i risultati di uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardante l’impressionante impatto sanitario di PM10 e ozono in tredici città italiane. Nell’ultima tabella trovate i limiti di legge sempre più stringenti che quasi nessuna città italiana oggi è in grado di rispettare. Se tutti i magistrati italiani seguissero l’esempio di quelli di Firenze che in questi giorni hanno rinviato a giudizio il Presidente della Regione Toscana e il Sindaco del Comune di Firenze per l’inefficacia degli interventi adottati contro le polveri sottili, quasi l’intera classe amministrativa italiana si troverebbe sotto processo. La soluzione, paradossalmente, viene proprio da Firenze che, seguendo l’esempio di tante città europee, ha avviato un’importante riconversione della mobilità verso trasporti collettivi di tipo ferro-tranviario. La dinamica di crescita dei prezzi dei carburanti probabilmente innescherà un analogo processo di riconversione della mobilità nel nostro paese. Nel frattempo, consoliamoci con il fatto che l’evoluzione dei prezzi del gasolio in corso arresterà la tendenza negativa all’alimentazione a gasolio del parco mezzi circolante in Italia.

martedì, maggio 06, 2008

AspoItalia-2: Euan Mearns sulla sicurezza europea delle forniture di gas

Quest'anno, l'ospite d'onore del convegno di ASPO-Italia a Torino è stato Euan Mearns, geologo petrolifero scozzese e editore di "The Oil Drum - Europa".

Euan Mearns è un esperto in particolare di gas naturale e abbiamo scelto di invitarlo con lo scopo specifico di enfatizzare un fatto: se più o meno tutti si sono resi conto che il petrolio ha dei grossi problemi, pochi si sono resi conto che il gas ne ha altrettanti e che la situazione delle forniture all'Europa è estremamente delicata. Il problema arriva specialmente dai giacimenti russi ormai sovrasfruttati e con, in più, il problema che i consumi interni in Russia stanno aumentando. Gli stessi problemi ci sono con il gas dal Mare del Nord, dove tutti i giacimenti esistenti sono in declino salvo quelli norvegesi che, però, potrebbero cominciare a declinare già dall'anno prossimo. Abbiamo già avuto qualche assaggio nel passato di cosa potrebbe succedere e il futuro potrebbe non essere roseo.

Il messaggio principale che arriva da Mearns è che nella migliore delle ipotesi riusciremo a mantenere costante la fornitura di gas all'Europa ancora per alcuni anni, nella peggiore la vedremo diminuire già dal prossimo anno. Certi scenari che parlano di raddoppi dei consumi di gas naturale sono completamente fuori dalla realtà.


La sicurezza europea delle forniture di gas naturale

ASPO Italia, Torino, 3 Maggio 2008
Euan Mearns BSc PhD
Editor; The Oil Drum Europe


Il ruolo del gas naturale nel mix energetico dei combustibili fossili nei paesi OCSE in Europa è rapidamente aumentato nel periodo che è iniziato nel 1965 circa (da quanto sono disponibili i dati della BP) partendo dal 2.4% per arrivare a oltre il 29% oggi. Il consumo di gas è cresciuto da 25 miliardi di metri cubi (BCM) all'anno nel 1965 fino a raggiungere i 450 BCM oggi.


Questa espansione nel consumo di gas naturale è stata resa possibile (e in effetti causata) dalla scoperta di grandi giacimenti di gas naturale nel Mare del Nord. Queste risorse interne sono state integrate con un rifornimento abbondante di gas disponibile fuori dai confini europei, in particolare all'Est dalla Russia, come pure al sud dai paesi africani, in particolare dall'Algeria.

Il gas naturale è considerato un combustibile pulito. Il carbone, in gran parte rimpiazzato dal gas, produceva polveri, fumi e pioggia acida. Il gas naturale era un combustibile senza nessuno di questi problemi di inquinamento. La corsa verso il gas era stata inizialmente per il riscaldamento domestico, dove aveva sostituito il gas di città (generato dal carbone) e il carbone stesso. Il gas è anche diventato il combustibile preferito per l'industria e il commercio. Dal 1990, circa, il gas è stato anche utilizzato per generare energia elettrica, sostituendo anche qui il carbone.

Si può dire che l'Europa si è assuefatta al gas naturale e oggi si trova davanti a un problema dato che ci sono chiari segnali che questa sorgente di energia, che una volta scorreva liberamente dal fondo del Mare del Nord, sta iniziando il suo declino.


La sicurezza delle forniture di gas in Europa può essere esaminata a tre livelli di sicurezza decrescente

1. Forniture interne
2. Forniture da paesi limitrofi, per esempio la Russia
3. Importazioni di gas naturale liquefatto (LNG)

I paesi OCSE in Europa hanno tre fornitori principali interni: Olanda, Regno Unito, e Norvegia, mentre quantità più piccole sono prodotte dalla Danimarca, Italia, Germania, e Polonia. La produzione olandese ha raggiunto il suo picco nel 1975 è sta declinando costantemente nel futuro. La produzione del Regno Unito ha raggiunto il picco nel 2001 e sta declinando. La Norvegia dovrebbe raggiungere il suo picco nel 2009 e il declino della produzione dovrebbe avere effetti importanti sul mercato Europeo del gas.

Molti osservatori sperano che la Russia aumenterà le proprie forniture verso l'Europa, sulla base di presunte enormi riserve. La Russia ha sempre fornito gas all'Europa, anche durante la guerra fredda, ma non può fornire gas che non esiste. Più di due terzi della produzione russa sono consumati dal mercato interno – cosa che implica che il terzo che rimane da esportare è soggetto alle fluttuazioni del consumo o della produzione. I giacimenti supergiganti russi di Urengoy, Yamburg e Medvezhye sono tutti in declino e quelli in corso di sviluppo (Bovanenko, Rusanovskoye, Shtockman et al) non potranno fare di più che compensare il declino degli altri. Saremo fortunati se la Russia riuscirà a mantenere le forniture all'Europa ai livelli attuali per altri dieci anni.

Le esportazioni di gas dal Nord Africa (Algeria, Libia e Egitto) sono al momento in espansione per mezzo di gasdotti e LNG. Queste forniture raggiungeranno il loro picco probabilmente verso il 2015. Ci sono molti paesi che si basano sul gas naturale liquefatto per le loro forniture di energia e ovunque si stanno costruendo a grande velocità impianti sia di liquefazione come di rigassificazione. Al momento, non ci sono abbastanza liquefattori, un problema che non si risolverà tanto presto. Alla fine dei conti, le forniture globali di LNG non saranno in grado di soddisfare la domanda e questo deve necessariamente portare a prezzi in rapida crescita.

Il gas naturale liquido si consuma principalmente nell'emisfero nord. La domanda è ciclica è aumenta nei mesi invernali. Questo vuol dire che il gas si consuma di più in inverno a livello globale. Questo ha sempre causato dei problemi di disponibilità che sono stati risolti immagazzinando gas in estate per usarlo in inverno. Ma per questo scopo si sono utilizzate anche le risorse locali. Dato che queste ultime sono in declino, il problema di soddisfare la domanda invernale si sta facendo molto difficile da risolvere.

I prezzi del gas naturale continueranno probabilmente a salire a velocità astronomica con molti paesi ricchi che ne sono ormai strategicamente dipendenti e che si troveranno impegnati ad accaparrarsi le forniture disponibili pagandole a qualsiasi prezzo. Dove andremo a parare? E' quasi impossibile prevederlo e i governi nazionali sembrano basarsi soltanto sulle forze del mercato per determinare i risultati. Ma l'aumento dei prezzi ridurrà la domanda e creerà una diffusa povertà nelle fasce a basso reddito in Europa. Esiste anche la minaccia di instabilità geopolitiche ai confini dell'Europa con i paesi poveri tagliati fuori dalle forniture. Jean Laherrere ha previsto il picco globale delle forniture di gas per il 2029. Dopo quella data, la maggior parte dei paesi importatori dovranno arrangiarsi con meno gas. I governi e la commissione europea devono cominciare a pensare a questo problema, urgentemente!

In conclusione, l'Europa si trova nella zona-picco per la produzione interna di gas e diventerà pertanto sempre più dipendente dalle importazioni. Al momento, i paesi OCSE in Europa importano 197 BCM di gas all'anno. In uno scenario di “business as usual”, di crescita della domanda, si deve pensare a una crescita delle importazioni fino a 492 BCM all'anno per il 2020. E' molto improbabile che i paesi esportatori saranno in grado di fornire queste quantità di gas e i prezzi in crescita ridurranno la domanda forzando al razionamento delle forniture.







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