lunedì, dicembre 31, 2007

Le impronte di Babbo Natale


Il titolo del post porta probabilmente a pensare alle orme che Babbo Natale lascia sulla neve, mentre si aggira tra le case intento a distribuire regali.
Invece, quello che vorrei fare è discutere un po' dell'impronta ecologica, che per essere relativa ad un personaggio di fantasia, risulta essere tutt'altro che immateriale.

Nella cultura dominante, a Natale bisogna regalare qualcosa. E se qualcuno, per caso, inizia a domandarsi il perchè, ecco che un parente, amico o collega gli chiede che cosa ha ricevuto, o cosa ha regalato. Naturalmente, deve essere un oggetto fisico e tridimensionale per poter essere presentato con una certa "dignità".
Io ho già pronta una lista di risposte, che a seconda dei casi pescano in un calderone reale del passato, altre volte attingono a un mondo puramente virtuale; allo scopo di cambiare argomento in tempi brevi.
Più che una questione di taccagneria (argomento caro ai "regalisti"), a me pare un discorso di razionalità. Se una persona cara ha un bisogno reale, che so un paio di scarpe, a inizio novembre che si fa, si aspetta il 25 dicembre? Oppura, si dona l'oggetto in tempo utile, e si regala qualche cianfrusaglia a Natale?

Viste le tendenze, più che "tutti più buoni", a Natale, forse bisognerebbe essere un po' "meno irrazionali". Per essere buoni, credo che ogni persona volenterosa faccia del proprio meglio tutti i giorni, con i suoi limiti e i suoi successi. Nelle festività, ci si potrebbe magari regalare tempo, momenti di condivisione, occasioni di incontro e di crescita culturale... insomma, qualcosa di più spirituale. O anche cose materiali, ma meno orientate al consumismo, e più alla spontaneità e ai bisogni.

Di seguito, ho voluto riportare un paio di notizie di questo periodo natalizio, che costituiscono a mio avviso due indicatori-tipo (tra i tanti che si potrebbero scegliere) della direzione che abbiamo deciso di seguire.

21 Dic 2007 17:36
Consumi elettrici: Terna, +1000 Mw da addobbi e insegne Natale (Il Sole 24 Ore Radiocor) - Durante le festivita' natalizie i consumi di elettricita' fanno aumentare di 1.000 MW il fabbisogno di energia elettrica. Lo rileva Terna. Nei giorni a ridosso del Natale l'effetto delle luminarie si traduce in un aumento della domanda di elettricita', rispetto ai valori medi del periodo, equivalente al consumo nell'ora di picco di una citta' come Bologna. L''effetto festivita'' sui consumi di energia elettrica, nonostante corrisponda a solo il 2% del fabbisogno medio del periodo (55.000 MW), e' rilevante, segnala Terna, se si considera che le luminarie natalizie restano accese per poche ore al giorno, di norma dalle 16 alle 21
.
Come qualche membro di ASPO aveva fatto notare nel Forum, nel periodo natalizio occorre "tirare fuori" l'equivalente di 3 grandi centrali termoelettriche, solo per mantenere le luci.


(21 dicembre 2007)
Traffico di Natale, tutta la città si blocca (La Repubblica) di Cecilia Gentile

Su tutte le consolari come in centro e nei quartieri circolazione in tilt. Decine di tram bloccati, bus prigionieri tra le auto. Roma prigioniera dello shopping natalizio. Ieri la corsa in macchina al regalo ha trasformato la capitale in un´enorme - e immobile - lamiera, che ha reso impossibile ogni spostamento. Bloccati per tutta la giornata la tangenziale, il raccordo anulare, e tutte le arterie di attraversamento della città. Anche il trasporto pubblico ha dovuto arrendersi di fronte all´occupazione sistematica delle corsie preferenziali da parte delle auto private. Nel quadrante Casilina-Prenestina-Porta Maggiore-San Giovanni, la città è arrivata al collasso. Su piazza di Porta Maggiore, che funziona come un gigantesco snodo per i tanti flussi di traffico, si è ammassata una quantità inverosimile di veicoli, che hanno finito per bloccarsi a vicenda, paralizzando anche il trasporto pubblico.Le conseguenze sono state disastrose per la viabilità: nel primo pomeriggio a via Prenestina, da largo Preneste in direzione centro, erano incolonnati una ventina di tram, con i conducenti in strada, ormai impotenti. I passeggeri scendevano cercando un´impraticabile alternativa. Raggiungevano a piedi via Casilina, per salire sul trenino Roma-Pantano. Anche questo però, all´altezza di Porta Maggiore, doveva arrendersi. «Qui si scende, il treno torna indietro», annunciavano rassegnati i conducenti. In piazza soltanto un vigile urbano tentava inutilmente di addomesticare la belva del traffico privato. Insomma, i romani non hanno raccolto l´invito dell´amministrazione comunale a servirsi del mezzo pubblico per evitare la paralisi e si sono ritrovati passare la giornata bloccati dentro scatole di lamiera. I continui stop & go delle auto e lo smog alle stelle hanno trasformato in un incubo i giorni precedenti al Natale. Unica, vera alternativa: le metropolitane. E per il dopo Natale è già pronta la corsa ai saldi. Campidoglio, categorie del commercio e rappresentanze sindacali si sono accordati sulla possibilità di lasciare ai negozi la facoltà di apertura per la prima domenica dei saldi, che quest´anno cade il 6 gennaio, giorno dell´Epifania.



Per commentare questa immagine, forse, bisognerebbe aver vissuto in prima persona il caos della capitale. Ma credo che ognuno, in scala, avrà sperimentato situazioni simili, più o meno tollerabili in funzione del volume di traffico.
Naturalmente, più auto, che consumano più carburante, per acquistare in più centri commerciali, per avere più oggetti e per produrre, in ultima analisi, più rifiuti da discarica (non credo sia casuale, proprio in questi giorni, l'acuirsi della crisi in Campania).

Da questi due articoli emerge prepotentemente che cosa è oggi il Natale per la società: una sagra consumistica, un sistema che alimenta se stesso. Sostenuto, per lo più, dai combustibili fossili.


[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

domenica, dicembre 30, 2007

Paura di volare

E’ molto istruttivo seguire le tormentate vicende di questi giorni riguardanti l’ormai decotta Alitalia, perché sono sintomatiche e illuminanti di un modo tutto italiano di gestire i servizi di interesse pubblico. Dopo che l’Azienda è arrivata sull’orlo della bancarotta a causa di un management fallimentare e una politica salariale sciagurata, con l’aggravante degli alti costi del petrolio che hanno fatto lievitare una voce importante del bilancio, quella dei carburanti, il governo italiano si è deciso a vendere la Compagnia. Finalmente arriva una proposta interessante, quella di Air France, un’azienda solida di peso internazionale, che sembra dare ampie garanzie di risanamento e sopravvivenza. Ma ecco che spunta a competere il nanetto italiano AirOne, sospinto dalla solita immancabile cordata di banchieri nostrani. La proposta di Air France sembrerebbe in maniera palmare migliore di quella della società italiana.

La compagnia di bandiera francese offre 35 centesimi per ogni azione contro 1 centesimo di AirOne (se venisse accettata quest’ultima offerta il Tesoro dovrebbe rinunciare a un minor introito di circa 240 milioni euro!), propone un esubero di personale più basso della rivale, presenta un piano industriale più credibile e una copertura del debito più sicura. Eppure, il Consiglio di amministrazione prende tempo e non decide, probabilmente a causa delle pressioni di una parte del governo e di politici che sembrano voler pervicacemente continuare a esercitare un’occupazione indebita dell’economia, di sindacati che non mollano l’osso di un potere contrattuale che ha portato i costi del personale e l’efficienza del servizio a livelli di inversamente proporzionale insostenibilità, di amministratori e imprenditori che in nome di un localismo deteriore si preoccupano solo di mantenere spazi improponibili per aeroporti regionali. Insomma il solito teatrino di una politica inadeguata al proprio compito, preoccupata più delle proprie scorribande di potere che della efficienza e funzionalità di servizi di importanza generale.


A questo punto qualcuno potrebbe legittimamente chiedermi cosa me ne importa delle sorti di una compagnia che gestisce un tipo di trasporto tra i più inquinanti ed energeticamente insostenibili. In effetti nulla, tanto più che ho paura di volare e non metterei mai piede su nessuna di quelle carrette volanti, nemmeno se mi pagassero. Gli aerei hanno un consumo specifico di 54 gep/pxkm contro i 36 gep/pxkm delle autovetture e i 18 gep/pxkm dei treni, e quando sarà completata (?) la linea di Alta Velocità Ferroviaria sulla tratta tra Roma e Milano, su cui avviene circa il 70% degli spostamenti aerei nazionali, ci libereremo quasi del tutto da questa modalità di trasporto, almeno sul nostro territorio.
La verità è che il caso Alitalia ricorda paurosamente quello di Trenitalia, le cui sorti mi interessano molto di più, in quanto il trasporto su ferro è a mio parere la vera alternativa all’attuale modello di mobilità insostenibile. E’ la scandalosa inefficienza dei treni italiani, comparata all’impeccabile servizio offerto dalle Ferrovie d’oltralpe che ha contribuito in maniera determinante a sbilanciare drammaticamente a favore della gomma sia il trasporto passeggeri che delle merci. L’immagine impotente del paese ostaggio di una manipolo di autotrasportatori irresponsabili e dei passeggeri di un treno guasto abbandonati per ore nel freddo gelido di una campagna meridionale dovrebbero essere di monito per i nostri governanti e indurli ad azzerare i vertici di Trenitalia e affidare il servizio con una gara internazionale, nella speranza, anche qui, che vincano i soliti francesi, o i tedeschi e persino gli spagnoli. Ma mi rendo conto di sconfinare nella fantapolitica. Come ha ricordato Stefano Nescio sul Forum di Aspoitalia, citando Andreotti, ci sono pazzi che si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le ferrovie italiane.

venerdì, dicembre 28, 2007

BAUguri ...



Recentemente ho avuto occasione di recuperare questo augurio di fine anno del Comitato Esecutivo di una grande azienda multinazionale, di cui non riporto il nome.


Personalmente non sono "contro" l'esistenza di grandi aziende localizzate in tutti i continenti; tuttavia, alla luce degli scenari energetici e climatici, potrebbe essere necessario rivisitare pesantemente alcuni fondamentali. Cito a titolo di esempio gli assiomi della Crescita Infinita e quello del Trasporto Facile. L'attuale apparato si basa su questi per autosostentarsi; se una Realtà più profonda dovesse dimostrarne con i fatti l'incompletezza, cosa ne sarà del Sistema?


Nel messaggio, riportato in blu più sotto, emergono alcune idee chiave:


- necessità di crescita industriale
- competitività sempre più spinta
- volatilità dei mercati finanziari
- rincari delle Materie Prime


Purtroppo non viene fornita alcuna possibile spiegazione. I dati di fatto sono questi, di qui in poi bisogna solo agire di conseguenza.


La risposta della dirigenza al problema segue in pieno la logica BAU. BAU è un acronimo inglese, sempre più celebre, che significa "Business As Usual". Me ne viene in mente un altro, sempre sull'onomatopeico, ma più all'italiana: ARF (Accaparrare Risorse Fossili).


I competitori industriali, in effetti, sono simili a cuccioli. Perseverano in quello che sanno fare meglio: divorare tutto il cibo disponibile, ognuno per sè, più in fretta che si può, per non farselo sottrarre dai propri simili. In attesa, forse, di un padroncino che dia qualche regola.




Auguriamo un felicissimo anno nuovo a voi, alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari.

Il 2007 è stato senza dubbio un anno di crescita per ###.

Abbiamo approfittato della stabilità dei prezzi delle materie prime e della buona salute di alcuni mercati per ricominciare la nostra crescita e migliorare i nostri risultati.
###, più forte e meglio armata, affronta così questo nuovo anno. Come vediamo il 2008?Sull’economia mondiale regna una grande incertezza: crisi finanziaria, bruschi sbalzi dei tassi di cambio, aumenti del prezzo del carburante e di molti altri prodotti di base.

D’altronde è evidente che la concorrenza, che vediamo obiettivamente rinforzarsi da qualche anno, sarà più presente e più pressante nel 2008. Coscienti di questa realtà, siamo maggiormente in grado di risponderle. Poiché ### ha la capacità di affrontare e rafforzare la propria leadership. Dovete tutti esserne convinti.
Ma tutto ciò richiede a ciascuno di noi l’esigente ricerca di continui progressi: progressi nella riduzione dei costi, progressi nel miglioramento della nostra produttività per ridurre il nostro ritardo, progressi nella velocità di introduzione sul mercato e nella commercializzazione di nuovi prodotti e servizi, progressi nell’efficacia delle nostre azioni individuali o collettive. Questa esigenza di continuo progresso deve conciliarsi con il rispetto dei nostri valori fondamentali.

Continueremo, così, i nostri sforzi, in particolare negli stabilimenti, per rafforzare la sicurezza e migliorare l’ergonomia. Inoltre, ci attiveremo affinché ### offra a ciascuno di voi prospettive di sviluppo ed utilizzi al meglio il talento di ognuno. Ma, prima di tutto, il successo di ### sarà completo soltanto se condivideremo, a livello mondiale, una visione comune del contributo di ciascuno agli obiettivi del Gruppo e questo in qualunque paese si svolga la propria attività o il proprio mestiere.

Abbiamo piena fiducia in ognuno di voi per raccogliere questa sfida.

[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

giovedì, dicembre 27, 2007

Il solstizio di inverno di Luca Mercalli



L'altro giorno ho avuto il privilegio di sentire Luca Mercalli parlare dal vivo per un'oretta buona, non nei soliti 2-3 minuti che gli vengono concessi su RAI3 tutti i giorni. Bene, vi posso dire che Mercalli è uno che veramente "sfonda" l'udienza e che non si fa scrupoli di parlare esplicitamente delle tematiche ASPO (incidentalmente, Mercalli è un membro "della prima ora" di ASPO-Italia). Ovvero, niente giri di parole: siamo nei guai e lo saremo sempre di più nei prossimi anni a meno che non prendiamo provvedimenti drastici in tempi brevi.

Vi riassumo rapidamente la presentazione che Mercalli ha fatto a Siena il 21 Dicembre di quest'anno a una riunione dedicata all'ampiamento dell'aeroporto di Ampugnano. Fra le altre cose era il giorno del solstizio di inverno, cosa che dava all'occasione un particolare significato di momento di rinnovamento, di fine di un ciclo e di inizio di un altro.

Mercalli, come dicevo, non ha avuto remore a parlare esplicitamente dei problemi gravissimi che ci troviamo davanti: il cambiamento climatico per prima cosa; che è il suo campo di specializzazione. Ma anche il progressivo esaurimento delle fonti energetiche fossili, la tematica principale di ASPO. Soprattutto, Mercalli si è soffermato su una cosa di cui non si parla molto ma che è forse la più fondamentale: la graduale cementificazione del territorio italiano che distrugge l'humus fertile creato nei millenni e che è irreversibile su tempi di interesse per gli esseri umani. Una volta che un centro commerciale è caduto in rovina, prima di poter piantare il grano di nuovo in quell'area ci vogliono perlomeno mille anni.

Secondo Mercalli, tutto questo è parte di un generale imbarbarimento dell'intelletto umano. La nostra tendenza a rapinare e distruggere per sempre le ricchezze naturali di un intero pianeta ci ha reso ciechi a quella che è la bellezza del mondo che ci circonda. Una civiltà che distrugge la campagna per farci capannoni industriali e centri commerciali non è degna del termine "civiltà". Se si perde la percezione della bellezza, allora si perde tutto; non importa quanti centri commerciali abbiamo.

Un paio di esempi che Mercalli ha fatto sono stati particolarmente efficaci. Ha fatto vedere la curva di ASPO della produzione di petrolio, domandandosi: "ma se questo è l'andamento che ci aspettiamo, gli aerei fra pochi anni non avranno carburante. Allora, che senso ha costruire un nuovo aeroporto?" Ha raccontato di aver posto la domanda a un assessore ai lavori pubblici in un dibattito pubblico. Dopo essere stato sollecitato più di una volta, alla fine l'assessore ha risposto "io non posso pensare a un mondo diverso dall'attuale." Un'ammissione esplicita e chiarissima dell'atteggiamento ottuso di un'intera classe politica che, purtroppo, al momento si trova a occupare tutti i posti decisionali e che si rifiuta semplicemente di ammettere che qualcosa al mondo sta cambiando.

Su questo punto, il rifiuto culturale al cambiamento, Mercalli ha fatto un esempio particolarmente calzante. Ha parlato della soceità dei Walser sulle Alpi. I Walser, originari del nord delle Alpi, si erano stabiliti sul versante sud a partire dal 1200 circa. Avevano tecnologie sociali e ingegneristiche molto evolute. Avevano stufe in ceramica o in terracotta che erano molto più efficienti dei caminetti aperti. Praticavano un controllo sociale delle nascite non violento e non coercitivo. Il risultato era una società prospera e in armonia con l'ambiente. In contrasto, i loro vicini, per esempio delle Alpi cuneesi, usavano il caminetto aperto e non riuscivano a controllare le nascite. Il risultato era una povertà diffusa, carestie ricorrenti, necessità di emigrare. La cosa interessante è che in tanti secoli di vicinanza, non siano riusciti ad adottare le tecnologie e il modo di vivere dei Walser. Un'indicazione, fra le tante, di come la stasi culturale faccia dei danni immensi. L'incapacità di adattarsi uccide.

La platea è parsa chiaramente sorpresa dalla presentazione di concetti che sarebbero impensabili da leggere o ascoltare nei media standard, giornali o TV. Si è sentita qualche esclamazione di "mamma mia!" Era anche, tuttavia, una platea ricettiva a certi concetti. Chi aveva spento la TV e si era mosso da casa per andare a parlare dell'aeroporto di Lampugnano era, chiaramente, già "intonato" con certi concetti. A chi aveva preferito stare a casa e sorbirsi il telegiornale, certe cose sono state risparmiate - per ora.

Sicuramente qualcuno definirà come "il partito del no" il gruppo che si era riunito a Siena il 21 Dicembre per protestare contro l'ampiamento dell'aeroporto di Ampugnano. In effetti, in alcuni degli interventi del pubblico si è sentito un certo atteggiamento "nimby" (non nel mio giardino). Ma, a parte la questione specifica, il fatto che almeno duecento persone si siano affollate nella sala è un indicazione che certi problemi vengono percepiti profondamente. La maggior parte delle persone presenti, chiaramente, non avevano una visione quantitativa esatta della situazione delle riserve petrolifere, dell'estensione di territorio cementificata, o della rapidità del cambiamento climatico. Tuttavia, è chiaro che il loro interesse sull'argomento andava ben al di là del semplice rifiuto di un altro - del tutto inutile - aeroporto in Toscana. E' un atteggiamento che ci potrebbe portare ad adattarsi al cambiamento prima che questo ci arrivi addosso in tutta la sua violenza.

Purtroppo, finché avremo ai posti di comando persone che "non possono pensare a un mondo diverso dall'attuale", non vedremo nessun cambiamento e continueremo a sprecare le poche risorse che ci restano in opere non solo inutili, ma dannose.



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

martedì, dicembre 25, 2007

Buon Natale a tutti!



Questo è il biglietto natalizio che ho mandato in giro per via elettronica quest'anno.

Forse penserete che sono un po' maniaco con la cosa del fotovoltaico. Beh, forse è vero; ma mi è venuto così.

Buon Natale a tutti e speriamo in un 2008 fotovoltaico (è anche eolico, idroelettrico, eccetera)









[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

domenica, dicembre 23, 2007

Cronaca (disordinata) dell'incontro di Siena

Quel che segue è la cronaca molto disordinata di un incontro tra Aspisti in occasione di una conferenza di Luca Mercalli presso un comitato che si oppne all'allargamento dell Aeroporto di Siena ( Ampugnano)

Dopo un cinquinesco elettrico viaggio wwwwwwhhhh di una 65ina di km, una volta tanto privo di eventi, arrivo alla Calp di Colle Val D’elsa, la più grande azienda vetraria italiana, dove, pur essendo una specie di città, grazie a Corrado, TUTTI conoscono il cinquino.

Il portiere, questa volta mi alza la sbarra, mi aggiro elettricamente, tra gli sguardi dei pochi operai presenti, tra gli enormi capannoni, mucchi di cristallo in attesa di riciclo e materie prime varie, palletts, pancali e ganci di sollevamento da piano quinquennale, mega-impianti di aspirazione, ventilazione, alimentazione....ed arrivo al laboratorio elettrico dove Corrado ed un po' di collaboratori, circondati come al solito da DECINE di motori elettrici ed altri arnesi vari, piu' o meno smontati riassemblati, acccumulati... mi aspettano. Attacchiamo il cinquino in carica e SCHEGGIAMO con la macchina di Corrado a prendere Luca.

Il tempo di prendere respiro due volte ( ma devo concentrarmi PARECCHIO per ricordarmi di respirare) e siamo arrivati alla stazione di Siena a prendere Luca che arriva, nonostante lo sfiatatissimo trenino diesel bicarrozza IN ORARIO.

O meglio: Arriva in orario rispetto all'orario Internet, con15 minuti di ritardo rispetto a quello degli orari affissi e con 25 minuti di anticipo rispetto a quanto segnalato dai tabelloni luminosi.

Buh?

Corriamo all'appuntamento con gli altri Aspisti ad una grande fonte detta della pescaia per la visita ai "bottini" medioevali di Siena.

L'atmosfera è surreale, dietro degli anonimi caseggiati anni 60 ( per quanto realizzati con quel minimo di garbo che ancora conservano da queste parti), ed una strada rialzata, c'e' un meraviglioso edificio medioevale davanti il quale si apre una piazza del Campo in miniatura, vero ed evidente centro di socializzazione sotto le arcate gotiche che reggono l'edificio si succedono tre vasche dove placidamente gorgoglia l'acqua, le tre vasche essendo al tempo destinate in ordine, agli umani, agli animali ed infine alle lavandaie. Intorno e davanti alle vasche sedute in mattoni ed i segni di attività sociali ormai dimenticate.


Eh si, perché il grande spazio è DESERTO, come dimenticato, dal quartiere che gli è sorto intorno, una sorta di NON-rovina romana, estraniato dalla quotidianità. Sembra quasi, complice la luna che fa capolino, di vedere i fantasmi delle lavandaie che per generazioni si sono succedute, dei mercanti, degli abitanti insomma che per tanti secoli hanno tenuto in ordine e funzionante quella fonte.

Eh, si' perché a Siena L'acqua, naturalmente NON C'E' e NON c'e' mai stata.

Questo forse è anche la ragione per la quale la formidabile serie di alture è rimasta semi-abitata per millenni, nonostante le succedutesi civilizzazioni etrusche e romane.

Il motivo è non climatico ma geologico.

Siena pogge su una specie di rupe tufacea ( non si tratta veramente di tufo ma di sabbie plioceniche molto poco addensate) che in pratica assorbe come una spugna l'acqua e tuttavia non è abbastanza permeabile da permettere la raccolta in un semplice pozzo.

Quindi ogni singola fonte compresa quella che stiamo vedendo si basa, per l'approvvigionamento su KM di canali scavati a mano nei secoli e per secoli mantenuti che si inoltrano nella rupe lasciando che l'acqua, goccia-goccia dalle mille fratture della roccia, si raccolga in una canaletta e poi in polle artificiali connesse tra di loro e poi, finalmente, arrivi alle fonti.

Un lavore secolare con una manutenzione a quanto pare, ripetuta ogni 70 anni.

L'acqua che filtra in fatti, è un'acqua "dura" ricca di calcare, che deposita, nei decenni concrezioni di travertino.

Il fenomeno avviene costantemente con la formazione di una sottilissima brina calcarea sulla superficie delle polle, a causa della degassificazione dell'anidride carbonica. Raggiunto uno spessore sufficiente la tensione superficiale dell’acqua non è piu' in grado di resistere al peso dello straterello e questo affonda pian piano cosi riempiendo le polle. e rivestendolo di un candido ( e durissimo) strato di calcare, un po’ come le stalattiti e le stalagmiti.

Si vedono ancora i colpi di piccone con cui hanno scavato i cunicolo e NONOSTANTE la siccità egli ultimi mesi l'acqua scorre ancora, placidamente e gorgogliando arriva alla fonte appena vista.

Torniamo in superficie e dopo una visita ad un mercatino (Luca fa incetta di una mezza quintalata di panforte artigianale) andiamo a dare un occhio alla bellissima enoteca/ristorante PUBBLICA che si trova nel forte costruito ( al terzo tentativo, pare, dai Fiorentini. 'che i Senesi di notte demolivano quello che le maestranze prezzolate dai Fiorentini costruivano di giorno).

Poi, dopo un mancato incontro con il professore di economia ambientale che ha invitato Luca, ce ne andiamo a recuperare il cinquino, non prima però di aver visitato un'altra fonte mi pare fonte nuova.

Questa visita mi si stampa nella memoria e non credo solo a me.

Immaginatevi una piccola chiesa gotica tagliata a meta, le bifore le alte volte a crociera, che sono aperte verso una piazza ( aime' piena di auto) con le solite due vasche rivestite di travertino auto formatosi di un candore accecante) i riflessi dell’acqua che sgorga placida PLACIDA, come il sottofondo di certi cd new age, sulle alte volte a crociera, la grande vasca, quasi una piscina, per l’acqua da bere e in successione quella piu' bassa per le lavandaie. Una cassetta della frutta di plastica, rovesciata, è diventato un meraviglioso pezzo di marmo traforato, ci metto un po a capire cosa è quella cosa, forse messa li per fare da gradino ed aiutare la discesa nell'acqua ( ai tempi chi insozzava l'acqua a Siena veniva sottoposto ad orrendi supplizi , ora immagino che i ragazzini, d'estate ci facciano il bagno).

Finalmente arriviamo alla Calp (Corrado, fortunatamente frenato dal traffico e dalla chiacchera con Luca scende a velocità che permettono una respirazione naturale) ed andiamo a visitare una linea di produzione, una cosa affascinante anche e sopratutto per il mix di tecnologia intelligenza manualità ed anche efficienza energetica che si vede ovunque.

A parte la complessità dei macchinari ( uno poi capisce perché ci vuole assolutamente una GROSSA officina elettrica e pure con parecchie persone competenti) quel che colpisce è la qualità dell'isolamento.

Ad un certo punto ci troviamo di fronte ad una specie di grossa piscina sospesa su possenti travi in acciaio e rivestita di refrattario.

Dentro ci sono ( circa) 100 quintali di vetro a 1500 gradi, come dimostra una condotta che si dirama ed arriva ad una specie di beccuccio gigante da pasticciere che robotticamente fa cadere da tre o 4 metri un gocciolone fuso di cristallo in una specie di stampino king-size da dolcetti natalizi, fase iniziale della realizzazione di fruttiere in cristallo giganti...

Bene. la parte alta del tinozzone è APERTA e coperta del materiale che viene via via aggiunto ( la linea è continua), vetro di recupero, minio ed altri ossidi aggiunti ( e trattati, ovvero inumiditi se ben ricordo, per evitare polveri letali etc etc) questo materiale, pian piano, fonde e sprofonda, mescolandosi con il resto del blob.

Siamo, forse, a tre metri e FA FREDDO.

Infatti arriva lo spiffero dalle vetrate a 15 metri alle nostre spalle e nemmeno un erg da davanti.

Quasi incredibile, specialmente per un geologo che ha avuto la ventura di trovarsi ad una distanza di due o tre volte superiore (una dozzina di metri) da una colata lavica, a Stromboli, e si è trovato con le sopracciglia ed un bel ciuffo di capelli strinati dalla vampa di calore irradiato... e questo con una temperatura di almeno 500 gradi piu' bassa...Il pavimento su cui camminiamo e rivestito di piombo. Mentre sto chiedendomi se serve per assorbire vibrazioni e/o rumore Corrado spiega tranquillamente che serve come un MEGA fusibile: In caso di collasso/rottura del cisternone di vetro fuso questo colando fuori anziché invadere l'intero capannone come una colata di lava artificiale (penso agli operai di Torino e rabbrividisco) fonderebbe all'istante il pavimento di piombo precipitando in un grosso locale con un volume multiplo di quello del cisternone.

Affascinati, finiamo il giro e ritorniamo a Siena , io con il cinquino e Corrado e Luca con la macchina di Corrado.

Tocco punte di ben 102 km/h di Gps ( ma il motore protesta, essendo fatto frullare piu' di quanto abbia voglia...) mentre in effetti nelle zone in piano il cinquino fa sempre i suoi 95 km/h reali, come dovrebbe.

Messo il cinquino di traverso all'ingresso dell'incontro comincia la conferenza, di cui parlerà Ugo in un altro post.

Luca, in pubblico, è di una efficienza senza pari.

Io che alle conferenze mi distraggo velocemente, ANCHE se l'argomento mi prende, non perdo una battuta. Ed il pubblico pure.

Sopratutto, è una mossa simbolica e QUINDI sostanziale, quella di far sedere sulle sedie del palco "oratori" le persone in piedi in fondo alla sala. Il lato simbolico è evidente: il problema E' LORO, le persone DEVONO partecipare e non assistere come, purtroppo invece ci insegna, ad esempio, la televisione. Un incontro deve ESSERE un incontro.

Sopratutto, terminando, Luca torna a ripetere: Ok, io vado a mangiarmi un cinghialetto locale ma... voi continuate, e, bene, funziona:

Benché un bel po’ di persone se ne vadano, come alla fine di uno spettacolo, TANTI restano e, appunto, continuano.

Ottima semina, Luca.

Per il resto Corrado ci porta a sud già in mezzo alle crete dove l'agriturismo in cui alla fine abbiamo l'ASPO convivio è accanto ad una polla termale naturale, ancora allo stato grezzo fino a qualche anno fa ed ora trasformata in una specie di rustica piscina..anche qui lo sviluppo avanza, ma non in modo devastante direi.

Il glu glu del post precedente si riferisce ad un curioso "Merlot in purezza" delle vigne limitrofe, vino inusuale, devo dire, da quelle parti, affinato in rovere, ma direi non barricato. Per quel che so il Merlot è un vitigno robusto, che sopporta terrenacci, climi ed irrigazione marginali, al contrario di altri più delicati e tradizionali, che chiedono cura, irrigazione ( o almeno pioggia)….

Forse, tanto per cambiare, anche questo si lega alle mille e mille beghe di cui gui parliamo, un piccolo flebile segnale, almeno per chi riesce a coglierlo.

Come al solito chiacchieriamo di mille cose tra cui, tra parentesi, mi piacerebbe che qui si riprendesse le mappe cognitive di Andrea (Ans-Fans) per l'aspo education, In quanto fantastiche per la possibilità di visualizzare a colpo d'occhio le connessioni tra le mille problematiche che qui dibattiamo, sostanzialmente facendo acquistare una dimensione al classico approccio monidimenisonale-lineare delle tipiche presentazioni e/o dei siti internet.

In piu' la struttura da database relazionale permette una implementazione progressiva e quindi, nei limiti da noi stabiliti, "open source".

Salutatici con un abbraccio, ed dopo un bel in bocca al lupo a Luca ( oggi avrà 8-minuti-8 da Fazio e credo che domani lo scorticheranno vivo su mezza stampa nazionale) io, Ugo la moglie ed una loro amica ce ne torniamo a Firenze, mentre, finalmente, per il relax auditivo di tutti quanti, finalmente mi taccio e m'arronfo.

Recuperata la nuova/vecchia bi ruote ( sto vendendo lo scassone precedente e sono passato ad un modello piu' piccolo piu robusto, tendente all'eterno, e sopratutto piu' risparmioso) la frustrata di aria diacciatissima ( sono quasi le 2 di notte) mi tiene egregiamente sveglio fino a casa.

Pietro

venerdì, dicembre 21, 2007

Volete comprare il colosseo?

Totò cerca di vendere la Fontana di Trevi a un turista in un vecchio film


Il nostro rapporto con le automobili è molto stretto e a volte tormentato e gli aumenti dei prezzi dei carburanti ci stanno portando a degli atteggiamenti a volte degni di cocainomani in crisi di astinenza. In particolare, vediamo la nascita e la diffusione di aggeggi e polverine magiche che in qualche modo dovrebbero migliorare le prestazioni delle automobili e scongiurare la crisi. In molti casi, questi arnesi sono venduti da imbroglioni senza scrupoli, come quelli del famigerato ""tubo tucker". La storia è lunga, qui provo a raccontarvi la mia esperienza con qualcuno di questi aggeggi-miracolo, sperando che vi sia utile per evitare di trovarvi in tasca l'equivalente del contratto di acquisto del Colosseo o della Fontana di Trevi.

Negli Stati Uniti, si sa, l'automobile è un accessorio necessario alla vita quotidiana quanto lo sono pettini, orologi da polso, calzini e altre cose. E' così da tanti anni e lo era anche quando lavoravo al Lawrence Berkeley Laboratory, negli anni '80. Allora, noi studenti e post-doc non avevamo molti soldi, come è tipico degli studenti e dei post-doc, ma avevamo comunque bisogno di una macchina per spostarci.

La mancanza di soldi, si sa, stimola soluzioni creative e non c'è dubbio che molti di noi si ingegnavano. Tipicamente, si potevano comprare dei ferrivecchi a 100 dollari o anche meno dallo sfasciacarrozze locale; arnesi che bene o male erano ancora in grado di una certa locomozione autonoma, sia pure incerta. Un mio amico cinese, grande risparmiatore come lo sono spesso i cinesi, ne aveva recuperata una che andava abbastanza bene salvo un problema con il servosterzo che rendeva molto difficile sterzare a sinistra. Aveva risolto il problema studiando un itinerario che lo portava da casa al laboratorio, e ritorno, senza mai o quasi aver bisogno di girare a sinistra.

Ma i problemi più comuni dei ferrivecchi che guidavamo a quel tempo stavano nella meccanica. Emettevano suoni pietosi quando in movimento e si comportavano come se soffrissero dell'equivalente meccanico di un enfisema polmonare umano. Quanto al colore e alla consistenza del fumo di scarico, in alcuni casi ricordava quello delle antiche locomotive a vapore.

Come è ovvio, la mancanza di soldi impediva riparazioni complete, per cui circolavano varie ricette miracolose per ridare un po' di fiato ai vecchi catorci. Per rimediare alle perdite d'acqua del radiatore, si poteva buttarci dentro un uovo crudo. Mi risulta che la cosa abbia funzionato in un paio di casi, con i buchi che venivano tappati dall "'effetto frittata" dell'uovo che si coagulava nei posti giusti. Per curare i pistoni che sguazzavano nei cilindri come cucchiaini nella tazzina del caffé, la cosa era più complessa e una frittata non sarebbe stata sufficiente. Qui, circolavano varie polverine magiche che promettevano di ringiovanire motori ormai a un passo dalla tomba. In un ambiente di chimici, come quello dove ero io, potete immaginare che queste polverine avevano un fascino particolare. Il solfuro di molibdeno aveva fama di essere efficace in questo senso. Ne ordinammo qualche barattolo per "scopi di ricerca" e parecchie cucchiaiate finirono in vari motori che, in effetti, ne ebbero benefici considerevoli riacquistando, se non proprio la gioventù, almeno una certa capacità di emettere rumori "normali" per un motore a scoppio.

Più tardi, in una carriera di chimico, mi è capitato più di una volta di incrociare problemi di lubrificazione dei motori a scoppio. Ho scoperto che ci sono in commercio svariate polverine che vengono occasionalmente usate anche dagli esperti in lubrificazione. L'opinione generale di coloro che sanno di queste cose è, tuttavia, che le polverine possono essere utili solo in casi molto particolari. Le si possono usare in motori molto usurati o per scopi militari quando una polverina ben piazzata può riportare a casa, bene o male, un veicolo che ha subito la perdita totale dell'olio del motore.

Tuttavia, negli ultimi tempi c'è stato un notevole ritorno di vari "rimedi miracolo" per i motori a scoppio; non solo polveri ma campi magnetici e vari arnesi strani che sono raccomandati sia per ridar vita alle vecchie macchine sia per migliorare le prestazioni delle nuove. In un tempo di crisi petrolifera, la gente si arrangia come può; in un certo senso sembra che tutti siano arrivati all'atteggiamento che avevamo noi studenti squattrinati a Berkeley negli anni '80.

Il problema di questi rimedi magici è che la loro efficiacia è spesso nulla o, al meglio, temporanea. Avrete sentito certamente della storia del "tubo tucker" che prometteva risparmi miracolosi di carburante ma che era un purissimo imbroglio. In quel caso, la magistratura è intervenuta più che altro per via del "marketing piramidale" utilizzato dalla Tucker che sarebbe stato un imbroglio anche se, per caso, il tubo miracoloso avesse funzionato. Più difficile intervenire in casi in cui l'imbroglio non è così palese. Qualcuno vende un aggeggio che promette di migliorare le prestazioni di un motore. E' un imbroglio? Per provarlo bisognerebbe fare delle prove, spendere dei soldi e chi ha il tempo e le risorse? In più se una persona seria si mette a far notare l'impossibilità fisica del funzionamento di certi aggeggi, rischia di vedersi querelato dal venditore e di trovarsi davanti a beghe infinite.

Nella pratica, ultimamente gli aggeggi miracolosi impazzano su internet. Ce n'è uno che è apparso proprio in questi giorni e che fa le solite promesse di aumenti di efficienza, ridotti consumi, eccetera. Non farò il nome di questo aggeggio e della ditta che lo produce (scusate, ma non mi posso permettere le spese legali di una querela per diffamazione.). Mi limito a dire che è basato su raggi infrarossi che dovrebbero "attivare" le molecole del carburante. C'è cascato qualche giorno fa anche il blog "blogecko" e forse anche gli Amici della Terra. Se avete orecchi per intendere, avete inteso.

Ora, per spiegare come mai ritengo che l'aggeggio che non nomino sia un imbroglio dovrei descrivere in dettaglio come mai le cose che raccontano nel loro web site sono del tutto prive di senso. In pratica, ci vorrebbe un sacco di tempo. Quindi, vi racconto una storia differente che vi può aiutare a capire quanto sia difficile fare miracoli tecnologici. Ci vogliono doti particolari per curare i lebbrosi e riattaccare le gambe agli amputati; la ricerca tecnologica è forse un pochino meno difficile ma, se ci costruite sopra una carriera, vedrete che alle volte sviluppare delle buone tecnologie vi sembrerà altrettanto difficile che risuscitare i morti.

Qualche anno fa, sono stato contattato da una ditta che vendeva una polvere lubrificante per ringiovanire i motori. La cosa non era, a priori, un imbroglio per cui ci ho perso un po' di tempo sopra; un po' per curiosità, un po' perché è il mio mestiere. Ho trovato che quello che mi aveva contattato era una persona onesta che, sicuramente, non voleva imbrogliare nessuno. Credeva veramente di avere un prodotto valido. Aveva fatto fare delle prove da una facoltà di ingegneria e avevano trovato che effettivamente la polverina migliorava le prestazioni di una vecchia macchina. Aumentava il rapporto di compressione, miglioravano le prestazioni e i consumi, diminuivano le emissioni. Con questa polvere, sosteneva, si potevano ridurre i consumi di tutto il parco macchine Italiano e scongiurare per molti anni la crisi petrolifera.

Memore della mia esperienza con il solfuro di molibdeno buttato a cucchiaiate nei motori delle vecchie macchine americane, gli dissi che non mi stupivano questi risultati, ma che bisognava vedere quanto erano duraturi, quanto era l'efficiacia su altri tipi di macchine, eccetera. Lui disse che secondo lui la polverina in questione era diversa dai soliti lubrificanti, e che l'effetto era duraturo e definitivo e che, in qualche modo, poteva riparare l'acciaio usurato del motore. Alla fine, commissionò al nostro laboratorio un esame dettagliato. Questo ha voluto dire far girare un piccolo motore per un certo tempo e poi sezionarlo per esaminare le condizioni delle superfici in contatto; cosa alquanto laboriosa come vi potete immaginare.

I risultati furono abbastanza definitivi. La polverina era uno dei tanti lubrificanti di emergenza che aumentano la viscosità dell'olio e, di conseguenza, riducono le perdite di pressione quando i cilindri e i pistoni sono molto usurati. Non aveva nessun effetto su un motore in buone condizioni. Fra le altre cose, sarebbero state necessarie ben altre prove (e altri costi) per verificare se, a lungo andare, la polverina non avrebbe danneggiato i motori o le marmitte catalitiche. Non era un imbroglio: se uno voleva tirar fuori qualche migliaio di chilometri in più da un motore ormai moribondo, ne avrebbe tratto qualche beneficio. Ma i motori moderni si usurano poco e la polvere non avrebbe avuto nessun effetto significativo sui consumi del parco veicolare nazionale. Mi risulta che la polvere sia stata in vendita per un certo periodo ma, alla fine, non se ne è più sentito parlare.

Vi ho raccontato questa storia per farvi vedere come sia difficile migliorare le prestazioni dei motori delle automobili, anche partendo da idee, in principio, non sbagliate e senza voler imbrogliare nessuno. Immaginatevi cosa succede con imbrogli palesi come il tubo tucker o quell'altra cosa a infrarossi strana che è l'origine di questo post e di cui non vi ho detto il nome (che, a questo punto, forse avete localizzato con google).

Purtroppo, quando vengono fuori queste cose, c'è sempre qualcuno che ci casca. Qualcuno che ci crede subito; qualcuno che si dichiara disposto a fare una prova; altri che disquisiscono dottamente sulle caratteristiche quantomeccaniche del trattamento proposto. Se ti azzardi a dire che è un imbroglio, c'è sempre qualcuno che ti aggredisce dandoti di venduto al soldo delle case automobilistche. Eppure, basterebbe dire che se a Roma incontrate uno che vi propone di acquistare il colosseo, non è che perdete tempo a cercare di verificare se per caso quel tale non fosse veramente il proprietario del colosseo. Sapete che è un imbroglio e basta, e lo stesso tipo di atteggiamento vale per i vari arnesi magici di cui stiamo parlando.

giovedì, dicembre 20, 2007

Clooney e gli elicotteri


Sul notiziario ANSA di giovedì 13 dicembre 2007 è comparsa una notizia, ripresa in blu sotto, secondo cui l'attore George Clooney avrebbe escogitato (con un suo collega) una possibile soluzione per la grave crisi del Darfur. Il discorso è più articolato, ma è possibile estrarre il seguente stralcio:
"24 elicotteri potrebbero salvare milioni di persone. Bisogna trovare subito i soldi", senza decontestualizzarlo.

A leggere queste considerazioni, mi sono venuti parecchi dubbi.

- di fucking helicopters da combattimento è pieno il mondo. Possibile che nessuno (tra i dispensatori di "pace militare", USA in testa) ci abbia mai pensato?

- Clooney, abituato ai suoi introiti annuali di decine di milioni di dollari (lordi), crede che basti trovare i soldi

- mi riesce davvero difficile immaginare, nel Post Peak Oil, una "cavalleria che arriva per salvare tutti". Specialmente una cavalleria alata.

La cosa che mi preoccupa è soprattutto questa: supponendo che Clooney sia assolutamente in buona fede (con una certa dose di ingenuità) e che la pubblicità che consegue a certe sue esternazioni sia un puro sottoprodotto, resta il fatto che la maggior parte dei lettori arriverà a condividere le sue idee. Se poi si candiderà in politica e vincerà (cosa non così rara per gli attori), le sue "pensate" circoleranno con un peso ancora maggiore.


DARFUR: CLOONEY, BASTEREBBERO 24 ELICOTTERI
ROMA - George Clooney a Roma, insieme all'attore Don Cheadle a sostegno della causa del Darfur, di una cosa sembra davvero sicuro: è l'informazione e i giornalisti che possono fare la differenza. In una conferenza stampa durata oltre mezz'ora in Campidoglio, l'appello dell'attore è stato solo per i media anche perché dice:"é il momento giusto. Ci saranno presto i giochi olimpici in Cina e le elezioni negli Usa". Mentre sull'immediato l'attore lancia più volte un appello: "24 elicotteri potrebbero salvare milioni di persone. Bisogna trovare subito i soldi". Abbiamo bisogno di voi dice più volte rivolto ai giornalisti Clooney "come la cavalleria che arriva per salvare tutti, visto che per ora non è in arrivo né quella Usa, né quella inglese". In realtà spiega l'attore Don Cheadle nell'incontro moderato da padre Giulio Albanese "siamo ora a una dead-line. Le risoluzioni Onu per intervenire nell'area sono pronte, ma poi non accade nulla anche per l'opposizione del governo sudanese". Quello che intanto si può fare spiegano i due attori è trovare 47 milioni di dollari per acquistare 24 elicotteri "che potrebbero proteggere e salvare quattro milioni di persone". E pensare, dice Clooney "che all'America non mancano certo questi stramaledetti elicotteri". E per far capire davvero quello che sta succedendo nel Darfur e la poca attenzione delle stampa fa un esempio. "Quello che è successo a Gillian Gibbons, maestra di scuola elementare di Khartoum frustrata perché voleva chiamare un orsetto di peluche con il nome di Maometto, è una cosa che farebbe ridere quelli del Darfur. E poi - continua l'attore - perché si è parlato tanto di lei e così poco della tragedia del Darfur? E' chiaro perché si trattava di un Occidentale". Anche sull'appoggio da parte dei politici americani il premio Oscar Clooney ha qualcosa da dire:"abbiamo contattato molti parlamentari sia democratici che Repubblicani e tutti ci danno ragione. Anzi nei Repubblicani pesa molto la loro componente cristiana per capire meglio le nostre ragioni, ma poi non accade nulla". Sulla tragedia nel Darfur scoppiata nel febbraio 2003 e che ha causato finora almeno duecentomila morti e oltre 2 milioni e mezzo di profughi e sfollati, Don Cheadle cerca di fare alcuni esempi della sua gravità:"famiglie distrutte, acqua inquinata, villaggi bruciati e persone fatte a pezzi e buttate nei pozzi", ma attenzione ci tiene a dire Clooney:"non sono persone che chiedono elemosina, prima di questa guerra erano del tutto autosufficienti, non cercano elemosina, ma vogliono solo giustizia".



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

mercoledì, dicembre 19, 2007

L'illusione di Battaglia


In questo guest post viene recensito un libro di recente pubblicazione, dedicato alla dimostrazione (almeno, tentata) dell' "inutilità" dell'Energia dal Sole.

L'autore del libro è ancora una volta perentorio nei suoi giudizi; a questo atteggiamento fanno da centro di diffusione una certa stampa politicizzata e alcuni siti e blog, che assecondano le idee esposte in modo assiomatico.

Può essere interessante sentire anche opinioni meno osannanti e più analitiche. Ringraziamo Francesco Aliprandi per l'elaborato.




L'illusione di Battaglia

created by Francesco Aliprandi


Ho finito di leggere "L'illusione dell'energia dal sole", e volevo esprimere qualche commento.

L'impressione che ne ho ricavato è che il professor Battaglia sia perfettamente in grado di difendere i suoi calcoli all'interno del recinto che con estrema cura si costruisce nel libro. A pag. 18 dell'introduzione scrive "Ma, dopo aver riconosciuto quale istanza ambientale è illusione e quale no [...], come si fa - direte voi - a dimostrarne il carattere illusorio? A questo proposito la regola d'oro è: esercitare l'aritmetica.", cosa che fa in modo quasi ineccepibile salvo poche eccezioni. Purtroppo non basta saper usare la partita doppia per poter risanare il bilancio di uno Stato, e infatti quello che non funziona nel libro non sono i calcoli quanto le idee che vi stanno dietro.

Nei primi due capitoli vengono definite l'energia e la potenza, e anche i primi due principi della termodinamica. E' curioso come a pag. 37, dopo aver spiegato la differenza fra le due grandezze fisiche, sia scritto (in uno dei numerosi e a mio parere fastidiosissimi riquadri in stampatello maiuscolo) che "Per soddisfare le nostre esigenze d'energia è essenziale poter disporre di adeguata potenza", che suona abbastanza ridicolo alla luce della distinzione appena fatta, e questa idea della necessità di potenza adeguata opposta all'energia viene ripresa lungo tutto il volume.

Naturalmente non si possono scindere le due cose, nel senso che avere ad esempio una potenza idroelettrica di tot GW non ci serve a nulla quando gli invasi dovessero essere vuoti, ma se si vuole spingere sul nucleare e sul BAU (Business As Usual) è indispensabile impostare il ragionamento in questo modo: una delle accuse rivolte alle rinnovabili è la loro incapacità di fornire energia in modo costante, e quindi la loro inaffidabilità.

Nei capitoli 3, 4 e 5 si parla del sole, delle trasformazioni dell'energia solare e di come questa sia stata importante nel passato. All'inizio del terzo capitolo si precisa che "per energia solare s'intende non l'energia proveniente dal sole e capitalizzata [...] nei combustibili fossili, ma l'energia solare corrente", un paletto essenziale. Dato che in passato l'energia solare era l'unica fonte per l'uomo e che oggi, dati alla mano, contribuisce per meno del 10% del totale (capitolo 5), si conclude che l'energia solare è l'energia del passato, e si evidenzia come idroelettrico e legna da ardere coprano circa il 90% fra le rinnovabili a livello mondiale.

A pag. 62 e 63 si fa notare come sia "una circostanza curiosa, se non paradossale" che l'importanza dell'energia solare sia calata dal 100% a meno del 10% proprio oggi che esistono "molteplici moderne tecnologie di sfruttamento": evidentemente qui il professor Battaglia fa finta di ignorare che da sempre l'uomo ha cercato di ottenere risultati facendo meno fatica possibile, per cui non sorprende che prima di pensare ai moduli fotovoltaici ci siamo ubriacati di idrocarburi e continuiamo tutt'ora a farlo.

Capitoli 6 e 7: idroelettrico, legna da ardere ed eolico. Si mostra come la potenza specifica media per le prime due forme sia di 1 e 0.1 W/m^2 ripettivamente, molto meno quindi dei 200 che provengono mediamente dal sole (valore introdotto a pag. 44, capitolo 3). E' curioso come venga considerato il bacino idroelettrico e non quello idrografico, visto che anche un non addetto ai lavori intuisce che l'area da considerare dovrebbe essere quella che raccoglie l'acqua, della quale il bacino artificiale è solo la manifestazione macroscopica. Né vale l'osservazione che il bacino idroelettrico rappresenta un'area effettivamente impegnata, che poi si confronta con quella di una centrale nucleare (tanto per cambiare), perché nel capitolo successivo, che tratta l'eolico, non si prende l'impronta al suolo delle torri ma l'area del parco eolico. Un mistero!
Per il resto mi sembra che i numeri siano corretti, compreso il calcolo che "dimostra" come l'esperienza tedesca sia un fallimento colossale, dato che ad 1 milione di euro per MW pagheranno 48 miliardi di euro per il progetto di espansione dell'eolico (48000 turbine da realizzare fino al 2020) contro i soli 14 miliardi spendibili per il nucleare.

Nel capitolo 8 sul solare termoelettrico si ricordano gli incendi avvenuti in passato negli impianti realizzati negli USA, dove il fluido vettore usato è un olio; oggi si preferisce una miscela di sali a base di nitrato di sodio e nitrato di potassio che risulta atossica e non infiammabile.

Fotovoltaico, capitolo 9. Si parla unicamente di celle al silicio tralasciando le tecnologie a film sottile, a multistrato e a concentrazione, ma anche qui non credo i calcoli economici verrebbero sconvolti. Pure al FV spetta la stessa critica dell'eolico: è inaffidabile, quindi non consente di evitare l'installazione di centrali nucleari.

Nel decimo capitolo si analizzano i collettori solari termici, che vengono trattati a mio avviso superficialmente (ad esempio, a pag. 115 è riportato un grafico con rendimento del collettore in funzione del DeltaT che è identico a quello che si trova a pag. 449 di "Le nuove fonti di energia rinnovabile" di D. Coiante, ma nell'ipotesi peggiore); d'altra parte penso che in confronto ai problemi che ci attendono i collettori svolgeranno un ruolo marginale.

Nell'undicesimo e penultimo capitolo vengono analizzati i biocarburanti, e solo qui a pag. 123 si trova scritto "Insomma, per valutare se ha senso o no produrre etanolo da usare come carburante bisogna valutare il guadagno netto di energia, dato dalla differenza tra l'energia ricavata dalla combustione del bioetanolo meno l'energia spesa nell'intero processo, dalla semina alla distribuzione del prodotto finito.", cioè la prima analisi energetica del processo di conversione in esame! I calcoli poi non lasciano spazio a dubbi, anche nelle ipotesi più ottimistiche; si parla anche di bilancio di anidride carbonica ma non si accenna ad esempio all'effetto del protossido di azoto sul quale ha indagato molto recentemente Paul Crutzen.

L'ultimo capitolo trae le conclusioni.

Il professor Battaglia ci presenta questo libro di 152 pagine in cui discute di energia, politiche energetiche e potenza (curiosamente, adotta un'unità di misura personalizzata, il GW-anno, nel secondo capitolo). Purtroppo non viene accennato il concetto di EROEI (Energy Return On Energy Invested) che dovrebbe essere alla base di qualunque discussione che tratti di energetica, tranne che nel capitolo dedicato ai biocarburanti (e anche lì, parlando di energia netta).

E' evidente che non vale nemmeno la pena considerare fonti energetiche il cui EROEI sia inferiore ad uno, perché spenderemmo più energia di quella che potremmo ottenere, ma anche che un confronto fra diversi processi di conversione può spingerci a ricercare in alcune direzioni piuttosto che in altre; ordinare le fonti rinnovabili in base alla loro potenza specifica come viene fatto a pag. 68 potrà essere interessante, ma nasconde molti altri aspetti del problema che non è possibile trascurare. D'altra parte impostare la discussione prendendo in esame questo parametro avrebbe comportato un ridimensionamento sensibile dell'alternativa nucleare.
Alternativa che è trattata in modo superficiale e senza alcun riferimento bibliografico sulla effettiva consistenza delle risorse/riserve, purtroppo, elemento fondamentale per capire se possa essere una strada percorribile. Si citano i già noti 80 anni di durata (senza ipotesi aggiuntive), il fantomatico raddoppio tramite riprocessamento, la centuplicazione considerando l'U-238 e infine l'immancabile torio che ci basterà per migliaia di anni (nota 67 a pagina 138).

E' bene ricordare che il torio ancora non si usa e che i reattori breeder hanno non poche magagne; è istruttivo ripercorrere la storia delle riserve in Francia e USA, come si evince dai dati storici pubblicati sul "Red Book" della IAEA e della NEA.

Ce n'è abbastanza da far venire più di qualche dubbio sulla serietà di quei numeri. Limitarsi a denunciare un obbiettivo illusorio come quello dell'energia dal sole è inutile se non gli si può contrapporre una realtà, e con le conoscenze attuali sembra piuttosto che il nucleare, così come viene descritto nel libro, sia una fantasia.

A pag. 132 si legge un passo interessante: "E' insomma convinzione diffusa che sia l'atto di produrre energia a richiedere una formidabile forza-lavoro, mentre invece è vero l'esatto contrario: è proprio l'abbondanza d'energia che crea posti di lavoro che altrimenti non esisterebbero e non viceversa. [...] Il lavoro è nelle industrie che usano l'energia, e maggiore è l'energia disponibile e che si usa maggiori saranno i posti di lavoro creabili. Coloro che invocano il risparmio energetico e auspicano una riduzione nell'uso dell'energia - ci sono ahimè, anche costoro - saranno la causa, piuttosto, se ascoltati, della perdita di posti di lavoro." In queste frasi c'è un po' di tutto: la fiducia nel BAU, un giudizio perentorioverso chi osa pensare alla decrescita, una correlazione che viene trasformata in causalità fra produzione di energia e posti di lavoro.

Per fortuna che nelle due pagine seguenti si parla senza mezzi termini di picco del petrolio nell'anno 2006! La soddisfazione dura poco, prima perché "di carbone, ai consumi attuali, ne avremo per alcuni secoli" (pag. 138), e poi perché il professor Battaglia ci fa notare come il risparmio sia assolutamente inutile nel contesto di una politica energetica; seguono calcoletti per dimostrare come il risparmio sposterebbe l'esaurimento di pochi anni. "Risparmiare un bene finito, invece, significa solo riparmiare poco denaro e pochissimo tempo. Insomma, se vi è concesso un solo panino al giorno, ma vi è garantito tutti i giorni, allora ha senso razionarlo fra colazione, pranzo e cena; se, invece, vi è concesso un solo panino e basta, avete solo l'opzione di morire di fame all'ora di pranzo o a quella di cena". Peccato che il paragone sia improprio, dato che noi oggi mangiamo non 1, ma 10 panini al giorno, e iniziando a ridurre l'introito potremmo sopportare meglio la dieta che ci aspetta, quando avremo 0.1 panini a testa, e magari guadagnare del tempo per vedere se riusciamo a procurarcene uno 0.2 o forse anche uno 0.3.

In definitiva sui numeri riportati non mi sembra ci sia troppo da discutere, salvo sul nucleare; il problema è che quelle cifre raccontano solo una parte della storia. Non si affronta il problema della disponibilità futura di energia, si ripete unicamente per 4 volte in altrettanti riquadri e con piccole variazioni che "Per soddisfare il 10% dei consumi elettrici italiani avremmo bisogno di investire meno di 10 miliardi di euro in 4 reattori, che occupano 1 km^2, garantiti 40 anni" (senza considerare il combustibile, per cui il calcolo è sbagliato, e a 300€/kg come ipotizzato nel cap. 7 la spesa raddoppia). E manca un'analisi approfondita su come potremo procurarci tutta l'energia non elettrica che usiamo oggi.





[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

martedì, dicembre 18, 2007

W il tram di Firenze

All’inizio del prossimo anno si svolgerà a Firenze un referendum consultivo contro i progetti di due delle tre linee tranviarie che il capoluogo toscano ha intenzione di realizzare per affrontare i gravi danni che il traffico su gomma arreca alla città. Dopo una lunga discussione in città, una prima linea, la Scandicci – S.Maria Novella è già in avanzato stato di costruzione, le due oggetto del referendum sono state da tempo appaltate e sono già iniziati i primi lavori propedeutici alla realizzazione. Tutte le informazioni sui tracciati e le caratteristiche del progetto sono rintracciabili sul sito ufficiale della tranvia e su quello di Mondo Tram.

L’assegnazione dei lavori e la gestione delle linee sono state effettuate con il meccanismo del project financing cioè con il concorso finanziario di soggetti terzi, affidandole alla Ratp, la prestigiosa società che gestisce i trasporti della città di Parigi. La cosa non deve stupire perché grandi società europee hanno oggi interesse a gestire linee tranviarie moderne che, a differenza del trasporto pubblico su gomma sono convenienti anche dal punto di vista economico. Infatti, la maggiore capacità di trasporto (3 o 4 volte in più rispetto agli autobus), sommata alla crescita esponenziale dei passeggeri determinata dalle elevate prestazioni in termini di frequenza, puntualità, comodità e accessibilità, consentono al tram moderno di abbattere i costi di gestione e accrescere i ricavi. Le linee degli autobus hanno invece oggi mediamente un rapporto ricavi – costi del 30% che obbliga gli enti proprietari a ripianare i pesanti disavanzi con ingenti risorse pubbliche (3 miliardi di euro all’anno in Italia).

Al di là degli aspetti locali, la vicenda assume pertanto un valore strategico per l’intero paese, anche perché la nuova rete tranviaria di Firenze è tra le prime e più organiche realizzazioni in Italia di un sistema di trasporto che nel resto dell’Europa sta migliorando la mobilità urbana, per le ragioni contenute nel mio articolo pubblicato qualche anno fa sul sito di Aspoitalia.
Tra i motivi a sostegno del SI all’abrogazione dei progetti tranviari, c’è anche quello del passaggio di una delle linee nella Piazza del Duomo, uno dei siti artistici più importanti del mondo, ma l’UNESCO, a cui i proponenti del referendum si erano appellati, ha respinto le loro richieste perché progetti analoghi sono stati realizzati con successo in altri centri storici europei, contribuendo a tutelare i beni artistici e architettonici grazie all’assenza di inquinamento atmosferico, e ai ridotti problemi acustici e di vibrazioni rispetto ai preesistenti sistemi di trasporto pubblico su gomma.

Spero pertanto che i cittadini fiorentini rispondano con un secco NO al referendum contro il tram e informo che chi voglia può sottoscrivere un appello a favore della tranvia all’indirizzo info@forumenergia.net.
Concludo rilanciando su questo blog una ambiziosa proposta che avevo avanzato durante il mio intervento “L’automobile: un’emergenza sanitaria, ambientale, energetica ed economica. Proposte per una mobilità sostenibile.”, svolto al Convegno di Aspoitalia “ Energia, Materie prime e Ambiente” tenutosi proprio a Firenze nello scorso mese di marzo:
100 TRAM – 1000 KM DI TRAM PER L’ITALIA. Per il 2020, data individuata dai Capi di Stato europei per il raggiungimento degli obiettivi 20% della lotta ai cambiamenti climatici, è possibile realizzare, con un finanziamento dello Stato italiano di circa 1,5 miliardi all'anno, pari all’incirca all'1,5% dei costi esterni causati ogni anno nel nostro paese dagli effetti perversi del sistema di trasporto, un sistema nazionale di trasporto tranviario urbano ed extraurbano moderno ed europeo, che ci consenta di migliorare le condizioni ambientali delle nostre città ed attutire gli effetti negativi che il picco del petrolio produrrà sulla mobilità dei cittadini.

lunedì, dicembre 17, 2007

Sciopero dei trasportatori: il futuro non è mai come il passato



A qualche giorno dalla fine dello sciopero dei trasportatori, tutto è tornato alla normalità, almeno per ora. Sulle ragioni profonde dell'evento, si è ragionato molto poco sulla stampa nazionale. Si è parlato di costi, impedimenti legali, concorrenza sleale, tutte cose che i camionisti hanno dichiarato essere alla base della loro azione. Ma dietro, c'è qualcosa di più che ha generato il disagio.

Il sistema dei trasporti italiano è sotto stress. L'aumento dei prezzi del petrolio negli ultimi anni non poteva rimanere senza conseguenze. Fino ad ora, non erano state conseguenze spettacolari, ma si potevano vedere se si andava a esaminare la situazione.

Un articolo recente di Repubblica riporta che:

Le cifre degli ultimi anni mostrano una costante diminuzione delle vendite di benzina: -5,5% nel 2004, -7,3% nel 2005, -6,2% nel 2006. I consumi del gasolio, pure in aumento, hanno visto tale crescita ridursi e passare dal +10% del 2001, al +7,1% del 2004, al +2,1% nel 2005 con una ripresa (+3,8%) nel 2006. I dati provvisori 2007 indicano un aumento delle vendite del 3,3% per il gasolio e calo del 6% per la verde.

In sostanza, il sistema sta reagendo ai prezzi del petrolio in modo differenziato con il consumo di benzina che cala in modo impressionante. Dai dati riportati, possiamo calcolare una riduzione deldel 23% in 4 anni. In parte, i cambiamenti sono certamente dovuti anche alla sostituzione del parco veicolare ma è evidente che in un tempo di soli pochi anni le riduzioni del consumo di benzina devono essere anche il risultato di una riduzione del numero dei chilometri percorsi. Questa riduzione non si nota nelle ore di punta nelle grandi città; è probabilmente sulle spalle delle fasce economicamente più deboli che hanno ridotto l'uso dell'automobile per scopi non indispensabili.

Viceversa, il consumo di diesel aumenta. Questo è sia perché costa meno, sia perché chi lo usa è meno in condizione di tagliare sui consumi. L'investimento su un veicolo privato a gasolio è maggiore di quello si un veicolo a benzina e si giustifica solo per una percorrenza più elevata, chi usa motori diesel è più spesso un professionista o un pendolare che deve per forza utilizzare l'auto. Poi, ovviamente, tutti i veicoli da trasporto merci su strada vanno a gasolio.

D'altra parte, sia benzina che gasolio si fanno dal petrolio e la differenza dei prezzi non è dovuta al fatto che il gasolio costa necessariamente meno della benzina. Dipende piuttosto in gran parte dalle leggi della domanda e dell'offerta. Se aumenta la domanda di gasolio e diminuisce quella di benzina, a lungo andare i prezzi devono adeguarsi alla situazione. Infatti, il prezzo del gasolio si sta gradualmente avvicinando a quello della benzina e potrebbe superarlo.

Il trasferimento dei consumi fra gasolio e benzina è soltanto un elemento di un generale riassestamento nei consumi energetici nel campo del trasporto. L'aumento dei consumi di gasolio non compensa le riduzioni in altri campi. Infatti, i dati indicano una riduzione complessiva dei consumi di petrolio di circa il 15% negli ultimi tre anni. Può darsi che in parte questa riduzione sia compensata dall'uso di altri tipi di carburanti, ma il gas naturale per autotrazione è bloccato da molti anni a causa di un'infrastruttura insufficiente e degli enormi investimenti che sarebbero necessari per espanderla. I biocombustibili rimangono al palo in mezzo a gravi dubbi sull'opportunità di destinare grandi estensioni di terreno agricolo per scopi non alimentari. L'idrogeno rimane venti anni nel futuro ormai da una decina di anni. Rimane la speranza della trazione elettrica che però rimane infinitesimale, penalizzata dal disinteresse istituzionale e dall'inerzia generale di un sistema concepito sul concetto di carburanti liquidi.

In questa situazione, lo stress si sta facendo sentire in modo sempre più forte su chi usa gasolio, e questi normalmente non sono in grado di ridurre i loro consumi facendo a meno di qualche gita domenicale. Chi usa il veicolo per lavoro, vede i prezzi del gasolio in crescita impattare direttamente sul bilancio della sua attività. Può reagire diminuendo i profitti o aumentando i prezzi del servizio che fa. Oppure, può chiedere a gran voce che il governo abbassi le tasse sui carburanti, scaricando in questo modo le perdite su tutta la comunità. In tutti i casi, qualcuno deve pagare di più e la cosa non è piacevole. Da qui, i conflitti sindacali, gli scioperi, eccetera.

Cosa ci possiamo aspettare adesso? Come sempre, la chiave del futuro sta nel passato. Negli ultimi decenni abbiamo creato un sistema di trasporto su strada che si basa sulla minimizzazione delle scorte e sul concetto del "just in time manufacturing". Questo sistema si è rivelato molto efficace nel ridurre i costi della produzione industriale ma è anche un sistema molto rigido che si rivela estremamente fragile. Bastano pochi giorni di interruzione dei trasporti per bloccare tutto il sistema produttivo del paese.

Non che il sistema non si possa adattare, si adatta cercando di ridurre i costi, con veicoli più efficienti, con l'ottimizzazione dei percorsi, con salari più bassi e altre cose. Non riesce, però, ad adattarsi con sufficiente rapidità al problema strutturale che è la riduzione della disponibilità petrolifere sul mercato globale. Intendiamoci, adattare si deve adattare per forza: nessuno lavora in perdita e se il gasolio costa troppo (o, peggio, se non ce n'è) i camion stanno fermi. Solo che l'adattamento non sarà graduale ma avverrà probabilmente a salti e con perturbazioni simili a quella che abbiamo visto in questi giorni.

Nei prossimi anni dovremo probabilmente abituarci a un deficit di trasporti che causerà aumenti di prezzi di tutte le merci; cosa che, del resto, stiamo già vedendo proprio adesso (la chiave del futuro sta nel passato). Per il consumatore finale l'adattamento prenderà la forma di minori consumi. Per il sistema dei trasporti, ci vorrà molto tempo prima che si riesca a rimpiazzare il petrolio con altre sorgenti di energia utilizzabili per veicoli a lungo raggio. Pertanto, l'adattamento a breve e medio termine consisterà in una riduzione sia delle quantità trasportate sia delle distanze percorse.

Se la chiave del futuro sta nel passato, è anche vero che il futuro non è mai come il passato. Per questo, spesso il futuro ci coglie di sorpresa. Ma lo sciopero dei trasportatori ci ha dato un'idea di come potrebbe essere questo futuro, per questo li dovremmo ringraziare. E, al futuro, dobbiamo adattarci per forza. Cominciamo a pensarci.



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

domenica, dicembre 16, 2007

Genialata da scolpire nella roccia


Fate attenzione perché ve lo faccio vedere una volta sola


Certe volte penso che l'Italia sia un paese senza speranza. Però, per fortuna, alle volte mi capita di leggere cose che mi dicono che anche i nostri vicini Europei non sfigurano come concentrazione di teste di rapa. Guardate cosa ha avuto la faccia tosta di scrivere su un giornale inglese un certo David Hill della "World Innovation Foundation" (riportato nel blog "Transition Culture" di Rob Hopkins)

Government business secretary John Hutton’s announcement that Britain could have one wind turbine every half mile along the nation’s coastline by 2020 is a terrorist’s dream come true. For, if we are to become so reliant upon this isolated energy generation, there is no way to protect them.
Ovvero:

L'annuncio del segretario al business, John Hutton, che la Gran Bretagna potrebbe avere una turbina eolica ogni mezzo miglio lungo la costa per il 2020 è il sogno di un terrorista reso reale. Poiché, se dobbiamo diventare dipendenti da una fonte energetica così isolata, non c'è modo di proteggere le torri.

Questa è veramente una genialata da scolpire nella roccia. Pensateci sopra dieci secondi; supponete di essere un terrorista e immaginate un piano per distruggere migliaia di turbine in mezzo al mare. Una torre Eolica è un oggetto così massiccio che buttarlo giù è un'impresa ragguardevole. Figuriamoci arrivarci con una barca carica di semtex e poi buttarne giù tante, non solo una che non sarebbe gran danno.

Che uno debba tirar fuori il terrorismo anche per dir male dell'energia eolica è veramente il massimo. Da noi, non mi risulta che nessuno abbia pensato a una cosa del genere. Perlomeno il nostro Ripa di Meana dice che le torri eoliche non gli piacciono, e tutto li'. Ma, chissà, con un po' di fantasia, qualcuno potrebbe benissimo tirar fuori anche questa!

Ora, sono terrorizzato. Cosa faccio se mi arriva un terrorista che si fa saltare sul mio impianto fotovoltaico???

sabato, dicembre 15, 2007

Cultura & Cultura: Sapienza vs Conoscenza

Un mesetto fa ho avuto il piacere di seguire un convegno-dibattito di Luca Mercalli e dello scrittore Antonio Moresco, dal titolo Tempo “scaduto”: l’emergenza clima e l'indifferenza politica.

In esso si sono discussi i motivi per i quali la classe politica non appare ancora sufficientemente attenta e reattiva al (difficile) problema del mutamento climatico. Tra le altre cose, è emersa in modo importante la differenza che ancora oggi, purtroppo, è presente tra le due Culture, quella Umanistica e quella Scientifica. Da cui l’ "ispirazione" per il post.

Premetto che potrebbero insorgere contenziosi riconducibili a questioni di natura definitoria, o semantica. Questo tipo di divergenze potrebbero essere archiviate, da un punto di vista logico, come non-problemi; realisticamente, però, temo che sarà un percorso in una foresta spinosa... ma ci voglio provare lo stesso! Più che altro per stimolare la discussione su alcuni fondamentali che, specialmente in Italia, sono tutt’altro che scontati.

La Sapienza è sempre stata vista come la versione “nobile” della Cultura: in Italia, poi, la tradizione vuole che quella umanistica sia la cultura per eccellenza. Cultura come “sapere” generale: chi più ne ha, più può esibirne,“vantarsi”, stabilire "distanze".
La Conoscenza ha invece un ruolo diverso nell’immaginario comune: l’abilità in una qualche disciplina, solitamente tecnica, che permette al conoscitore di risolvere problemi e di “sapersela cavare”, anche in condizioni particolari.

Il Sapiente è normalmente associato al politico, all’avvocato, all’alto prelato, all’economista: una figura con una forte preparazione umanistica e generale, e soprattutto in grado, per cariche ricevute, ruoli o altro, di esercitare una notevole influenza psicologica sul suo interlocutore medio. Per convincere, si avvale della persuasione.
Il Conoscitore, per contro, è uno scienziato, un ingegnere, un chirurgo, un tecnico, un artigiano, un bricoleur. Chi studia i meccanismi dell’Energia. Chi sviluppa macchine sempre più efficienti. Chi è in grado di fare riparazioni, o di costruire qualcosa. Il Conoscitore non ha alcuna autorità pregressa, ma diventa autorevole nel momento in cui esprime le sue abilità. Per convincere, si avvale della dimostrazione.

Ai lettori trasparirà la mia evidente simpatia per la Conoscenza: conoscenza dei Fatti, dei Fenomeni, ma soprattutto delle loro interrelazioni causa-effetto, dei meccanismi che stanno alla base. Non vorrei essere frainteso: non è una simpatia per una categoria e una speculare antipatia per l'altra. La differenza, fino a prova contraria, la fanno le Persone, e nella realtà assistiamo quotidianamente a casistiche "incrociate": il sedicente scienziato che abbraccia le sue ideologie, l'umanista che scrive sotto una luce scientifica, l'avvocato che usa la sua professione per un Bene ad "ampio raggio".

E’ pur vero che in quanto umani non siamo onniscienti, ma con tre millenni di Matematica e altri 500 anni di Scienze applicate alle spalle non possiamo certo dire di essere “sguarniti”; quello che manca, forse, è l’abilità (o la volontà?) di interpretare i Fatti che avvengono a livello macro (economici, sociali, bellici) alla luce dei meccanismi citati sopra.
A titolo di esempio, sempre più frequentemente sentiamo affermazioni come “L’Inflazione rialza la testa” o “Il Petrolio vola”, quasi fossero esseri viventi, con una loro volontà indipendente. Questo è secondo me fortemente fuorviante, e non rende giustizia alle ragioni fisiche sottese (Inflazione come manifestazione del secondo Principio della Termodinamica; aumento del prezzo del Petrolio e della volatilità guidato da ragioni di limitatezza geologica).

Sono convinto che ASPO (e con lei le altre associazioni con la stessa ispirazione) avrà un ruolo sempre più importante in questo cambiamento di mentalità. Purtroppo la debolezza del modello su cui ci siamo basati nell’ultimo secolo, quello dell’Era Industriale, si sta manifestando sotto molti aspetti (scrivo “purtroppo” più per la criticità degli effetti che per la cosa in sé): riduzione dei posti nell’Industria, rincari delle Materie Prime, stipendi congelati, difficoltà nella pubblica sicurezza…

Queste manifestazioni, accompagnate dalle dovute motivazioni, potranno forse spronarci a prendere decisioni coraggiose e urgenti nelle politiche energetiche e dei consumi? Riusciremo a vincere la divisione (puramente psicologica) tra le due Culture, per poter contare su una classe politica che le padroneggi entrambe in modo bilanciato?

venerdì, dicembre 14, 2007

Si può estrarre uranio dall'acqua di mare?

La scarsa disponibilità di uranio minerale è uno dei problemi dell'energia nucleare. Su questo punto, vi potete riferire, per esempio a un recente studio dell'energy watch group. Da questi studi si evince che il problema del combustibile nucleare è molto serio, con l'industria estrattiva che, negli ultimi tempi, riesce a tirar fuori soltanto il 60% circa dell'uranio necessario al parco attuale di centrali nucleari. Il restante 40% arriva dallo smantellamento di vecchie testate nucleari russe, risorsa sulla quale, ovviamente, non c'è da fare molto affidamento a lungo andare. Il problema con l'uranio sembra simile a quello del petrolio. Le risorse non sono esaurite, ma estrarle costa sempre più caro, sia in termini economici che energetici. Questo porta a prevedere un declino nella produzione futura o, comunque, grandi difficoltà per espandere la presente produzione.

Di fronte a questo problema, una risposta frequente da parte dei sostenitori dell'energia nucleare è quella relativa all'estrazione di uranio dall'acqua di mare. Si fa notare che la quantità di uranio presente negli oceani è molto grande, forse 4.5 miliardi di tonnellate, che è un buon mille volte superiore alle riserve di uranio minerale note (circa 3 milioni di tonnellate secondo la USGS). E' possibile estrarre questo uranio a costi ragionevoli?

Diciamo per prima cosa che, in termini generali, ci sono enormi difficoltà per estrarre dal mare minerali presenti in quantità infinitesimali; come nel caso dell'uranio che esiste in una concentrazione di circa 3mg/m3, ovvero 3 parti per miliardo. Nella storia dell'industria mineraria, abbiamo estratto dal mare soltanto cloruro di sodio (il comune sale da cucina) che è presente in concentrazioni dell'ordine del 3% in peso ovvero circa 10 milioni di volte più concentrato dell'uranio. Anche in questo caso, tuttavia, abbiamo preferito estrarlo, quando possibile, da miniere nell'entroterra; ovvero quello che chiamiamo "salgemma".

Tuttavia, fra i vari minerali disciolti nell'acqua di mare, dopo il cloruro di sodio l'uranio è forse quello più interessante per una possibile estrazione. Questo è dovuto al fatto che ne abbiamo bisogno in quantità relativamente limitate: la produzione di uranio minerale nel 2006 è stata di circa 40.000 tonnellate. In confronto, per esempio, estraiamo circa 15 milioni di tonnellate di rame all'anno e quasi due miliardi di tonnellate di minerali di ferro.

Si parla di estrazione di minerali dal mare fin dall'800. Negli anni fra le due guerre mondiali c'è stato qualche tentativo di estrarre oro, senza successo. Negli anni 1960 si è cominciato a parlare di estrazione di uranio. La cosa è rimasta solo allo stadio di una vaga possibilità fino a che, nel 1983, due ricercatori americani, Vernon e Shah, pubblicarono un articolo (vedi bibliografia) in cui descrivevano come una resina sintetica poteva estrarre uranio dall'acqua di mare con buona selettività e efficienza. La membrana non estrae soltanto uranio, ma anche altri elementi. Tuttavia, è possibile separare l'uranio "eluendo" la membrana, ovvero bagnandola con flussi successivi di soluzioni acide e basiche. Nel loro articolo, Vernon e Shah delineavano già una possibile procedura per un processo pratico di estrazione di uranio in quantità industriali.

Nonostante l'interesse potenziale del procedimento, l'idea non ha avuto seguito in occidente. Viceversa, in Giappone si è continuato sporadicamente a lavorare sull'argomento (vedi per esempio l'articolo di Akiba 1985). Tuttavia, a una ricerca sull'estrazione di uranio dall'acqua di mare sul database "sciencedirect," uno dei più completi disponibili, non si trova quasi niente.

Verso la fine degli anni '90, la JAEA (Japan Atomic Energy Agency) ha iniziato un programma di ricerca basato sull'uso di membrane per estrarre uranio dal mare. Questo lavoro ha generato un certo numero di pubblicazioni; di queste, la più recente è quella di Seko et al del 2003. Il lavoro dei giapponesi ha suscitato un certo interesse, che però sembra essere scomparso rapidamente. Per esempio, nel 1999, un rapporto al presidente Clinton raccomandava di studiare l'estrazione di uranio dall'acqua marina, che sarebbe diventato conveniente quando l'uranio minerale fosse costato 120 dollari per libbra. Da allora, l'uranio è arrivato a 140 dollari alla libbra nel 2007, ma di estrazione dal mare si parla pochissimo e quel rapporto è sparito anche dai file della Casa Bianca. Da quello che si può inferire dal sito della JAEA, sembra che il programma di ricerca sia stato chiuso e che, al momento, non ci sia nessuna attività nel campo.

Già da questi dati, sembrerebbe che l'estrazione di uranio dall'acqua di mare rimanga ben lontana da ogni possibilità di pratica industriale. Tuttavia, bisogna cercare di capire meglio quali sono le difficoltà e quali le prospettive di miglioramenti nel futuro. Vediamo ora di analizzare i dati disponibili.

Il problema di estrarre uranio (o qualsiasi minerale) dall'acqua di mare è l'enorme volume d'acqua da trattare per concentrare il minerale in quantità sigificative. Una centrale nucleare da 1 GW(e) consuma circa 180 tonnellate di uranio all'anno. Per ottenere questo quantitativo, tenendo conto che l'uranio è presente in concentrazioni di circa 3 mg/m3, dobbiamo trattare circa 60 miliardi di metri cubi d'acqua. Visto in un altro modo, come fa notare Michael Dittmar, una centrale nucleare ha bisogno di circa 6 g di uranio al secondo il che corrisponde a un flusso d'acqua di 2000 metri cubi al secondo. Questa è, all'incirca, la portata del fiume Reno. Dittmar fa notare che ci vorrebbe un flusso ben maggiore considerando che il processo di separazione non potrebbe essere al 100% efficiente e conclude il suo calcolo con un augurio di "buona fortuna" a chi ci vuol provare.

Il problema che Dittmar solleva è correlato all'energia necessaria per pompare tutta quest'acqua. Pomparla attraverso una membrana porosa richiede molta energia. Per dare un idea della difficoltà della faccenda, possiamo prendere a esempio i sistemi di pompaggio nelle membrane a osmosi inversa che si usano comunemente per la dissalazione dell'acqua di mare. Secondo i dati disponibili pompare attraverso una di queste membrane richiede oltre 1 kW per un flusso di 1 m3/ora.. Questo corrisponde a 3.6 MW per un flusso di 1 m3/sec. Se vogliamo pompare 2000 m3/sec attraverso una membrana "perfetta" (0vvero che assorbe il 100% di uranio) dobbiamo utilizzare una pompa che ha una potenza di oltre 7 GW. Questo per dare combustibile a una centrale da 1 GW di potenza. Messa così, evidentemente, la cosa non ha senso.

Questo esempio serve solo per dare un idea dell'ordine di grandezza dell'energia necessaria per pompare attraverso una membrana. La membrana per l'estrazione dell'uranio dovrebbe avere dei pori più grandi di quelli della membrana per l'osmosi inversa; di conseguenza avrebbe una permeabilità maggiore e richiederebbe meno energia per il pompaggio. Mancano però dati sulla permeabilità per cui non possiamo stimare questa energia. Tuttavia, è probabile che sia troppo grande per rendere la cosa pratica; infatti in nessun lavoro recente sull'estrazione di uranio dall'acqua di mare si propone di pompare acqua attraverso la membrana.

Gli esperimenti pratici di estrazione di uranio dall'acqua marina sono stati tutti fatti immergendo le membrane nell'oceano in zone dove ci sono forti correnti; in modo da sfruttare l'energia già disponibile. I Giapponesi (Seko et al. 2003) dichiarano di essere riusciti a estrarre 1 kg di "yellow cake" in 240 giorni usando 350 kg di membrana assorbente calata nell'oceano. Lo yellow cake è principalmente formato da ossido di uranio (U3O8) e possiamo prendere come la resa annuale in peso di uranio/peso di membrana è approssimativamente 3E-3.

Allora, andiamo a fare un po' di conti. La produzione totale mondiale di uranio minerale è di circa 40000 tons/anno ma, come abbiamo detto, questo non basta per fornire combustibile sufficiente alle attuali centrali; ne servono circa 65.000 tonnellate. Se volessimo produrre questa massa dal mare ci vorrebbero intorno ai 20 milioni di tonnellate di membrana immerse per un anno.

E' una bella quantità, da sola fa più della metà del totale annuale della produzione di fibre sintetiche mondiale (30 milioni di tonnellate/anno). Se volessimo espandere la produzione di energia nucleare a rimpiazzare quella dei fossili dovremmo aumentare il numero di centrali nucleari di circa un fattore 20. Siamo a 400 milioni di tonnellate di membrana. Ora, per fare membrane di fibre sintetiche, ci vuole petrolio. Ammessa una resa di processo del 30% per fare questi 400 milioni di tonnellate di fibra ci voglion0 1200 milioni di tonnellate di petrolio, oltre 8 miliardi di barili, ovvero un terzo della produzione di petrolio mondiale annuale. Evidentemente, estrarre uranio dal mare non è esattamente il modo più ovvio di liberarsi dal petrolio. Date queste quantità, evidentemente, sarebbe impensabile usare membrane di origine biologica; altrimenti ci troveremmo di fronte agli stessi problemi di occupazione di terreno agricolo che abbiamo con in biocombustibili.

Ovviamente, se la membrana è riusabile, una volta a regime ci occorrerà una produzione annuale minore di 400 milioni di tonnellate. Quanto sono riusabili queste membrane? I dati non sono sufficienti per dirlo con sicurezza, a parte che, come è ovvio, la membrana si degrada gradualmente. L'articolo dei giapponesi (Seko 2003) dice che bisogna pescare, eluire, e ri-immergere le membrane una ventina di volte in un anno per ottenere quel famoso chilogrammo di cui parlano. Durano più di un anno queste membrane? Non è chiaro; nell'articolo non ci sono dati sulla degradazione delle membrane.

Dobbiamo anche considerare la superficie occupata dal sistema di estrazione. Se facciamo il conto secondo i dati dei giapponesi, vediamo che per estrarre 1 Kg di Uranio hanno utilizzato 3 gabbioni di membrana di 16 mq di area ciascuno. Per gestirsi un'intera centrale nucleare, 180 tonnellate di uranio all'anno, dovremmo calare in mare una "diga" sommersa di più di mezzo milione di gabbie come quella usate dai giapponesi. Una diga così potrebbe essere alta 100 metri e lunga 80 km se le gabbie fossero attaccate l'una all'altra. Ma questo non andrebbe bene; una diga compatta bloccherebbe la corrente marina e bloccherebbe il flusso dell'acqua attraverso le membrane. Dovremmo lasciare ampi spazi fra gabbia e gabbia. Quanto ampi? Non abbiamo dati al riguardo, ma occuperebbe una superficie immensa. E tutta questa superficie dovrebbe essere attraversata da una corrente marina abbastanza forte, altrimenti si perderebbe in efficienza (vedi Seko 2003).

La gestione di un arnese del genere sarebbe complessa, per non dir di peggio, fra venti, tempeste, navi che passano, balene impigliate, tonni storditi, eccetera. Tenete conto anche che il mare non serve solo per estrarre uranio, e che bisognerebbe lasciare un po' di posto per altre cose, tipo la pesca e gli ecosistemi. Insomma, scalare il processo a fornire combustibile per una singola centrale è già un incubo. Figuriamoci per centinaia, o anche migliaia, di centrali.

Infine, per una valutazione completa dovremmo prendere in esame il "ciclo di vita" (LCA) di tutto il complesso processo di estrazione dell'uranio dall'acqua di mare. Il calcolo dovrebbe includere l'energia necessaria per sintetizzare le membrane, per sintetizzare le grandi quantità di acidi necessari per l'eluizione dell'uranio, i costi energetici di trasporto e per la costruzione degli impianti, l'energia necessaria per smaltire sia questi acidi sia le membrane degradate che, molto probabilmente, saranno ancora contaminate da uranio e altri metalli pesanti. Dovrebbe anche comparare questo ammontare di energia con altri usi della stessa quantità di energia, cosa che potrebbe indicare che ci sono modi migliori per utilizzarla. Su queste cose, però, la letteratura non riporta dati, per cui non siamo in grado di fare una valutazione che ci possa dare un'idea anche vaga se siamo di fronte a un ritorno energetico apprezzabile. Gli unici dati che abbiamo sono calcoli di costi, che sono molto inaffidabili e che finiscono poi col dipendere dalle fluttuazioni del mercato e, soprattutto, dai costi del petrolio.

Questa discussione non vuol dimostrare che è impossibile estrarre uranio dall'acqua di mare in quantità tali da fornire quantità di energia significative. Nemmeno voglio dire che bisogna buttar via l'idea e non pensarci nemmeno. Anzi, io credo che l'idea di estrarre minerali dal mare sia da tenere in considerazione e che il lavoro dei Giapponesi è un risultato estemamente innovativo sul quale bisogna continuare a lavorare e che si può certamente migliorare. Soprattutto se riuscissimo a sviluppare delle tecnologie nucleari molto più efficienti delle attuali, allora basterebbe meno uranio e le cose sarebbero più facili. Ma, in quel caso, probabilmente le risorse minerarie sarebbero sufficienti per un pezzo e non ci sarebbe bisogno di andare a estrarre uranio dal mare.

Però, quello che bisogna dire è che stiamo parlando è di un processo di cui si sa poco e che è pieno di incognite e di difficoltà. Nessuno può dire se si potrà mai riuscire a fare dell'estrazione dell'uranio dal mare un processo pratico. E' possibile che ci si riesca, ma si può anche sostenere che la faccenda è talmente complessa e difficile che non ci riusciremo mai. Come si sa, il cimitero delle tecnologie è pieno di lapidi con sopra scritto "il prototipo funzionava".

Se mai ci si riuscisse, non sarà in breve tempo: ci vorranno ancora anni per sviluppare gli elementi di base della tecnologia e ancora anni per industrializzarla e poi ancora per far crescere il processo industriale. Facciamo un po' di conti anche su questo: al momento di massimo sviluppo della produzione di uranio, negli anni 1950, sotto la spinta della corsa agli armamenti nucleari, la produzione cresceva di circa il 20% all'anno, ritmo che non è mai stato raggiunto di nuovo in seguito. Considerate anche che la produzione di energia eolica cresce a oltre il 30% all'anno da un quarto di secolo e che, ciononostante, ancora oggi l'eolico produce soltanto circa lo 0.5% dell'energia primaria mondiale e che, per questa ragione, viene ancora considerato un giocattolo. Da questi dati vi potete fare un'idea di quanti decenni ci potrebbero volere per far crescere la produzione di uranio dal mare a livelli tali da avere un impatto significativo sulla produzione di energia

In questo senso, è un segno di grande faciloneria ignorare il problema della scarsità di scorte minerali di uranio sulla base del discorso che "tanto lo possiamo estrarre dal mare".


Bibliografia


The extraction of uranium from seawaterby poly(amidoxime)/poly(hydroxamic acid) resins and fibre
F. Vernon and T. Shah
Reactive Polymers, Ion Exchangers, Sorbents
Volume 1, Issue 4, October 1983, Pages 301-308

Extraction of uranium by a supported liquid membrane containing mobile carrier
Talanta, Volume 32, Issue 8, Part 2, August 1985, Pages 824-826
Kenichi Akiba and Hiroyuki Hashimoto


Aquaculture of Uranium in Seawater by a Fabric-Adsorbent Submerged System
Nuclear Energy
Volume 144 · Number 2 · November 2003 · Pages 274-278
Noriaki Seko, Akio Katakai, Shin Hasegawa, Masao Tamada, Noboru Kasai, Hayato Takeda, Takanobu Sugo, Kyoichi Saito


Ringrazio Pietro Cambi, Gianni Comoretto, Massimo de Carlo, Claudio della Volpe, Marco Pagani, e Antonio Zecca per i loro commenti e suggerimenti su questo testo.