venerdì, novembre 30, 2007

L'energia non è ne' di destra ne' di sinistra



Potete trovare sul sito di Aspoitalia un articolo di Massimo Nicolazzi che è apparso sul numero 6 del 2007 della rivista Limes con il titolo di "E poi non ne rimase nessuno" e che pubblichiamo per gentile concessione dell'autore.

Abbiamo già pubblicato precedentemente un articolo di Nicolazzi dal titolo "Petrolio, il tempo breve dell'energia". L'approccio di Nicolazzi è interessante in quanto parte da presupposti dei quali almeno alcuni non sarebbero considerati condivisibili dalla maggior parte dei "picchisti". Tuttavia, arriva a delle conclusioni che sono, invece, del tutto compatibili con la visione di chi si preoccupa sia dell'esaurimento delle risorse sia del problema climatico.

Nicolazzi non è convinto che l'influenza umana sul clima sia provata e parte da una posizione di fondamentale scetticismo riguardo a tutti i tentativi di prevedere il futuro mediante modelli di qualsiasi tipo. Un po' di sano scetticismo, in effetti, è sempre utile, anche se bisogna anche tener conto di quello che dice spesso Colin Campbell, "tutti i dati sono sbagliati, ma alcuni meno di altri"; ovvero, per estensione, "tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni meno di altri".

Ciononostante, Nicolazzi applica nel suo ragionamento anche l'altrettanto sano principio di Pascal sulla convenienza di credere all'esistenza di Dio, che, tradotto in fiorentino moderno si esprime come "meglio aver paura che buscarne". Ovvero, magari l'influenza umana sul clima non sarà tanto forte come alcuni sostengono ma è meglio aver paura che.....

Da questo, Nicolazzi arriva a una serie di conclusioni molto interessanti. Vale la pena di leggere l'articolo perché contiene molto food for thought, cibo per la mente. La conclusione che mi sento di sottoscrivere al massimo grado è quella di cercar un accordo non partisan per programmare il futuro di fronte ai rischi che abbiamo di fronte. Come già commentavo nel caso del suo articolo precedente, l'energia e le risorse non sono ne' di destra ne' di sinistra e, soprattutto, non dovrebbero essere l'occasione per il solito squallido spettacolo di polemiche montate ad arte per far guadagnare qualche punticino alla propria parte politica.

Ecco la conclusione di Nicolazzi, suggerisco di leggersi tutto l'articolo.


Non abbiamo certezza né della catastrofe né che ve ne sia rischio imminente. Però il dubbio di un pericolo è ragionevole e fondato. Il dubbio dovrebbe essere sufficiente a far scattare la priorità della prevenzione, e anche della preparazione alla catastrofe. Con la stessa logica delle esercitazioni antincendio o di protezione civile. Vale la pena di investire sia per prevenire la catastrofe, che per renderla un po’ meno catastrofe. Quanto ci si riesce ad investire è poi tema di consenso, e cioè di politica. Sapendo che un qualche investimento vale ad ogni modo la pena di farlo, perché se la catastrofe arriva di botto sarà ingovernabile. E sapendo anche che il processo di estinzione della crescita, se e quando mai si innescherà, ci porrà forse nell’alternativa tra riequilibrio e guerra; e per certo nella necessità di rivisitare almeno alcuni dei paradigmi del nostro vivere sociale.

giovedì, novembre 29, 2007

Il picco come sistema lineare

Guest post by Antonio Tozzi

Ne La carica dei negazionisti è citata un'affermazione di Michael Lynch: “la teoria del picco petrolifero è il risultato della cattiva applicazione di modelli semplicistici a fenomeni complessi”. In realtà, non occorre alcun modello per dimostrare la necessità del picco. A meno che non si metta in discussione la stessa finitezza della risorsa. Quanto al definire "semplicistici" i modelli utilizzati più di frequente, su questo punto diventa difficile dar torto a Lynch. Al contrario, data la complessità dell'oggetto di studio, può apparire sorprendente che modelli del genere si siano dimostrati utili non solo come strumenti qualitativi o concettuali, ma che siano riusciti a fornire ottime previsioni quantitative.

In sintesi, l'idea che sta dietro a questi modelli è che la produzione del petrolio possa essere considerata come l'uscita di un sistema lineare avente in ingresso i dati sulle scoperte. Le caratteristiche del sistema possono essere "identificate" a partire dei dati conosciuti sulle scoperte e la produzione. Una volta identificato, il sistema può calcolare una curva della produzione molto simile a quella reale a partire dalla curva delle scoperte.Per esempio, per i 48 Stati centrali degli USA si può ottenere il grafico seguente:



















In rosso è mostrata la risposta del sistema, sovrapposta all'istogramma della produzione realmente osservata.

E' interessante vedere che cosa succede se allo stesso sistema, identificato sui dati americani, si manda in ingresso la curva delle scoperte relative al mondo intero. Il grafico che si ottiene in risposta è quello che segue:


















Si nota immediatamente che la produzione calcolata "segue" abbastanza bene quella reale fino al 1970, dopo di che è prevista una produzione notevolmente più alta di quella effettivamente osservata, con un picco nel 1993. Interessante è anche vedere come risponde il sistema se dalla curva delle scoperte mondiali si escludono quelle effettuate in acque profonde:



Anche in questo caso il sistema lineare prevede un picco nel 1993. Si può notare come il profilo della curva calcolata "segua", per quanto in maniera "deformata", il profilo della produzione realmente osservata. Ho disegnato delle frecce colorate per evidenziare i punti che "si corrispondono" nelle due curve. In realtà, entrambi i profili ricalcano quello delle scoperte, mediato su un periodo dell'ordine dei cinque anni.
Concludo con un paio di osservazioni. In primo luogo, come ho appena detto, la curva della produzione non somiglia a quella delle scoperte soltanto nell'aspetto generale, vagamente a campana, ma lo fa anche localmente. Detto in altri termini: buona parte delle oscillazioni nella produzione (fatte salve quelle degli anni d'oro, ruggenti e quant'altro) che in alcuni casi hanno provocato gravi conseguenze economiche, potrebbero essere dovute alla particolare forma della curva delle scoperte piuttosto che ad eventi politico-militari o magari alle decisioni dell'OPEC. In secondo luogo, mentre per i 48 Stati americani il picco della produzione corrisponde proprio a quello delle scoperte, così non è per il mondo intero: al picco delle scoperte corrisponde quel massimo locale, abbastanza pronuciato, toccato nel 1979, ma che è stato poi raggiunto e superato nella metà degli anni '90.


[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

mercoledì, novembre 28, 2007

Semplicemente Pensare


Forse questo post è un po' off topic, ma è una riflessione sulla rilevanza dell'informazione che ci viene fornita. Il picco del petrolio è una "non-notizia," viene menzionato soltanto quando si parla del prezzo del petrolio che passa qualche cifra intera, 80, 90, 100 dollari al barile. Ma il prezzo del petrolio è solo uno dei tanti elementi della crisi che stiamo passando.

Sembra che quelli di noi che ritengono che il picco del petrolio sia una cosa importante sono in grado di filtrare in qualche modo le cose rilevanti dall'immensa cacofonia di notizie alle quali siamo esposti. Riescono, sembra, a salvare la propria sanità mentale quando esposti a un sistema che sembra fatto apposta per distruggerla.

In questo articolo, Charley Reese delinea alcune strategie di sopravvivenza contro l'eccesso di informazione. Cercate semplicemente di pensare, lasciatevi degli spazi di riflessione. Provate a passare una settimana senza leggere i giornali e senza guardare la TV, sarà difficile, ma dopo sarete sorpresi di quanto "normale" sia il mondo. L'informazione non è necessariamente verità, anzi!


Just Think



by Charley Reese

King Features Syndicate (October 16 2006)


The foremost duty of a citizen, especially in dangerous times, is to think. Without independent thinkers who are also economically independent of the government, democracy doesn't work.

Remembering and imagining are not thinking. Emotional reactions or ideological reactions are not thinking. Belief in the "word magic" of labels is not thinking. Faith is not thinking.

Thinking is the use of reason to determine the truth as best we can. To do that, we have to shuck emotions, desires and wishes and look at the world in its nakedness as it is, not as we wish it were or as someone else has told us it is.

Reality is not affected by our desires or by our comprehension. We glean data from our senses of that world outside our bodies and use our brains to draw inferences from the data. We have to conform to it; reality will not conform to us.

Clear thinking today is especially difficult, because the present generations of human beings are exposed to information in an unprecedented flood. Some years ago, it was estimated that the average American was exposed to about 15,000 messages per day. I'm sure that number has increased.

Advertising is pervasive with labels, point-of-sale displays and ads in newspapers and on television, radio and the Internet, as well as signs and billboards. Information - much of it false or self-serving or incomplete or trivial - pours out of print publications, television, radio and the Internet.

Information is not truth. It is bits of data that might be true or false or completely useless to know. I've often recommended that people take an information break. Go a week without watching television, listening to the radio, reading newspapers or magazines or surfing the Net. It might be difficult at first, but if you persist, you will be surprised by how normal the world appears once you've cut out the political chatter and the daily roundup of the world's pain and misery.

Complete article


martedì, novembre 27, 2007

I nuovi limiti dello sviluppo


Questo post, scritto da Ugo Bardi, ripercorre la storia dell'idea di "limite dell'accesso alle risorse", dalla sua nascita (anni '50) alla maturazione (anni '70). A distanza di decenni, non possiamo dire di essere sprovvisti della conoscenza necessaria per una corretta gestione delle risorse. Forse, quello che ci manca è il "salto psicologico", in senso collettivo, verso un paradigma completamente nuovo.


Gli anni 1960 del ventesimo secolo sono stati un periodo di grande espansione e di ottimismo in tutto il mondo, anche in Italia ce li ricordiamo come il tempo del "miracolo economico". Eppure, sono stati anche il tempo in cui il concetto di "limiti" ha cominciato a farsi strada nel pensiero umano. Se fino ad allora l'incremento della popolazione, della produzione e dei consumi sembrava una cosa buona senza nessun dubbio, un certo numero di pensatori cominciava a domandarsi fino a quendo questo incremento sarebbe stato possibile.

In quegli anni, due ricercatori procedevano in parallelo, quasi certamente senza conoscersi. Uno era Marion King Hubbert, geologo petrolifero, l'altro era Jay Wright Forrester, professore al Masschussets Institute of Technology e pioniere dell'uso dei computer. Entrambi studiavano l'evoluzione dei consumi e della produzione; Hubbert si concentrava sul petrolio mentre Forrester era più ambizioso e cercava di prevedere l'evoluzione dell'intero "sistema mondo".

Il modello di Hubbert era empirico, quello di Forrester basato su una complessa teoria a cui si dava il nome di "dinamica dei sistemi". In entrambi i casi, comunque, i modelli prevedevano che la produzione delle principali materie prime avrebbero seguito delle "curve a campana", passando per un massimo per poi declinare. Già nel 1956, Hubbert aveva previsto correttamente l'inizio del declino della produzione petrolifera degli Stati Uniti per il 1970. Più tardi, negli anni '70, Hubbert predisse che il picco globale del petrolio si sarebbe verificato approssimativamente intorno al giro del millennio.

Forrester e i suoi allievi, il gruppo che scrisse e pubblicò "I limiti dello sviluppo" nel 1972, vedevano l'inizio del declino dell'intero sistema produttivo mondiale entro i primi decenni del ventunesimo secolo. Come sappiamo, sia il lavoro di Hubbert, come quello di Forrester e del team dei "Limiti" furono soggetti a una campagna di denigrazione che li portò a essere completamente screditati agli occhi del pubblico. La campagna, tuttavia, era basata soltanto su falsità e distorsioni intenzionali del pensiero di quegli autori.
A distanza di più di trent'anni già possiamo dire che Hubbert aveva fatto una buona predizione se il picco globale del petrolio convenzionale si è verificato, come sembra, nel 2006. Per quanto riguarda gli scenari di Forrester e dei "Limiti", il sistema produttivo mondiale sembra ancora vitale e in crescita, cosa che del resto è compatibile con gli scenari stessi. Tuttavia, ci sono sintomi che potrebbero indicare una tendenza al rallentamento e in futuro al declino causato dal raggiungimento dei limiti produttivi di un gran numero di risorse minerali (per esempio il petrolio) e non minerali (per esempio il suolo fertile).

Gli scenari che indicano la vicinanza nel tempo dei limiti potrebbero rivelarsi accurati, oppure no; ma ricordiamoci comunque che, se è vero che il futuro non isi può mai prevedere con esattezza, il futuro non si può ignorare.

[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore]

lunedì, novembre 26, 2007

Come sabotare le rinnovabili



Questo è un guest post di Paolo Stefanini, membro di ASPO-Italia, che è uno stralcio della sua relazione al convegno "Energie Rinnovabili e Impatto sul Territorio", promosso dal "Comitato Nazionale del Paesaggio" che si è tenuto a Castiglion Fibocchi, in Toscana, il 23 Novembre 2007. Nella sua relazione, Paolo Stefanini ha presentato il punto di vista di ASPO-Italia sulla situazione petrolifera e energetica in generale. Dopo di che ha presentato dei dati veramente impressionanti (direi agghiaccianti) sulla resistenza passiva che le amministrazioni locali stanno facendo contro l'introduzione dell'energia rinnovabile in Italia. Leggete e meditate! (UB)


L'unica fonte di energia sicura , illimitata e disponibile almeno per i prossimi cinque miliardi di anni sulla quale possiamo e dobbiamo contare è il Sole. Sull'Italia il Sole irraggia l'equivalente di 3.000 miliardi di barili di petrolio l'anno, a noi ne occorrono l'uno x mille; l'obbiettivo è quello di utilizzare al meglio questa risorsa.” Sembra che oggi la strada migliore da percorrere sia il metodo CSP (concentrated solar power), definito anche termodinamico. A Siviglia (600.000 abitanti) sono già operative le prime due centrali CSP delle 11 previste, che nel giro di quattro anni sostituiranno integralmente le attuali centrali a combustibili fossili, effettivamente la Spagna è all'avanguardia in Europa con progetti per 4.100 MW. L'Algeria ed il Marocco hanno obbiettivi ancora più grandiosi. In Calabria sono partiti finalmente i lavori della prima centrale da 50 Mw ; in effetti il dimensionamento di 50 Mw sembra essere il “taglio” ideale per motivi tecnici, e questo comporta l'ipotesi di dover realizzare numerosi e diffusi impianti; va in questa direzione la recentissima convenzione tra il Ministero dell'Ambiente e l'Areonautica militare per l'utilizzo degli aeroporti militari dismessi.

L'altra modalità integrativa di utilizzo dell'energia solare è il fotovoltaico, che ha come target “naturale” i privati e le piccole e medie imprese, con impianti da 2 Kwp sino a 250 Kwp, (con l'eccezione giustificata di impianti da 1 Mwp realizzati da aziende agricole per la valorizzazione di terreni improduttivi). L' installazione di tali impianti coniuga l'interesse privato e l'interesse pubblico ,infatti permette di affrancare gli utilizzatori dal costo della energia elettrica per i prossimi 30/40 anni, contribuisce a ridurre il rischio di black out estivi e l'immissione di CO2 nell' atmosfera e consente di diffondere la cultura delle energie rinnovabili; ciò è possibile e sostenibile economicamente grazie alla legge incentivante “conto energia". Il maggior difetto della prima stesura della legge ( denominata Matteoli) era l' ESIGUITA' del plafond : 100 Mwp iniziali, poi aumentati a 300 Mwp in corso d'opera. La “ratio” del provvedimento consisteva nel privilegiare i piccoli impianti ed infatti veniva fissato il LIMITE di 1 Mwp quale tetto massimo per avere il diritto agli incentivi e soprattutto la norma che ai grandi impianti era riservato SOLTANTO IL 15% DEL PLAFOND .

Oggi, con la stesura del febbraio 2007 (detta Pecoraro Scanio) abbiamo le seguenti modifiche. Tra quelle positive c'è la RIDUZIONE delle procedure burocratiche iniziali ; infatti non è necessario chiedere l'ammissione preventiva agli incentivi riconosciuti dal GSE, è un diritto acquisito per tutti coloro che avranno realizzato e messo in funzione un impianto. E' previsto un plafond per 3.000 Mwp in 10 anni, quindi in media 300 Mwp l'anno: di questi, nella prima fase, sono state prenotate risorse per 1.200 Mwp e poi , una volta raggiunta tale soglia, dopo ampia e diffusa informazione, saranno riconosciuti gli incentivi anche agli impianti in corso di realizzazione e messi in funzione nei 14 mesi successivi. Un altro punto QUALIFICANTE è l'aver puntualizzato che, per impianti sino a 1 Mega collocati in siti sui quali non insistano vincoli di altri Enti (ente Parco, Sovra Intendenza etc etc) il Comune è l'unico che deve dare l'autorizzazione all'impianto, anche in questo c'è la volontà di alleggerire l'iter burocratico, in pratica significa dimezzare i tempi rispetto a prima.

Ci sono invece aspetti NEGATIVI , fra questi la cancellazione del LIMITE di 1 Mwp perché un impianto sia ammesso ai contributi ma soprattutto l'abolizione del LIMITE del 15% di plafond per i grandi impianti. A seguito di queste variazioni, il target dei destinatari di tale provvedimento si è spostato dai privati e dai piccoli imprenditori ai grandi investitori istituzionali. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: in sette mesi sono stati attivati impianti (fonte Bersani) per 271 mega (su 300 potenziali previsti in 12 mesi) con una tendenza di crescita esponenziale e non proporzionale per l'intervento di Banche, Assicurazioni e Fondi pensioni per i quali sono appetibili investimenti che per venti anni garantiscono una resa finanziaria superiore ai titoli di stato. Ma tradotto in pratica che significa ? Significa che un impianto da 10 mega realizzato da un fondo pensione drena incentivi che potrebbero essere goduti da quattromila famiglie e poiché questi contributi vengono generati dalla sovra tassa A3 pagata da tutti, giudico immorale che una Banca sia legittimata ad appropriarsi di risorse che potrebbero andare a decine di migliaia di famiglie. INVITO quindi tutti a sollecitare, nelle forme più idonee, il ministro a ripristinare la soglia del 15% del plafond, che non è cosa da poco, visto che il 15% del plafond potrebbe soddisfare le richieste di oltre 100.000 famiglie.

Questo è il quadro nazionale con luci ed ombre, ma ora arriviamo alla messa in pratica. Questa legge è passata al vaglio della conferenza stato regione e quindi secondo logica dovrebbe essere attuata quasi in automatico, ma in seguito alla revisione dell'art. 5 della Costituzione, che delega alle Regioni l'attuazione delle politiche energetiche, abbiamo una situazione schizofrenica . La Regione Puglia in tre settimane si è adeguata alla normativa nazionale, idem la Sicilia e lì tutto procede speditamente, l'Abruzzo, con l' art 74 della L.R. 34 del 01/10/07 , ha PROIBITO a Province e Comuni di installare impianti fotovoltaici sui propri edifici a meno che non siano distanti oltre 500 mt da altre abitazioni, bloccando qualsiasi progetto già in itinere; evidentemente devono avere scambiato un impianto fotovoltaico con una pala eolica, tutto ciò è desolante e gravemente diseducativo.

E la Toscana ? Noi ...dormiamo ....e nei fatti boicottiamo il fotovoltaico oltre i 20 kwp,
infatti è vigente la L.R. 39 del 2005, precedente alla prima emissione della legge “conto energia”, e senza linee guida. Gli impianti fotovoltaici sono di fatto equiparati a centrali elettriche, a gas, a carbone e così via. Un' assessore provinciale all'ambiente, molto irritata, a maggio mi confermò che era prevista la stessa procedura di verifica, propedeutica alla valutazione di impatto ambientale per un impianto fotovoltaico da 50 kwp,( ovvero 400 mq di pannelli sul tetto di piccolo capannone di 1.000 mq ) ed una centrale a biomasse da 50 Megaw e concluse “abbiamo almeno il coraggio di dire che non vogliamo il fotovoltaico in Toscana”. Il nuovo Pier, che nella bozza presentata a maggio dall'ex assessore Artusa alla Giunta si uniformava alla legge nazionale, non è ancora stato approvato; di conseguenza le Province , in assenza del nuovo PER, hanno atteggiamenti a macchia di leopardo: Livorno e Firenze non vogliono essere coinvolte e demandano ai Comuni, Pisa pretende la conferenza dei servizi (10 enti : arpat, usl,vigili del fuoco, anas etc etc e quattro mesi buttati via) anche per un impianto da 21 kwp ( 160 mq di pannelli sul tetto). La Provincia di Arezzo raggiunge il Top, nel convegno del 4 maggio u.s. organizzato dall'ordine degli Ingegneri e degli Architetti di Arezzo con il patrocinio del Comune e della Provincia (ne sono testimone in quanto relatore sul “conto energia”), il dirigente della Provincia intervenne e chiarì a tutti i presenti che in assenza delle linee guida della L. 39,con un'ottica restrittiva e per timore di essere accusati di omissione di atti di ufficio, la Provincia esigeva la conferenza dei servizi anche per impianti da 1 kw . I professionisti presenti rimasero annichiliti.

Questo è il trionfo della burocrazia e l'esaltazione del costo improduttivo della politica. A loro volta i Comuni dicono la loro sui piccoli impianti privati, ci sono esempi diversificati. A Montopoli (Pi) chi realizza una tettoia per due posti auto in giardino e ci installa sopra un impianto fotovoltaico ha diritto ad una riduzione dell' Ici, il Comune di Montepulciano mette a disposizione un ufficio di consultazione per i cittadini al fine di armonizzare l'impianto all'estetica e riconosce una riduzione dell'Ici del 40% per due anni. Pontedera “regala” un incremento di volumetria ai costruttori se dotano i nuovi edifici di impianti fotovoltaici; ma su quelli esistenti pone un limite di 20 mq di pannelli oltre il quale scattano richieste di norme di sicurezza per l'installazione che comportano costi aggiuntivi per 3.000 euro. Infine Montecatini V.di Cecina emette un regolamento edilizio pignolo e prolisso per il fotovoltaico e poi “sbraca” su sei pale eoliche equivalenti a sei grattacieli di 40 piani, ma questa è un'altra storia ... Dopo gli Enti locali, altro interlocutore obbligato è Enel sia prima della messa in opera dell'impianto che successivamente al collaudo e poi se l'impianto è superiore a 20 kwp c'è da attivare il rapporto con l'Agenzia delle Dogane e provvedere alla ratifica del contratto con il GSE. Nonostante queste procedure un po' intricate, gli impianti vengono realizzati. Se uno ha tempo e competenze può anche seguire l'iter da sé, altrimenti è bene che si affidi a qualcuno che possa dimostrare un'esperienza pratica su impianti già realizzati,diffidando di facili semplificazioni,che poi generano ritardi molto costosi.

Dal lato economico un impianto fotovoltaico è conveniente a condizione che sia di prima scelta, in questo caso gli incentivi ripagano l'investimento sia in conto capitale che interesse e compresa la manutenzione; anzi alla ns latitudine sono sufficienti 15 anni e poi c'è addirittura un utile. A tutto questo si aggiunge il valore del risparmio dell'energia autoprodotta per i successivi 40/50 anni. Il problema è che in circolazione c'è solo un 50% di prodotti di prima qualità, quelli da scegliere per essere sicuri di ricevere integralmente il contributo nei successivi 20 anni; occorre attenzione quindi per non commettere errori irreparabili dei quali uno si accorge dopo dieci anni, quando è troppo tardi. E' un po' come l'oro: c'è a 24 K, a 18 K, a 14 K e poi c'è il piombo rivestito da una lamina d'oro.

PAOLO STEFANINI
stefanini.p@gmail.com



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore]

domenica, novembre 25, 2007

Ali Morteza Samsam Bakhtiari: 1946-2007

Con grande dispiacere, abbiamo appreso in questi giorni della morte del nostro amico e collega Ali Morteza Samsam Bakhtiari. Ne hanno dato l'annuncio le figlie, Amir Bahman e Golbenaz Bakhtiari, che hanno raccontato come il loro padre sia deceduto in ottobre di quest'anno per un attacco cardiaco che lo ha colpito mentre si trovava in viaggio nel Nord dell' Iran. Aveva 61 anni.

Della carriera di Ali Samsam Bakhtiari, ci possiamo qui limitare a dire che è stato uno dei primi esperti di petrolio a capire l'imminenza del picco globale di produzione. E' stato dirigente della National Iranian Oil Company (NIOC) e ha fatto parte di quel gruppo di pionieri che hanno partecipato alla prima conferenza di ASPO che si è tenuta a Uppsala nel 2002.

In Italia, ci ricordiamo di Ali Samsam Bakhtiari soprattutto per la sua partecipazione al convegno "ASPOItalia-1" che si è tenuto a Firenze nel Marzo del 2007. In quell'occasione, nella splendia cornice del salone dei 500 di Palazzo Vecchio, abbiamo pouto sentirlo parlare in italiano per una conferenza che tutti abbiamo trovato coinvolgente e affascinante. Questo suo intervento, forse è meglio di tutto ricordato nelle parole di Debora Billi che lo aveva commentato subito dopo nel blog "petrolio"

Ali Bakhtiari ha parlato per primo, ha parlato chiaro e ha segnato tutto il convegno con il suo intervento. Ciò che ha detto, con la sua signorilità e pacatezza, ha continuato ad aleggiare durante la giornata, come se ogni speech non potesse più essere compreso se non alla luce del suo discorso... In cui le parole di Dante Alighieri, omaggio al nostro Paese, hanno fatto da guida. Nella selva oscura, la diritta via è smarrita. <..>

Bakhtiari ha esposto anche la sua visione per il 21o secolo: sarà il secolo delle "radici". Del ritorno alle radici, per l'esattezza. Della riscoperta delle conoscenze umane che ci hanno guidato nei secoli precedenti all'era petrolifera. Ma dobbiamo cominciare a cambiare, a cambiare il nostro atteggiamento e i nostri consumi su base individuale, a partire da oggi, da subito. L'acqua sarà una risorsa critica, che farà sentire il suo peso nel già difficile momento di transizione che ci attende. Che possiamo fare? "Piantare alberi" ha suggerito Ali. Non so se scherzasse o se fosse una piccola esagerazione, ma non è un cattivo consiglio.

Il mio commento sulla presentazione di Ali al convegno era stato:

Nel suo discorso a ASPOItalia-1 Bakthiari non ha parlato solo di petrolio. Ha esordito citando Dante Alighieri, usando la metafora della "Selva Oscura" per descrivere l'attuale situazione del mondo intero. Ha detto che con il superamento del picco globale del petrolio e ci troviamo oggi in una situazione di oscurità nella quale abbiamo smarrito la "diritta via". E' un momento di grande difficoltà per la civiltà umana che si trova per la prima volta davanti al declino globale di una risorsa fondamentale come il petrolio. Abbiamo la scelta fra una via di guerre per accaparrarsi quello che rimane delle risorse, e una via di pace per gestire quel che resta con il minimo di sofferenze per tutti. Bakhtiari crede che la via di pace consista nel ritorno alle radici delle tradizioni culturali dei popoli e ha citato San Francesco di Assisi come esempio di come si possano gestire risorse limitate in pace e armonia. Bakthiari ha concluso dicendo che è nostra responsabilità agire secondo il volere dell'Onnipotente, che ci pone davanti una sfida immensa. Ma l'oscurità si può vincere, la luce è davanti a noi se solo riusciamo ad alzare gli occhi per vederla.

Potete vedere il video dell'intervento di Ali a Firenze a:

http://www.youtube.com/watch?v=uprepOc20as


Di lui, di certo non ci dimenticheremo facilmente.

sabato, novembre 24, 2007

Convegno ASPO-Italia 2008 a Torino

Si farà il 3 Maggio 2008 a Torino il secondo convegno nazionale di ASPO-Italia. Dopo il successo del primo convegno che si è tenuto a Firenze a Marzo del 2006, ASPO-Italia si ripresenta con un nuovo incontro il cui soggetto, energia, materie prime e ambiente, diventa sempre più importante per la situazione attuale.

Gli aumenti recenti dei prezzi del petrolio e di tutte le materie prime e le preoccupazioni sempre più forti per il clima rendono addirittura cruciale discutere dell'esaurimento delle risorse minerali e delle soluzioni che abbiamo per rimpiazzare il petrolio con altre fonti energetiche.

Come l'anno scorso, anche per ASPO-Italia 2 ci saranno ospiti internazionali e nazionali di alto livello. Il convegno avrà luogo nella sala convegni del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, in connessione con la mostra sul cambiamento climatico che si terrà in quel periodo. Ringraziamo il museo, come pure l'associazione NIMBUS per l'appoggio.

Ullteriori dettagli saranno comunicati appena disponibili.

venerdì, novembre 23, 2007

Il marketing virale


Qualche tempo fa, su "comedonchisciotte" è uscito un articolo firmato da "Utopico" in cui si accusano sia Beppe Grillo sia Antonio di Pietro di praticare tecniche di "Marketing Virale" nei loro blog.

L'accusa è probabilmente poco fondata in questo caso: né Grillo né Di Pietro sembrano usare tecniche di persuasione particolarmente sofisticate; più che altro hanno cavalcato e continuano a cavalcare proficuamente la leggenda che "i politici sono tutti ladri". Tuttavia, la questione del marketing virale è interessante e vale la pena di approfondirla per cercare di capire cosa ci sta succedendo intorno.

Il nocciolo del viral marketing è in un semplice concetto: mentre nel marketing normale i consumatori sono soltanto dei ricevitori passivi del messaggio, nel marketing virale sono allo stesso tempo ricevitori e diffusori. E' una versione commerciale delle "catene di sant'antonio" che hanno avuto tanto successo su internet. E' evidente il vantaggio per chi riesce a scatenare una catena del genere: con poco sforzo diffonde il suo messaggio a valanga; il problema è come riuscirci.

Nonostante che si parli molto di Marketing Virale, gli esempi in Italia sono molto pochi. Con tutta la buona volontà, riesco a pensarne solo uno: quello della macchina ad aria compressa, la Eolo. Vi sarà arrivato sicuramente il messaggio intitolato "L'auto ad aria compressa è volata via" (lo trovate per esempio qui) dove si racconta che lo sviluppo della mirabolante vetturetta è stato affossato da un complotto dei petrolieri.

E' impossibile dire se questo messaggio sia stato diffuso dalla Eoloauto che ha usato scientemente tecniche di marketing virale. Non si può escludere che qualche persona mentalmente, diciamo, "indebolita" lo abbia inventato e diffuso per sua pura soddisfazione. Comunque sia, in ogni caso, questo messaggio ha giovato immensamente alla visibilità della Eolo che, altrimenti, sarebbe stata soltanto uno dei tanti veicoli a emissione zero che vengono continuamente proposti e - normalmente - ignorati dal pubblico.

Vi posso anche raccontare che so di sicuro che una ditta che conosco ha tentato di fare qualcosa del genere per giustificare il fallimento di un impianto a energia rinnovabile che aveva cercato di costruire. Hanno messo su un "comitato di cittadini per l'energia rinnovabile" il cui unico membro era il presidente e proprietario della ditta in questione (scusate, ma per ovvie ragioni non posso fare nomi). Dopo di che hanno cominciato a mandare in giro messaggi in cui si attribuiva il fallimento a un complotto e si chiedevano più soldi alla ditta. Questo tentativo non ha avuto successo; la reazione a catena non c'è stata.

Questa cosa del marketing virale è estremamente di moda negli ultimi tempi, c'è anche un sito, goviral.com, per esempio, che vi aiuterà a lanciare il vostro prodotto con tecniche virali.

giovedì, novembre 22, 2007

Ruolo delle risorse energetiche nella storia dei conflitti: il caso della Germania

Post ricevuto da Eugenio Saraceno

Lo sviluppo della Germania è iniziato alla fine del XIX secolo grazie al carbone indigeno finchè quel paese, fino ad allora diviso e subalterno ha ben dimostrato a Sadowa e Sedan che poteva sopravanzare la Francia e l'Austria nella egemonia dell'Europa continentale. In pochi anni si ebbe unità nazionale, sviluppo industriale e l'acquisizione di numerose colonie.

Interessante il confronto con l'Italia che partendo nella stessa epoca da una situazione politica simile non si trova in casa il carbone e se ha uno sviluppo industriale e acquisisce le colonie è grazie all'accordo con l'egemone di allora, l'Impero Britannico che la appoggia politicamente e rifornisce anche di carbone (ma non abbastanza, per non rafforzarla troppo) in funzione antifrancese ed antiaustriaca.
L'ascesa della Germania grazie al carbone locale invece sembra inarrestabile, ai primi del secolo scorso i tedeschi si mettono in testa di varare una flotta da guerra per competere con i britannici e la flotta in un sistema come quello coloniale significa predominio.Ma i britannici reagiscono ammodernando, su intuizione di Churchill che al tempo si occupava della marina militare, la propria flotta con motori mossi da derivati petroliferi.
Appare inoltre una nuova arma strategica, l'aviazione che abbisogna di petrolio. Da quel momento per la Germania è una corsa contro il tempo per non perdere terreno, la prima tappa è la I guerra mondiale in cui si dimostra con la distruzione della flotta tedesca a carbone, da parte di quella britannica a petrolio, che chi non ha il controllo del petrolio perde, la II è il tentativo dei tedeschi di entrare in possesso di petrolio e di non perdere addirittura terreno anche nella produzionedi carbone. La Germania nazista infatti ha il suo picco della produzione di carbone nel 1940 e non ha accesso al petrolio; non a caso nel 1938 si annette i Sudeti e la Boemia regioni ricche di carbone, poi si accorda con i sovietici e tra i termini dell'accordo oltre alla spartizione della Polonia (la parte ovest ricca di carbone se la prende il Reich) vi sono interessanti scambi armi e tecnologia tedesca contro petrolio sovietico.
E' noto anche che la Germania aveva promesso all'Italia (affamata di energia ma sprovvista come sappiamo) che se fosse entrata in guerra non cedendo al ricatto inglese (stop a forniture dicarbone se Mussolini non rompeva i trattati con Hitler) avrebbe ricevuto carbone dalla Germania e petrolio dai sovietici in virtù degli accordi Molotov-Ribbentrop. Hitler si assicura anche il resto del carbone europeo invadendo il Belgio e l'Alsazia.
Dilagando nei Balcani si noti che l'attenzione principale fu verso la Romania (all'epoca il maggiore produttore europeo di petrolio dopo la Russia) e la Jugoslavia ricca di minerali. Risolto il problema del carbone Hitler sa che non potrà vincere la guerra a lungo termine contro gli alleati, i quali hanno disponibilità di petrolio ben maggiori del Reich che possiede solo i campi rumeni e le forniture sovietiche, limitate e sottoposte alla buona volontà di questi ultimi, così matura il progetto di invasione dell'URSS che punta decisamente al Caucaso ricco di greggio, mentre laguerra in Africa, può essere vista come il tentativo di raggiungere da sud il Medio Oriente e i suoi campi petroliferi che rifornivano l'Impero Britannico.
Una manovra a tenaglia per cui le due spedizioni dovevano ricongiungersi ai piedi del Caucaso dopo aver preso il controllo di tutte le fonti energetiche dell'area. Per questo Stalingrado ed El Alamein segnarono la fine del sogno di egemonia dell'asse. Da allora per l'Asse il petrolio non fu più sufficiente, si dovette produrre l'antieconomica benzina dal carbone e i nazifascisti persero la superiorità bellica, in particolare quella aerea (l'arma più energivora) visto che gli alleati avevano di che alimentare le proprie macchine da guerra con il petrolio russo, americano e mediorientale a basso costo.

Sull'altro emisfero obbiettivo principale del Giappone erano i giacimenti indonesiani che permettevano di non sottostare al ricatto delle esportazioni di petrolio americano.

Non avrebbe potuto Hitler importare carbone? Una volta che la Germania avesse raggiunto il picco produttivo non avrebbe potuto farlo se non da uno dei suoi competitori esponendosi ai loro ricatti: Britannici, Russi, Americani. Dagli stessi avrebbe dovuto importare petrolio.

La compravendita di risorse strategiche non è come andare dal droghiere, se qualcuno ti vende petrolio ci sono tre possibilità:

1) è obbligato perchè è sotto il tuo controllo o di un tuo alleato

2) non gli puoi nuocere perchè ti controlla militarmente o può farlo agevolmente (minaccia)

3) sei un possibile competitore ma la fornitura avviene ugualmente a patto che si danneggi un terzo soggetto che sia un competitore ancora più temibile.

Se avesse ceduto a questo ricatto la Germania avrebbe perso qualsiasi speranza di egemonia, poi infatti l'ha persa. Hitler e i suoi erano crudeli e cinici, pazzi se si vuole, ma non dementi.

[ I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore ]

mercoledì, novembre 21, 2007

L'Abruzzo boccia il Fotovoltaico?



Ci segnala Emilio Martines la seguente notizia, tratta dall'ultimo numero de "Il Foglietto", notiziario del sindacato Usi-Rdb ricerca:


<< La Regione Abruzzo, amministrazione di centrosinistra sotto la guida del socialistaOttaviano del Turco, ha adottato un provvedimento che vieta l'installazione di pannelli fotovoltaici su tutti gli edifici pubblici situati in centri abitati. Comuni e Province abruzzesi che avevano avviato numerosi progetti, si sono dovuti fermare.E in Consiglio Regionale, a quanto è dato sapere, quando si è votato, nessuno ha trovato nulla da ridire, né la cosiddetta sinistra radicale né tanto meno il rappresentante "verde" che, di queste "cosucce", bontà sua, non si occupa, al pari di fatti ancor più eclatanti che in quella Regione stanno avvenendo da diversi mesi,come: scoperte di megadiscariche abusive con veleni chimici e inquinamento conseguente delle falde e dell'acqua potabile per quasi mezzo milione di persone. Per non correre il rischio di non essere creduti, precisiamo che il divieto di cuitrattasi è contenuto nell'art. 74 della L. R. n. 34 del 1° ottobre 2007. Sconcertante. >>


Qui trovate il riferimento all'art. 74 del provvedimento legislativo.


Nella tristezza generale, emerge un aspetto curioso: nulla si dice sugli edifici privati. Per estensione, però, è difficile immaginare che siano esclusi dal perimetro: per una delle leggi fondamentali della burocrazia che ho già visto applicata in modo intensivo nel campo dell'Igiene e della Sicurezza industriale, "tutto ciò che non è espressamente ammesso (per scritto) è vietato". Restiamo compatti.



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore ]




martedì, novembre 20, 2007

Petrolio per 200 anni? Le allegre trovate di Jum'ha



Ha destato un certo clamore tra le agenzie di stampa (vedi ad esempio qui) la dichiarazione del presidente di Aramco, Abdallah Jum'ha, al World Energy Congress di Roma secondo cui ci saranno riserve di petrolio non convenzionale per altri 200 anni. Secondo Jum'ha, non dobbiamo quindi preoccuparci del "picco del consumo" (ma il problema non dovrebbe essere il picco della produzione?).
Il signor Jum'ha è solito ripetere queste fauste profezie, lo ha fatto anche l'anno scorso al forum di Davos; peccato che in quell'occasione abbia anche stimato che il prezzo del petrolio potesse rientrare nei 30$ al barile nei tre anni successivi. (!)
Questa dichiarazione è stata fatta nel gennaio del 2006; ora sono passati quasi due anni e il petrolio sfiora i 100 dollari al barile... beh, c'è ancora un anno di tempo perchè si possa avverare la profezia del big boss di Aramco...
Mi chiedo inoltre da dove venga la stima "prudente" di 13000 miliardi di barili (Gb) di riserve di petrolio non convenzionale comunicata da Jum'ha. Come si accorda tra questo valore con il valore di circa 1100-1300 Gb indicato dalle varie fonti per i cosiddetti all liquids?

Uno dei due paesi con i maggiori giacimenti di questo tipo è il Venezuela, con riserve stimate di petrolio ultra-pesante di 1200 Gb. tuttavia secondo uno studio dell'IEA, soltanto un quinto di questo petrolio, quindi 240 Gb, è di fatto recuperabile (oltre al fatto che qui si stanno facendo i conti senza l'oste Chavez...). Dai dati disponibili su Wikipedia, è possibile stimare che l'altro grande giacimento, quello canadese, dovrebbe ammontare a qualcosa come 440 Gb (di cui forse solo una parte "estraibile"). Siamo quindi ancora ben lontani da quota 13000...
Non dimentichiamo inoltre che questo petrolio non convenzionale è un petrolio "brutto", estremamente viscoso o quasi solido, pieno di zolfo e altre impurità, in siti difficilmente accessibili o incondizioni climatiche (e politiche) spesso proibitive. In alcuni casi il costo energetico di estrazione potrebbe essere troppo elevato rispetto all'energia ottenibile e a quel punto la legge della domanda e dell'offerta andrebbe a farsi benedire, o meglio dovrebbe chinare umilmente il capo di fronte alle leggi della Fisica.

lunedì, novembre 19, 2007

La Questione Energetica Meridionale



In un articolo recentemente apparso sul sito di aspoitalia al link http://www.aspoitalia.net/index.php?option=com_content&task=view&id=186&Itemid=38 ,

Ugo Bardi discute i principali eventi geopolitico - militari degli ultimi due secoli e i rapporti di forza tra i Paesi del Mediterraneo, dandone una lettura in chiave "energetica"; sempre da questo punto di vista, analizza le ragioni profonde del divario Nord-Sud in Italia.

Secondo questa interpretazione, l'industrializzazione del Nord Europa a partire dal secolo diciottesimo è stata possibile in quei paesi dove la disponibilità di vie d'acqua navigabili permetteva di trasportare facilmente il carbone. In Italia, questa possibilità si arrestava, approssimativamente, con la Toscana, mentre il centro e il sud non disponevano che di limitatissime possibilità in questo senso.

Mentre il nord Italia poteva industrializzarsi importando carbone dall'Inghilterra per via d'acqua, il sud non aveva questa possibilità e rimaneva a uno stadio di sviluppo soltanto agricolo. L'Italia del Sud era culturalmente parte dell'Europa, ma geograficamente faceva parte di quel mondo Mediterraneo che includeva tutta l'Africa del Nord e che si trovava sempre più in difficoltà a tenere il passo.

Il divario fra Nord e Sud divenne sempre più netto finché verso la metà del diciannovesimo secolo era tale che il Nord Italia potè annettersi il SudGeopolitica, geografia e tecnologia si intrecciano in questa complessa serie di eventi che ancora oggi segna le caratteristiche del nostro paese.

Oggi, con il declino del carbone, la facile trasportabilità del petrolio ha cambiato radicalmente le cose e ridotto enormemente il divario economico fra paesi del Nord Europa e quelli del Mediterraneo. Non solo, ma con lo sviluppo dell'energia solare il divario si può non soltanto appianare, ma capovolgere con il soleggiato Sud che oggi ha un netto vantaggio sul nebbioso Nord.

Purtroppo, l'Italia non ha ancora capito il vantaggio geografico che si ritrova ad avere e si sta muovendo con estrema lentezza nello sviluppo delle rinnovabili.





[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore ]

domenica, novembre 18, 2007

Dietrologia nucleare anni '80


Riceviamo questo articolo da un autore che ci chiede di rimanere anonimo. Normalmente preferiamo non pubblicare testi anonimi, ma in questo caso ci sembra interessante far conoscere questo pezzo che ci riporta alla cronaca dell'epoca delle lotte antinucleari degli anni '80. Di questo periodo non rimane quasi niente su internet, ma forse sarebbe il caso di ripensarci sopra, come fa qui l'autore; che si dichiara tuttora antinuclearista ma che nel frattempo ha avuto dei seri ripensamenti sulle ragioni vere di certe posizioni (Ugo Bardi)



Mi viene qualche dubbio, soprattutto in questi giorni, a ridosso del ventennale anniversario dalla vittoria dei no al referendum sul nucleare, ripensando a quel dicembre del 1986, un dicembre freddissimo, che seguiva il disastro nucleare di Chernobyl, mentre si correva nei campi gelati di Montalto di Castro, dove il governo italiano d'allora, aveva deciso di installare una centrale nucleare per la produzione di energia elettrica. In quei giorni del dicembre 1986, a Montalto di Castro, si diedero appuntamento molte realta' del movimento antinuclearista, di vari orientamenti politici, religiosi, ambientalisti, partitici, etc., a dimostrazione che il problema era davvero sentito dalla gente comune.



Non e' vero che in quel movimento si annidavano "terroristi rossi", come ebbe a dire un politico di quei tempi, col "vento in poppa". La repressione delle forze dell'ordine fu violenta. ci furono pestaggi, cariche alla stazione e nei prati limitrofi alla centrale, arresti e tutto cio' che uno stato conosce e detiene per stroncare una forte opposizione contro una mostruosita' come e' quella dell'atomo. Ma, a distanza di vent'anni, quella vittoria al referendum di un anno dopo, fu "farina del nostro sacco" unicamente? O intervennero forze talmente potenti, da pilotare le giuste lotte antinucleariste di migliaia di individui (italiani ed europei, fattore che non va dimenticato, ne' sottovalutato), per spostare la produzione di energia elettrica, in modo "definitivo", sul petrolio? E' assiomatico che l'Italia abbandono' il settore nucleare, senza aprire una seria discussione sulla produzione di energia elettrica da altre fonti non fossili (per l'appunto, le energie rinnovabili) e si concentro' tutta la produzione di energia dal petrolio, dal gas metano e anche dal carbone.


Il "definitivamente", come si potra' immaginare, e' termine del tutto relativo, soprattutto col prezzo del barile a quasi 100 dollari... I pestaggi, i fermi in caserma e gli arresti, le manganellate delle forze dell'ordine, avrebbero dovuto spingere parte del movimento antinuclearista a riflettere sulla genuinita' di quelle lotte. Che uno stato, attaccato e messo in seria difficolta', reagisca in quel modo, puo' risultare "normal". Cio' che non rientra nella norma era la presenza di centrali nucleari francesi a ridosso del confine italiano. I pestaggi potevano essere dei tristi rituali, ben orchestrati dai Poteri Alti, per indurre il movimento alla reazione, che in parte ci fu, e convincere lopinione pubblica che quei giovani o attempati sessantottini, avevano ragione da vendere.

Una trama di un film ben preparato, fin nei minimi dettagli, da un meticoloso regista? C'e' anche un altro dato molto importante da ricordare, che veniva ripetuto anche tra noi antinuclearisti. Per questo dico che si sarebbe dovuto riflettere su una eventuale strumentalizzazione di poteri "alti" al di la' delle Alpi, la Francia aveva costruito numerose centrali nucleari, tutte molto potenti e potenzialmente, distruttive come quella di Chernobyl. Perche' quelle centrali stavano la', proprio in quel punto strategico, a ridosso del confine italico? Tutti ci chiedevamo se la Francia, di li' a poco, sarebbe divenuta esportatrice di energia elettrica prodotta dalla scissione dell'atomo! Avvenne proprio questa previsione semplice semplice.

Mi domando, oggi, dopo ventuno anni da quelle lotte, se non fu pilotato il movimento antinuclearista, forte delle migliaia di persone che lo animavano, per strategie economiche e geopolitiche incalcolabili. Un altro assioma e' che l'Italia, gia' seminata di raffinerie, divenne il primo terminale del petrolio che transitava nel Mediterraneo. In un attimo, come accade spesso nella vita, si giunge ai giorni d'oggi, con i mega-progetti dei rigassificatori, con la progettazione di terminal per lo stoccaggio del gas russo, etc. niente di nuovo, insomma. Sentendo puzza di picco petrolifero, dopo aver disseminato l'Italia di raffinerie, ora i soliti noti potenti del vapore, quello che fa correre la nazione, stanno tentando il colpo grosso con i rigassificatori, con le centrali a carbone (vedere Civitavecchia).


Ma le energie rinnovabili, unica vera risorsa in mano a questa umanita', con tutti i limiti che puo' avere, dove viene posta nell'agenda di questi potenti, di ambientalisti di carriera, di politicanti vari? Il tempo puo' correre, se lo si conta. oppure puo' anche non esistere. A noi la decisione.

Tornando al referendum del novembre 1987, mi ricordo anche le battute del senatore Andreotti, mente fervida e sempre attenta e sveglia, un tipo di politico che vale la pena, a prescindere dalla propria appartenenza politica, ascoltare. Rilascio' diverse dichiarazioni, tra cui alcune che ripetevano, come una cantilena, "...la Francia ha attaccate alle nostre belle Alpi delle centrali nucleari, e noi rinunciamo al nucleare? E' una follia!", ammettendo la sua posizione favorevole all'atomo, e inviando, nel contempo, messaggi ai potentati che potrebbero aver manipolato un movimento antinuclearista molto variegato, messaggi allora incomprensibili, ma che oggi risultano molto piu' chiari.

Dispiace pensarlo, per chi come me prese parte a quei movimenti sorti negli anni Settanta, ma cio' che accadde nel 1986 e poi nel 1987 (il referendum), ha molti lati oscuri, che ho tentato di analizzare. Pensare di essere stato un burattino senza fili, nelle mani di questi signori del vapore, mi fa infuriare. Ma mi da' la possibilita' di comprendere come potersi muovere in futuro, un futuro prossimo, molto complicato e difficile, per tutti, anche per i Potenti signori del Vapore.



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore]

sabato, novembre 17, 2007

Gli scienziati e gli industriali


Il dialogo è riferito a memoria, ma la storia è rigorosamente vera, compreso i colori delle cravatte.


Gli scienziati e gli Industriali
di Ugo Bardi
www.aspoitalia.blogspot.com


Gli industriali sono tre. Tutti con lo stesso stile: vestito intero, cravatta monotinta, camicia rigorosamente bianca. Il più basso ha un vestito chiaramente di sartoria e la cravatta grigia di marca. Gli altri hanno vestiti forse un po' più andanti, ma sicuramente di marca. Sono tutti e tre ben rasati, capelli corti e senza occhiali. Il capo, quello più basso, si siede per primo a un'estremità della lunga tavola della sala riunioni, gli altri due gli si siedono ai lati.

Gli scienziati si distribuiscono all'estremità opposta della lunga tavola. Hanno giacche comprate alla Coop o alla Standa, pantaloni di velluto oppure jeans. Uno ha i baffi e i capelli lunghi; porta la cravatta a farfalla e la giacca a quadrettoni. Un altro, ben rasato, porta la giacca di velluto con le toppe ai gomiti. Altri due portano la barba, uno ha una cravatta rossa. Quasi tutti hanno gli occhiali. Io non ho nemmeno la giacca, soltanto un maglione.

Iniziano a parlare gli industriali. Il capo dice che la loro ditta è un leader nelle materie plastiche, che la concorrenza è sempre più difficile, che hanno bisogno di tecnologia per andare avanti. Per questo, dice, hanno preso contatto con l'università e il CNR e sono qui oggi.

Rispondono gli scienziati. Quello con la giacca di velluto con le toppe sembra il più vivace e racconta di un suo nuovo catalizzatore utile per polimerizzare questa o quest'altra cosa. Gli fa eco il baffuto con la cravatta a farfalla raccontando di altre reazioni che lui è capace di fare. Quello con la cravatta rossa rilancia con un altro sistema per fare una molecola che serve a qualcosa di molto importante. La parola "nanotecnologia" viene usata con grande frequenza.

Gli industriali ascoltano. Via via che gli scienziati snocciolano queste meraviglie, gli industriali sembrano sempre più perplessi. Gli scienziati sembrano recepire la perplessità degli industriali; il loro entusiasmo scema gradualmente. Alla fine, quello con la giacca di velluto e le toppe non sa chiaramente più che dire. Ci prova: "Perché non producete idrogeno?" dice.

C'è un attimo di silenzio. Il capo degli industriali tira un respiro profondo e dice "E a chi lo venderemmo?"

Segue un momento glaciale in cui gli scienziati continuano a sorridere, specialmente quello coi baffi; ma è un sorriso forzato. Gli industriali parlottano fra loro per un minuto o due. Poi il capo, quello più basso, prende la parola.

"La nostra ditta," dice " è un leader mondiale nella produzione di materie plastiche. Facciamo soprattutto bottiglie di plastica, piatti, bicchieri e altro materiale a perdere. Purtroppo, come sapete, il prezzo del petrolio è aumentato enormemente negli ultimi tempi. E se dobbiamo usare petrolio per fare plastica, siamo in difficoltà. O aumentiamo i prezzi dei nostri prodotti, e così perdiamo mercato, oppure riduciamo i profitti o, addirittura, lavoriamo in perdita"

Gli scienziati annuiscono, quasi compunti.

"Quello che abbiamo pensato," continua l'industriale, "è di sostituire il petrolio con la biomassa. Vorremmo costruire una "bioraffineria" che usi biomassa per permetterci di continuare a produrre bottiglie in plastica e altri simili prodotti. Per questo abbiamo bisogno del vostro aiuto".

Allo snodarsi di queste frasi, il sorriso degli scienziati è ritornato reale; si è allargato e ora è a tutta faccia, addirittura più largo dei baffi di quello con la giacca a quadrettoni. "Certamente," dice quello con la giacca con le toppe, "lo possiamo fare!" Prosegue quello con la cravatta rossa: "Per trasformare la biomassa si può usare il catalizzatore nanostrutturato sull'olio di colza...." Tutti sorridono e si ricomincia la discussione, stavolta tutta centrata sulla biomassa e sulla bioraffineria - sempre con le nanotecnologie!

A questo punto, mi alzo in piedi e dico: "Signori, perdonatemi se vi interrompo, ma qui c'è un equivoco. La vostra discussione non sta considerando un punto fondamentale, e questo è il concetto di ritorno energetico. Al momento, vi può sembrare che la biomassa costi meno del petrolio, ma questa è un'illusione dovuta ai sussidi monetari che si danno all'agricoltura. Il costo reale della biomassa va contato in termini di energia, non di moneta. Si dice che un prodotto agricolo per un'unità di energia incorpori in media dieci unità di energia dai combustibili fossili. Non so se è un calcolo esatto, ma non può essere troppo sbagliato. Data questa situazione, è impensabile sostituire il petrolio con la biomassa, perlomeno agli stessi prezzi. Soprattutto è impensabile per farne prodotti usa-e-getta come le bottiglie di plastica. Se permettete un'altra osservazione, a mio parere usare la parola "biomassa" è un'offesa nei riguardi dell'infinita varietà di piante e animali di questo pianeta che non sono stati creati per farne bottiglie di plastica usa e getta."

Pensate che abbia detto veramente una cosa del genere? Ovviamente no. Sarebbe stato antipatico e offensivo nei riguardi di un gruppo di persone che stavano soltanto cercando di fare del loro meglio anche se, a mio parere, seguendo una strada sbagliata. Ho pensato queste cose, ma sono stato zitto. Finita la discussione, ho ringraziato e mi sono congratulato con tutti prima di andar via.

Tutto questo è avvenuto qualche mese fa. Non so se stiano ancora parlando di bioraffineria o se abbiano fatto qualcosa in proposito.



[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore]

venerdì, novembre 16, 2007

Agricoltura del passato o del futuro?




Qualche giorno fa ho parlato della follia energivora che caratterizza l'agricoltura dei 42 paesi più sviluppati del pianeta. E gli altri come stanno?
La figura qui sopra (clicca per ingrandire) rappresenta lo schema dei flussi energetici nel sistema agricolo dei 115 paesi meno sviluppati (continua a leggere sotto per i dettagli).
Questa è l'agricoltura del passato, più arcaica e meno sviluppata, o piuttosto è l'agricoltura del futuro, a basso input energetico fossile?
I paesi meno sviluppati sono un insieme molto eterogeneo, che comprende paesi in rapido sviluppo come la Cina, paesi con un'economia abbastanza sviluppata come l'Argentina, paesi poveri come l'Indonesia e paesi poverissimi come l'Etiopia. Cionostante, le differenze nel consumo energetico con i paesi ricchi sono impressionanti.
Questa agricoltura fa uso solo di 1000 kcal fossili pro capite al giorno per la coltivazione e l'allevamento, mentre l'occidente ne usa quasi 7000.
In questo modo è possibile in media garantire a 5 miliardi di persone una dieta da 2450 kcal al giorno di prodotti vegetali e 330 di prodotti animali.
Purtroppo questo input alimentare è mal distribuito, dal momento che si va dalle 3400 kcal pro capite di Cuba alle 1830 dell'Etiopia.
Se la produzione agricola dei paesi più poveri fosse però divisa equamente al loro interno (senza quindi contare quello che potrebbero fare i paesi ricchi) si avrebbero in media quasi 2800 kcal a testa al giorno, che è il livello alimentare di un paese come l'Argentina.
La minore dipendenza dai combustibili fossili dovrebbe in teoria mettere i paesi poveri al riparo dalle conseguenze del picco del petrolio. La situazione potrebbe però aggravarsi in futuro per i due fattori combinati della crescita demografica e della corsa all'occidentalizzazione del tenore di vita di diversi paesi emergenti.
Cosa accadrà se e quando la Cina diventerà carnivora come l'Occidente?

Non esistono valutazioni precise del consumo energetico della filiera alimentare post agricola nei paesi poveri; la "freccia nera" di 2000 kcal rappresenta semplicemente una stima basata sul fatto che in consumi fossili pro capite nei paesi meno sviluppati sono circa un ottavo di quelli nei paesi ricchi. Ho quindi semplicemente assunto che l'input fossile per ogni caloria di cibo prodotta fosse un ottavo di quello dei paesi ricchi. In questo modo non si dovrebbe sottostimare l'apporto fossile, anche perchè ogni giorno vengono anche consumate 2700 kcal pro capite da biomassa per cuocere i cibi (la freccia verde/nera).
Fonti:
Database FAO per i dati relativi ai flussi energetici del foraggio e del cibo
Mario Giampietro, Energy use in agriculture, Encyclopedia of life sciences, 2002, per gli input fossili in agricoltura
Heller e Keoelian, Life Cycle-Based Sustainability Indicators or Assessment of the U.S. Food System , Center for sustainable systems, University of MIchigan, 2000 per gli input fossili della filiera alimentare.
L'energia da biomassa usata per la cottura è valutata nell'articolo The fuelwood problem della FAO.
(non illustro qui la metodologia che ho usato per i calcoli, perchè è piuttosto lunga;lo farò in un articolo apposito)

[ I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono elaborare dei post e inviarli a franco.galvagno.3@alice.it. Essi saranno presi in conto per un'eventuale pubblicazione con il nome dell'autore ]

giovedì, novembre 15, 2007

Rifkin: il venditore di olio di serpente

Gli americani parlano di "snake oil" (olio di serpente) per quel tipo di intrugli miracolosi che dovrebbero far bene ai calli, curare il mal di testa, e far andar via anche le emorroidi. Da noi, tendiamo a correlare i venditori di questi intrugli alla ormai storica figura di Vanna Marchi.

Con qualsiasi termine lo si voglia definire, un venditore di intrugli di grande successo è Jeremy Rifkin che continua a imperversare con le sue idee sull'idrogeno. E' un ospite regolare - sempre a pagamento da quello che si sente dire - di conferenze e dibattiti. Ultimamente, lo abbiamo visto come ospite addirittura del parlamento italiano, osannato da quasi tutti i parlamentari.

Così come l'olio di serpente viene detto curare le malattie più svariate, Rifkin ci propone l'idrogeno come rimedio universale dei guai più vari. Se le idee di Rifkin sono grandiose, sono anche molto confuse. Ci sono perlomeno tre concetti che possiamo identificare nella proposta di Rifkin, e forse anche di più.

1. L'idrogeno come mezzo di stoccaggio dell'energia rinnovabile. Questa è un idea nel complesso sensata. L'idrogeno potrebbe essere una delle tecnologie che ci permetteranno di risolvere il problema dell'intermittenza delle fonti rinnovabili. L'efficienza del ciclo dell'idrogeno come stoccaggio energetico non è molto alta e ci potrebbero essere alternative migliori, ma potrebbe funzionare se ci lavoriamo sopra.

2. L'idrogeno come vettore energetico. Rifkin parla di un'analogia fra la produzione di idrogeno e l'Internet. Ovvero, dovremmo tutti produrre idrogeno a casa, essere interconnessi casa per casa con delle tubazioni che trasportano idrogeno e scambiarselo a seconda delle necessità; un po' come facciamo con la posta elettronica. L'idea è sotto certi aspetti affascinante ma, dal punto di vista pratico, è il disastro totale. L'idrogeno è un pessimo vettore energetico; ha una bassa densità volumetrica di energia, rovina i tubi in metallo, è pericoloso da trasportare in bombole, la conversione è energeticamente inefficiente e, soprattutto, i costi di un sistema del genere non sarebbero nemmeno stratosferici; sarebbero interstellari! Insomma un'idea insensata sotto tutti i punti di vista. Tanto più che esiste un vettore energetico molto migliore è che ha già una sua rete di distribuzione: l'elettricità

3. L'idrogeno come sostituto dei combustibili fossili, in particolare nei veicoli stradali. I problemi qui sono molteplici: hanno a che fare con la difficoltà di trasportare l'idrogeno in bombole o sotto forma di liquido criogenico e con la mancanza di un sistema di distribuzione dell'idrogeno come combustibile. Inoltre, l'idea di un veicolo stradale a idrogeno ha senso soltanto se si usano pile a combustibile per convertire l'idrogeno a elettricità, altrimenti sarebbe terribilmente inefficiente. Ma le pile a combustibile utilizzabili su un veicolo hanno moltissimi problemi, fra i quali quello di dipendere da costosi catalizzatori al platino. A parte il costo, non c'è abbastanza platino su questo pianeta per fare abbastanza pile per equipaggiare i veicoli esistenti. I problemi sono molteplici e, apparentemente, estremamente difficili da risolvere: sono più di vent'anni che si fanno prototipi di veicoli a pile a combustibile e ancora non ne esiste uno che sia in produzione. Ciononostante, si continuano a spendere soldi pubblici per ulteriori prototipi.

4. Infine, ci sono vari e vaporosi slogan di Rifkin, come "la terza rivoluzione industriale," l'"economia basata sull'idrogeno" e altri. Ma non bastano gli slogan per fare cose serie.

Va detto anche che nessuno di questi concetti è veramente originale. Rifkin si è limitato a recuperare idee sviluppate da altri ben prima di lui e a impaccarle insieme. Lo ha fatto mettendole in una forma accattivante che andava a soddisfare l'appetito sia del pubblico come dei politici per una soluzione facile e indolore dei gravissimi problemi che abbiamo di fronte. Rifkin, in sostanza, ha fatto soltanto del marketing.

Su questo, è stato veramente bravo. Un grande venditore che è riuscito a vendere l'idea dell'idrogeno come cura universale a tutti i mali del pianeta. E i governi hanno ingoiato non solo l'esca, ma anche la lenza e tutta la canna da pesca. Le idee di Rifkin sono state accettate e finanziate a suon di miliardi senza che ci fosse stato nessun dibattito critico serio su quanto valessero veramente. Una cosa che la dice lunga su come i processi decisionali dei governi siano alla mercé delle mode del momento e su come il nostro destino sia affidato a persone del tutto incompetenti sulle basi tecniche di quello che stanno facendo.

Cosi', in gran parte grazie a Rifkin, l'idrogeno è diventato immensamente popolare nell'immaginazione del pubblico e dei politici. Il risultato è che stiamo impiegando grandi capitali e risorse per inseguire una tecnologia, quella dell'idrogeno come vettore o come combustibile per i veicoli stradali, per la quale ci vorranno perlomeno decenni di lavoro per arrivare a qualcosa di pratico (come ammesso dagli stessi proponenti). Lo stiamo facendo senza nessuna chiara evidenza che ci arriveremo mai e nemmeno che ne valga la pena. Non solo, ma qualsiasi processo produca o faccia uso di idrogeno, anche se parte dai più sudici combustibili fossili, viene visto come qualcosa di buono per definizione. Anche un processo che trasforma combustibili fossili in idrogeno viene a volte definito come "rinnovabile" e addirittura finanziato come tale con soldi pubblici. Tutto questo è stato un grave danno per le tecnologie rinnovabili vere. Un danno paragonabile sotto certi aspetti allo scandalo del CIP6, anche quello il risultato di una voluta confusione fra ciò che è rinnovabile e ciò che non lo è.

Negli ultimi tempi, politici, funzionari e scienziati che si sono impegnati pubblicamente sulle idee di Rifkin stanno cominciando ad accorgersi di aver fatto un'immane fesseria. Purtroppo, non sanno come uscirne senza fare una figuraccia. Il re continua a camminare pavoneggiandosi come se avesse addosso una pelliccia di visone. Ma sta cominciando a rendersi conto di essere nudo.





/

mercoledì, novembre 14, 2007

Special guest at Caterpillar


Ho ricevuto dal lettore Patrick (che ringrazio) la registrazione, tra l'altro di ottima qualità, del recente intervento di Ugo Bardi alla trasmissione radiofonica Caterpillar sul tema dell'Energia nucleare. Lascio semplicemente l'mp3 che mi è stato inviato, in modo che sia accessibile ai visitatori.

http://www.box.net/shared/7ssjkju32u


Solo ieri, sul lavoro, sentivo discussioni tanto animate quanto inconcludenti di persone "contro" e altre "favorevoli" al Nucleare. Nel vociare continuo di tutti i giorni, avere accesso a informazioni "sostanziali" e non ideologiche è un vero e proprio privilegio; probabilmente, è proprio questo aspetto che motiva me ed altri a diffonderle!

La crescita esponenziale dei prezzi del petrolio


Nel famoso libro di Meadows e Randers “Oltre i limiti dello sviluppo”, gli autori individuano nella crescita esponenziale di popolazione, produzione alimentare, produzione industriale, consumo di risorse e inquinamento, la causa prima che porta a superare i limiti fisici del nostro pianeta. Un intero capitolo è dedicato alla comprensione del meccanismo di crescita esponenziale e a tal fine vengono citati due esempi fantastici ma molto efficaci, che riporto integralmente:
“Da secoli le sorprendenti conseguenze della crescita esponenziale affascinano chi le scopre. Un’antica leggenda persiana narra di uno scaltro uomo di corte che donò al sovrano una bellissima scacchiera e chiese, in cambio, un chicco di riso per la prima casella, due per la seconda, quattro per la terza e così via. Il sovrano fu pronto ad acconsentire, e ordinò che si portasse qualche sacco di riso dai suoi granai. La quarta casella richiese otto chicchi, la decima ne richiese 512, la quindicesima 16384 e la ventunesima diede al cortigiano più di un milione di chicchi di riso. Giunti alla quarantesima casella, si dovette ammonticchiare più di un milione di milioni di chicchi. Il pagamento non sarebbe mai potuto arrivare fino alla sessantaquattresima casella: ci sarebbe voluto più riso di quanto il mondo intero potesse offrire.
Un indovinello francese per bambini illustra un altro aspetto della crescita esponenziale: l’evidente subitaneità con la quale una grandezza che cresca esponenzialmente si approssima a un limite prefissato. Supponete di avere un laghetto nel quale cresce una ninfea, che raddoppia le proprie dimensioni ogni giorno. Se potesse svilupparsi liberamente, la ninfea coprirebbe completamente il laghetto in trenta giorni, soffocando tutte le altre forme di vita presenti nell’acqua. Per qualche tempo la pianta appare piccola, cosicché decidete di non preoccuparvene finchè non sarà arrivata a coprire per metà lo specchio d’acqua. In quale giorno questo accadrà? La risposta è: al ventinovesimo giorno. Resta, dunque, un solo giorno per salvare il laghetto. (Al venticinquesimo giorno, la pianta copre appena un trentaduesimo del laghetto; al ventunesimo, ne copre solo una frazione pari a 1/512: per la maggior parte del mese la pianta, pur continuando a raddoppiare con regolarità, rimane quasi invisibile e comunque non preoccupa. Si vede bene come la crescita esponenziale, combinata con la disattenzione, possa portare al superamento del limite!)”.
Finora il genere umano non sembra preoccuparsi più di tanto dei rischi per l’ambiente della crescita esponenziale, ma negli ultimi tempi, c’è un caso di crescita esponenziale che sta creando grande allarme sociale, quello dei prezzi del petrolio. Nel grafico riportato in alto, ottenuto adattando la curva dei prezzi pubblicata dal Sole 24 Ore, si nota che in effetti, dalla fine del 2001 sembra essersi innescato un meccanismo di questo tipo. Se in precedenza le quotazioni del greggio erano caratterizzate da lunghi periodi di valori bassi, interrotti da grandi picchi conseguenze di tensioni geopolitiche, da sei anni la curva ha assunto un tipico andamento esponenziale che ho cercato di approssimare con un’interpolazione grafica che mette in evidenza un raddoppio dei prezzi circa ogni tre anni: 20 dollari al barile a fine 2001, 40 dollari al barile a fine 2004, 80 dollari al barile a fine 2007. Proiettando questa tendenza verso il futuro otteniamo un valore dei futures al 2010 di 160 dollari al barile, lasciando all’immaginazione del lettore la prosecuzione della curva negli anni successivi. Naturalmente, la crescita esponenziale di un qualsiasi parametro, ha bisogno di una causa intrinseca per scatenarsi, quello che gli antichi definivano “primum movens”. Secondo molti questa causa è da ricercare nella speculazione finanziaria, nella cattiveria dei petrolieri, negli interessi dei produttori o nel destino cinico e baro. ASPO ritiene invece che la crescita esponenziale dei prezzi del petrolio possa essere originata dall'approssimarsi del picco del petrolio, data fatidica oltre la quale l’offerta di greggio non potrà più soddisfare una domanda in crescita. Cosa succederà ai prezzi nella terra di nessuno del post picco, dove le leggi fondamentali dell’economia neoclassica fondate sull’equilibrio perenne della domanda e dell’offerta non funzioneranno più, è un enigma avvolto nel mistero che solo nei prossimi anni potrà essere sciolto.

martedì, novembre 13, 2007

La carica dei negazionisti





In questi giorni di prezzi del petrolio vicini ai 100 dollari al barile, è entrata in campo una squadra di minimizzatori di professione, una schiera di economisti, opinionisti, commentatori, intenti a spiegare che gli alti prezzi sono causati dalla speculazione, che non esiste un problema di scarsità della risorsa e che il rilancio degli investimenti in infrastrutture estrattive determinerà inevitabilmente il calo delle quotazioni. In altre parole, la teoria del picco del petrolio sarebbe solo la fantasia di alcuni catastrofisti. Il Foglio di Giuliano Ferrara si caratterizza tra i più zelanti dei negazionisti. Nei giorni scorsi, su questo giornale, sono apparsi due articoli a cui il Presidente di Aspoitalia, Ugo Bardi, ha risposto con la seguente lettera:

Gentile Direttore,

sul Foglio di Venerdì 9 Novembre sono apparsi due articoli dal titolo “Perché quota cento dollari non fa paura” e “Perché quota cento è comunque un guaio” nei quali Michael Lynch afferma che “la teoria del picco petrolifero è il risultato della cattiva applicazione di modelli semplicistici a fenomeni complessi”. Su queste posizioni si collocherebbero anche i “pensatoi liberisti statunitensi molto ascoltati dalla Casa Bianca”. Si cita poi Leonardo Maugeri dell’ENI, secondo il quale “gli alti prezzi sono la premessa di una nuova ondata di investimenti: quando i loro effetti si saranno materializzati, le quotazioni del petrolio scenderanno”. Infine, il CERA di Daniel Yergin ci rassicura che “non siamo in un’era di scarsità assoluta: le riserve stimate oggi sono tre volte superiori a quelle calcolate dai pessimisti dell’Agenzia internazionale dell’energia, cioè 3740 miliardi di barili invece di 1200”.

Forse è il caso di intervenire per fare un po’ di chiarezza su certi punti, in particolare, sulla credibilità del sig. Lynch. Già qualche dubbio potrebbe derivare dalle sue affermazioni dell’anno scorso secondo le quali oggi il petrolio dovrebbe costare meno di 40 dollari al barile. Lo stesso si può dire per i vari Think Tank Americani i quali sono organismi politici ma privi di ogni competenza in materia petrolifera. Infine, la stima di CERA dell’anno scorso sulle riserve petrolifere prevede un abbondanza di petrolio che è del tutto anomala rispetto a tutte le altre stime degli esperti. A distanza di un anno, questa stima è già stata smentita dall’andamento della produzione reale.

A proposito dei cosiddetti “modelli semplicistici”, termine che evidentemente si riferisce alla teoria del picco del petrolio, andrebbe spiegato che questi modelli sono stati storicamente in grado di fare delle ottime predizioni, al contrario di molti modelli economici standard che, come ammesso dalla stessa IEA nel loro rapporto “World Energy Outlook” del 2007 non sono stati in grado di prevedere il declino di aree importanti come quella del petrolio Messicano. La teoria del picco ha previsto correttamente questo declino, come pure quella del petrolio degli Stati Uniti e quella del petrolio del Mare del Nord.

Dispiace che entrambi gli articoli apparsi sul Foglio diano una visione estremamente parziale, e quindi distorta, del dibattito in corso, proponendo al lettore soltanto la versione ottimistica – troppo ottimistica secondo noi - di una sola delle due parti impegnate.

Il Foglio ovviamente si è guardato bene dal pubblicare, anzi perseverando con un nuovo articolo firmato Carlo Pelanda "Perchè se si regola la finanza derivata dal petrolio il prezzo del greggio scenderà" . Secondo costui, “i nuovi investimenti in capacità estrattiva, di trasporto e raffinazione” sposteranno “di secoli la data in cui vi sarà scarsità reale di petrolio e gas”, lo scenario di scarsità sarebbe “una favola” e, conclusione fideistica sul calo dei prezzi: “Ribasso oppure linciaggio di politici, banche e fondi. Scenderà”. Naturalmente, non sperate di trovare, tra le argomentazioni del Pelanda, qualche riferimento ad analisi e dati riguardanti la consistenza delle risorse petrolifere mondiali. L’autore sembra continuare in chiave moderna l’attività di divinazione degli antichi aruspici che interpretavano le indicazioni degli dei dal volo degli uccelli o nelle viscere degli animali.
E’ pertanto inutile continuare a tentare il confronto con personaggi che trasformano una questione cruciale per l’umanità in una desolante battaglia ideologica. Però, una considerazione per cercare di smontare la fiducia dei negazionisti, forse è opportuno farla. Il grafico in alto rappresenta la produzione di petrolio negli Stati Uniti. La curva, confermando la predizione di Marion King Hubbert, raggiunse un picco all’inizio degli anni ’70 e da allora declinò costantemente, costringendo la principale potenza mondiale a rifornirsi in altre aree del mondo e a instaurare una excalation senza fine di tensioni internazionali. Ai teorici dei nuovi investimenti bisognerebbe perciò chiedere se le difficoltà estrattive interne siano dovute a una tendenza masochistica degli Stati Uniti o a problemi strutturali insormontabili.

Il grande buco nero davanti a noi


Pietro Cambi annuncia il verbo di Zhubon trifasico prima della proiezione del film "Chi ha ucciso l'auto elettrica" a "Viva Gaia" a Roma, il 9 Novembre 2007.


Il grande buco nero
Di Ugo Bardi
Novembre 2007


Il buco nero assorbe qualsiasi cosa con cui venga in contatto e la fa scomparire per sempre al di la dell’orizzonte degli eventi. Non c’è dialogo con un buco nero; ci si può interagire soltanto in due modi: o esserne fagocitati o fagocitarlo. Il secondo modo è possibile solo se si è un buco nero più grosso. Tuttavia le leggi della meccanica quantistica fanno si che un buco nero non sia completamente nero. Può emettere materia e si dice che, molto occasionalmente, anche emettere cose strane e unusuali come un televisore o le opere di Proust rilegate in cuoio.

L'altro giorno, mi è venuto in mente questo unusuale comportamento dei buchi neri alla manifestazione "Viva Gaia" organizzata da "Film Studio" a Roma dove, insieme a Pietro Cambi, Debora Billi e Ringo Reemberg abbiamo presentato il cinquino elettrico. Alla manifestazione, abbiamo visto la proiezione del film "Chi ha ucciso l'auto elettrica" e abbiamo visto come quell’immenso buco nero che è la General Motors ha emesso una cosa strana e unusuale per una industria automobilistica: un’auto elettrica (la EV1) che non solo funzionava, ma funzionava anche bene. Un errore, questo, che la nostra Fiat si è sempre guardata con estrema cautela dal commettere e che, in effetti, non ha mai commesso.

Come ogni buco nero che si rispetti, tuttavia, la General Motors ha fatto valere la sua trememda forza gravitazionale e ha rapidamente riportato la EV1 all’interno del raggio di Schwarzschild (o era Schwarzenegger?) da dove niente può più ritornare nell’universo a noi accessibile. Per un brevissimo momento, pochi anni, è stata visibile in California questa curiosa entità di una vettura che poteva viaggiare senza petrolio, che aveva bisogno di quasi zero manutenzione, che non inquinava, non faceva rumore, e durava a lungo. Non era possibile, evidentemente, che la cosa fosse tollerata.

Va anche detto, a onor del vero, che il film è chiaramente di parte e può darsi anche che ci siano stati anche vari problemi tecnici con la EV1 che, forse, poteva anche non essere la meraviglia che ci viene descritta. Ma certo la crudeltà e la spietatezza con la quale la GM l’ha fatta scomparire spedendo allo sfasciamacchine tutti gli esemplari esistenti non si può non vedere come una reazione di difesa. E’ stato quasi un riflesso animale questo con la quale la GM si è liberata di un aggeggio che avrebbe fatto concorrenza ai ben più profittevoli SUV.

Anche il cinquino elettrico di ASPO-Italia è un evento unusuale partorito, sembrerebbe, da un buco nero in particolari doglie esistenziali che l’ha scaraventato nell’universo a noi accessibile. Anche in questo caso, ho l’impressione che già esistano potenti forze gravitazionali che mirano a risucchiarlo e a farlo riscomparire entro il raggio di Schwartzschild.

E' un'impressione che ho avuto anche la settimana scorsa parlando di picco del petrolio a un gruppo di economisti e di funzionari della Commissione Europea. L’impressione era quella di orbitare intorno a un immenso corpo oscuro; immobile e inamovibile. Era l’assoluta ininfluenzabilità dei funzionari, che mi sono parsi quasi tutti bene al di là del raggio di Schwartzschild dell'intelletto. Qualunque cosa gli dici, scompare al di la dell’orizzonte degli eventi e non ritorna più fuori. Il buco nero è ininfluenzabile.




...

lunedì, novembre 12, 2007

L'alter ego del Diavoletto di Maxwell



Per spiegare in modo simpatico il concetto di Entropia e di Processo Irreversibile, il fisico J.C. Maxwell "inventò" il suo celebre Diavoletto, personaggio immaginario che aveva il compito ingrato di selezionare ad una ad una le molecole di un gas, allo scopo di segregare quelle veloci in una stanza (che si pertanto si riscalda) e, specularmente, quelle lente in un'altra (che si raffredda).


Circa 150 anni dopo, precisamente il 12/11/2007, sul Sole24Ore on-line compare un articolo, firmato Leonardo Maugeri, Direttore Strategie e Sviluppo dell’ENI (riportato più sotto).


In esso l'autore parla di un demone irrazionale, in grado di pilotare l'ormai sempre più mitica "mano invisibile" dei mercati verso comportamenti assurdi. L'aumento del prezzo del Petrolio è insensato, scrive Maugeri, perchè la produzione mondiale di greggio continua a crescere (dove?) e non c'è scarsità fisica della risorsa.
Alla base dell'aumento del prezzo vengono allora richiamati concetti puramente economici, che pur non essendo "sbagliati" in sè, vengono dedotti da un contesto sbagliato (un pianeta immaginario con disponibilità illimitata di greggio). Che piaccia o no, le soluzioni delle equazioni differenziali cambiano in modo non-lineare (come insegna Pietro Cambi) al variare delle condizioni al contorno. Questo, forse, Maugeri non l'ha colto proprio al 100%.
Incurante di questo, la ricetta che propone è quella di aumentare la capacità produttiva, e di combattere gli "atteggiamenti psicologici negativi", i "catastrofismi".
Così presentato, il mercato del Petrolio sembra davvero un mostro mitico, una Bestia che ha una sua volontà e una certa indipendenza. Da cui nascono altri mostri, ad esempio l'inflazione, che secondo altri articoli del Sole24 Ore "corre", "rialza la testa" eccetera.
Con tutto il rispetto per la persona e la cultura dell'autore, questi non è un geologo, o un ingegnere; sarò un testardo, ma queste cose, cari signori, fanno la differenza negli approcci ai problemi (seppur non sia sufficiente e, a volte, neppure necessario).
In ogni caso, il target di un dirigente ENI non è quello di un'associazione di studiosi. Se poi a fare le spese di certe scelte strategiche saremo tutti, va bè, pazienza.


[ringrazio i commentatori del Blog di Debora Billi http://petrolio.blogosfere.it/ : Claudio M. e Climber15 per il riferimento iniziale, e l' "input" finale di Lorenzo su Aspoblog. Siamo in tanti a percepire le stesse cose in parallelo, questo è un buon segno]



Petrolio a 100 dollari: il demone dell'irrazionalità


Perché il prezzo del petrolio sembra aver vinto la legge di gravità? E quali livelli potrà raggiungere nel futuro? Queste domande sono destinate a rimanere senza una risposta plausibile, perché non c'è una spiegazione razionale per quello che sta accadendo.È il demone dell'irrazionalità che sta guidando i mercati, relegandone i fondamentali economici e fisici ad argomenti privi di qualsiasi impatto.Questi ultimi, in realtà, ci dicono che non c'è alcuna scarsità di greggio. La produzione mondiale continua a crescere tenendo il passo con la crescita della domanda. È vero, il rapporto tra le due variabili è molto tirato, almeno sulla carta. Ma è pur vero che si continua a assistere a molti paradossi. In un mercato che sembra così affamato, ci sono volumi di greggio pesante o medio che rimangono invenduti semplicemente perché molte raffinerie non li acquistano, poiché trovano più conveniente comprare greggi di qualità migliore o attingere alle loro scorte.D'altra parte, i grandi Paesi produttori continuano a rimanere guardinghi e perplessi, perché la domanda di petrolio non cresce come vorrebbero. Non cresce in Europa, dove anzi sembra descrescere. Cresce pochissimo negli Stati Uniti, che negli anni passati sono stati un pilastro dell'aumento dei consumi mondiali. Continua a crescere in Cina e India, ma a tassi assai più ridotti che 3-4 anni fa. Così, da quasi un triennio, l'Agenzia internazionale dell'energia è costretta a rivedere più volte al ribasso le sue stime iniziali sull'aumento dei consumi per ogni anno considerato. Per questo l'Opec continua a ripetere che non ha colpe in quello che sta accadendo, che l'offerta di petrolio è più che sufficiente a soddisfare la domanda, e che un aumento della produzione di greggio può trovare fondamento solo nel tentativo di placare la psicologia distorta del mercato.Eppure, qualcuno deve aver pur liberato quel demone dell'irrazionalità che continua a spingere in alto il prezzo del petrolio. E in effetti più di un fattore ha agito per romperne le catene. Il primo di tutti, quello che alimenta tutti gli altri, si chiama "capacità produttiva inutilizzata"- o spare capacity. Come in ogni settore industriale, anche in quello petrolifero esiste una capacità produttiva che non diventa produzione: giacimenti che producono meno di quanto potrebbero, ma che sarebbero in grado di "andare al massimo" in tempi brevi se ve ne fosse necessità. Come è facile intuire, la spare capacity rappresenta il cuscino critico di sicurezza capace di far fronte a picchi improvvisi di domanda o a interruzioni inattese di offerta. Quando è molto bassa, il mercato petrolifero è in tensione. E purtroppo, la spare capacity continua a rimanere bassa: pur essendo cresciuta rispetto a tre o quattro anni fa, tuttora non supera il 4% dei consumi mondiali. E qui entrano in gioco la geopolitica da un lato e il catastrofismo dall'altro.Con un margine di sicurezza così ridotto, ogni crisi politica effettiva o attesa che coinvolga un Paese produttore di petrolio solleva un dilemma denso di timore: e se viene a mancare una parte del petrolio che quel Paese produce, che succede? Se poi il fronte delle crisi attese o reali si moltiplica, il timore va alle stelle. In questo momento, le crisi che potrebbero interrompere la produzione di importanti volumi di petrolio sono almeno due: un intervento statunitense contro l'Iran e quellodella Turchia contro la parte curda dell'Iraq. Queste due fonti di apprensione, d'altra parte, si sommano a crisi già in atto: la produzione irachena che continua a ristagnare e che in ogni momento potrebbe subire ulteriori corto-circuiti, quella del Venezuela ridotta dalla spinta nazionalista del Presidente Chavez, quella della Nigeria decurtata dallo stato di agitazione nel Delta del Niger. E con ciò ho citato solo i casi principali.Se crisi attese e già in corso dovessero materializzarsi tutte nello stesso momento, almeno temporaneamente il sistema petrolifero mondiale non avrebbe margini di sicurezza sufficienti per far fronte al deficit di greggio che ne risulterebbe. Se a queste poi si aggiungessero incidenti casuali, attentati, o eventi climatici estremi (la previsione di 17 uragani violenti sul Golfo del Messico fatta nel marzo di quest'anno dall'Università del Colorado non ha aiutato la psicologia del mercato...) potremmo trovarci di fronte a uno shock di maggiori proporzioni. Così ragiona chi opera nel mercato e deve coprirsi dal rischio che il prezzo del greggio possa salire ulteriormente. E così ragiona chi scommette sugli andamenti futuri del mercato per cercare di realizzare una buona speculazione a breve. La prima e la seconda categoria di operatori appena citati alimentano il mercato cartaceo del petrolio, quello basato sui future e altri strumenti di finanza derivata, che si gonfia costantemente a ogni notizia che rilevi o faccia presagire un evento negativo, influenzando immediatamente il prezzo reale - quello cioè dei barili veri di petrolio. In altri termini, è sul mercato cartaceo che il demone irrazionale del sistema petrolifero dispiega i suoi effetti più perversi, spingendo il prezzo del greggio a vincere la legge di gravità sull'onda della paura di eventi che potrebbero determinarsi. O sull'onda dei comportamenti di chi specula su quella paura.Ad alimentare la forza di quel demone, poi,c'è il catastrofismo puro e semplice. Ormai è convinzione tanto diffusa quanto fallace che la capacità del nostro pianeta di produrre petrolio si stia riducendo, e che entro pochi decenni il greggio scarseggerà. Poco importa che i profeti di sventura siano costantemente smentiti dai fatti, e che le analisi più serie dicano il contrario. Essi sono riusciti a influenzare la psicologia di un mercato che ormai vede in agguato non solo crisi politiche, uragani, rischi di attentati, ma anche un problema fisico di produzione futura. Ed è difficilissimo cambiare un costume mentale quando questo si è così radicato nella psicologia collettiva tanto che perfino l'ineffabile casalinga di Voghera ne è convinta.Ricordo che, nella seconda metà degli anni 80 e in tutti gli anni 90,era quasi impossibile convincere gli analisti finanziari che l'allora sovrabbondante disponibilità di petrolio prima o poi sarebbe finita, se non si fossero fatti investimenti coraggiosi in esplorazione e sviluppo di nuovi giacimenti. Il mercato era così convinto che il petrolio fosse ormai diventato una materia prima sempre meno importante, con spazi di crescita ridotta, che puniva implacabilmente chi presentasse piani di investimento incapaci di redditività a due cifre - in uno scenario di prezzo del petrolio non più alto di 18 dollari a barile per 20 anni!Per questo motivo, nel mondo non ci sono stati investimenti adeguati. E per questo motivo la capacità produttiva non utilizzata oggi è così ridotta.D'altra parte, il petrolio non è un'eccezione. In quegli stessi anni, molte materie prime subirono la stessa sorte del greggio: nel mondo si chiudevano miniere d'oro, di rame, di uranio, semplicemente perché il prezzo di questi beni era troppo basso per sostenere i loro costi di estrazione- figuriamoci per avventurarsi in nuove avventure esplorative. Ma, così facendo, si fertilizzò il terreno della crisi che stiamo vivendo. Così, per esempio, l'uranio era arrivato a un prezzo medio di 13 dollari a chilogrammo nel 2000, ma nel maggio del 2007 ha raggiunto il suo picco a oltre 200 dollari (altro che petrolio!), mentre in molte parti del mondo si continua perfino a rubare rame per rivenderlo su un mercato diventato improvvisamente lucroso.Fino a che paura di crisi e catastrofismo resteranno gli elementi dominanti della psicologia collettiva, il mercato petrolifero rimarrà ostaggio di quel demone che ormai si è liberato. L'unico antidoto capace di sterilizzarlo è la crescita della capacità produttiva inutilizzata, che lentamente ma inesorabilmente arriverà.Arriverà perché nel mondo si sta assistendo a un boom di investimenti che mancava da 40 anni, con centinaia di giacimenti in sviluppo che prima o poi diventeranno produttivi, e molte raffinerie in corso di costruzione. Purtroppo, i frutti di questo boom richiederanno ancora qualche anno prima di materializzarsi, soprattutto perché c'è scarsità di uomini, competenze e mezzi tecnici adeguati di fronte all'ampiezza dei progetti già in sviluppo. Forse sarà necessario attendere i primi anni del nuovo decennio perché la situazione possa risolversi e il mercato ritornare in condizioni di normalità, e magari assistere di nuovo a uno di quei capovolgimenti psicologici e di prezzo che sempre hanno segnato la storia del petrolio. Nel breve termine, tuttavia, solo lo "scoppio improvviso della pace" su più fronti (e quindi il venir meno delle attese di maggiori crisi politiche capaci di incidere sull'offerta di petrolio) o una recessione economica di maggiori dimensioni potrebbero liberarci dal demone che plasma a suo piacimento l'andamento del prezzo dell'oro nero.